Sul settimanale della Diocesi, La Voce del Popolo, domani uscirà un intervento di Luciano Monari sulla questione del bonus bebé di 1000 euro che la Loggia vuole dare solo ai neonati di famiglie italiane. Il vescovo invita il Comune invita ad allargare il contributo anche agli stranieri. Lo pubblichiamo integralmente.
Il bonus che l’amministrazione comunale di Brescia
intende dare per i bambini neonati fa discutere; e
vorrei capire il perché. Anzitutto l’idea di un bonus
è da riconoscere positiva. Le coppie italiane fanno
troppo pochi figli e questo calo demografico, del quale
in modo improvvido ci stiamo accorgendo solo ora, fa
e farà danni grandi alla società italiana; il desiderio di
incentivare le nascite, di aiutare quelli che decidono
di mettere al mondo un figlio, è più che lodevole.
Da una parte i figli sono una ricchezza per la società
intera; dall’altra costano non poco alle famiglie. Che la
collettività mostri con un piccolo segno il suo interesse
è solo da lodare. Questa prima valutazione non deve
essere omessa: le riflessioni che faremo in seguito non la
cancellano.
Secondo: il Comune ha deciso di assegnare questo bonus
solo per i bambini nati da coppie di persone che hanno
la cittadinanza italiana e risiedono a Brescia. Anche
questa scelta, si può riconoscere, ha le sue motivazioni.
Se il bonus fosse un premio o un atto di beneficenza, una
discriminazione sarebbe difficilmente accettabile. Ma il
bonus è una misura politica, che non intende sovvenire
ai bisogni delle persone; intende invece incentivare le
nascite in una società che sta diventando sterile. Ed è
comprensibile che il Comune s’interessi dei cittadini
italiani, anzi, in concreto, dei cittadini bresciani. Lo
scopo è ottenere che proprio loro facciano più figli
e favoriscano, in questo modo, il futuro della società
italiana e bresciana. Naturalmente, come in quasi tutte
le scelte politiche, si possono avere valutazioni diverse.
Si può ritenere che il calo demografico sia un bene e che
quindi non si debba incentivare la maternità; oppure si
può ritenere che un bonus da mille euro sia un incentivo
insignificante e che una autentica politica demografica
deve operare su livelli diversi: sgravi fiscali per i figli,
politica della casa che permetta affitti sopportabili,
diffusione del part-time, asili-nido e simili.
La tensione che si registra nella vita cittadina nasce dal
fatto che un problema politico-amministrativo viene
valutato con criteri etici e che la valutazione etica viene
trasposta a livello politico. Sicché nel dibattito c’è tutta
l’animosità della politica e tutta la radicalità dell’etica.
Non c’è niente di peggio dell’etica usata per altri fini
perché non c’è niente che, come l’etica, si proponga
come assoluto. Sono quindi d’accordo che il problema
vada affrontato in ottica politica, cioè in vista del bene
della cittadinanza; e che, nella valutazione di questo
bene, ci si renda conto della relatività di tutte le visioni.
Purtroppo non esistono (o quasi) scelte politiche che
non abbiano controindicazioni; bisogna cercare di
valutare quale sia il bene in una situazione concreta e
questa valutazione non è sempre facile; le motivazioni
non sono sempre univoche.
Eppure qualche perplessità mi nasce. La prima è una
specie di mancanza di riconoscenza nei confronti
degli immigrati. Partiamo dalla constatazione evidente
che la stragrande maggioranza degli immigrati lavora
nelle nostre fabbriche o nelle nostre case; se lavora,
contribuisce alla produzione del bene di tutti. Tutti
godono del livello del Pil nel nostro Paese; da questo,
infatti, dipendono le pensioni, la spesa sanitaria, la spesa
scolastica. Perciò, dobbiamo riconoscerlo sinceramente, del nostro livello di
benessere siamo debitori anche agli immigrati. Escluderli da un
beneficio che riguarda i bambini dice – lo si voglia o no – una forma
di indifferenza. Come se dicessimo loro: siamo disposti a fare
con voi un contratto di lavoro perché ci serve; ma, per il resto, non
vogliamo avere nulla a che fare con voi. Il futuro delle vostre famiglie
riguarda voi e voi soli; a noi non interessa. Ragionamento
possibile, dal punto di vista politico, ma brutto, ingeneroso. Rende
la nostra vita sociale più frammentata, meno solidale.
E questo, temo, non andrà senza conseguenze anche sul clima
sociale stesso, sul livello di fiducia e di solidarietà che è presente
all’interno della società bresciana. Una società meno solidale è
anche inevitabilmente meno sicura. Non solo: gli immigrati che
lavorano da noi (ci costruiscono le case, ci assistono gli anziani,
ci fanno i lavori più pesanti) vengono da noi quando sono già
adulti, in età da lavoro. Ma qualcuno deve pur avere pagato per
gli anni della loro crescita e formazione; deve aver dato loro da
mangiare e fornito una qualche forma di istruzione. Un ragazzo
che inizia a lavorare è costato alla società un prezzo economico e
sociale significativo, un prezzo che noi non paghiamo per gli immigrati.
Li troviamo già grandi, già capaci di lavorare. Non sarebbe
un gesto bello dare anche a loro il bonus? Sarebbe come dire:
vi siamo grati di lavorare per noi e di assicurarci un livello più alto
di benessere. In fondo, faremmo per i neonati quello che già
facciamo per i ragazzi quando li inseriamo nelle nostre scuole e
spendiamo per la loro istruzione; o quando impegniamo la sanità
pubblica per curarli. Rifiutare il bonus significa oggettivamente
dire loro: che voi mettiate al mondo figli o no, non ci interessa;
è questione che riguarda voi ed eventualmente il Paese da cui
provenite. Diverso sarebbe il problema se si facesse problema di
bilancio. Siamo in tempi di vacche magre e non riusciamo a fare
tutto quello che vorremmo. Il ragionamento suonerebbe così:
non riusciamo ad andare incontro a tutti; andiamo perlomeno
incontro a quelli che ci sono più vicini. In questo caso, però, credo
che dovrebbe essere possibile un coinvolgimento della società civile
(imprese, banche e singoli cittadini) per dare alla concessione
del bonus l’ampiezza massima possibile. I cittadini bresciani più
abbienti potrebbero, ad esempio, rinunciare al bonus in favore
di immigrati poveri che hanno avuto un figlio. Il calcolo non dovrebbe
essere difficile. Chissà.
editoriale
BRAVO DON… SEI TUTTI NOI… BASTA FARE I FINTI CATTOLICI QUANDO FA COMODO.
Sono proprio contenta che la Chiesa, finalmente, si esprima.
Sono d’accordo col vescovo: qui comanda solo la Lega Nord!!!
Bravo Paroli. Non si può dare a tutti e quindi è giusto favorire chi è Bresciano.
L’intervento del Vescovo Luciano mi ha dato grande gioia.
In questi ultimi mesi, in città, si respira un brutto clima : gli immigrati sono visti come un morbo da isolare e debellare, un pericolo per la nostra sicurezza e per le nostre tradizioni.
I Leghisti non hanno esitato a usare l’ "arma" della religione per difendere la nostra identità, diffondono l’idea che le nostre tradizioni religiose siano messe in pericolo dalla presenza degli stranieri.
In qesto clima d’odio e di cattiveria, faceva pensare il silenzio dell’associaizonismo cattolico e della Curia… e invece il nostro Vescovo è intervenuto per riaffermare il Verbo di Gesù Cristo.
Brescia non è una città qualsiasi… è la città di Papa Paolo VI, il Papà della CIVILTA DELL’AMORE, per cui Noi Cattolici Bresciani siamo chiamati a sperimentare in prima persona la virtù della Carità !
Questo non vuol dire che non servano provvedimenti per regolamentare i flussi e prevenire-reprimere gli illeciti… ma ciò non autorizza la criminalizzazione di interi popoli !