Accade a volte di non saper più a cosa aggrapparsi di fronte a interrogativi inaspettati. Giorni, settimane,
mesi in cui tutto è apparentemente semplice e poi attimi, frazioni di tempo, in cui il bivio appare paurosamente
definitivo.
La versione più recente si chiama “Contraccezione di emergenza con Levonorgestrel”. Burocratismo terribile
più noto come “pillola del giorno dopo”. Banalizzazione ancor più terrificante.
In Italia pare che negli ultimi 3/4 anni più del 50 per cento delle somministrazioni sia stato utilizzato da
adolescenti o neo maggiorenni. Sono due pastigliette da ingerire solo dietro prescrizione del ginecologo o
– più frequentemente – al Pronto Soccorso.
Non di rado capita che alle prime esperienze con gli anticoncezionali qualcuno incorra in “incidenti” non
voluti e allora la corsa convulsa verso l’accettazione ospedaliera diventa il rimedio che placa il panico e
anche un po’ la vergogna.
Si tratta di un ormone progestinico da assumere entro 48/72 ore dopo un rapporto sessuale non protetto
che evita l’eventualità d’una gravidanza bloccando l’ovulazione e creando un ambiente sfavorevole
all’attecchimento dell’ovulo in utero. Se l’assunzione non avviene frequentemente gli effetti collaterali sono
di poco superiori ad una sbronza.
Non si può dire aborto ma nemmeno semplice contraccettivo.
Le mie ragioni di fondo mi portano a credere che “ogni vita vale più del cibo e ogni corpo più del vestito”.
Certamente l’uso del profilattico può costituire una garanzia contro malattie terribili. In ogni caso qualsiasi
anticoncezionale non può esimere da una consapevolezza sulle responsabilità che stanno tutte dentro un
atto di donazione reciproca fra un uomo e una donna.
So bene che esistono tante forme d’amore e che nessuna può essere etichettata quando è espressione
autentica di quel sentimento. Tuttavia penso che l’amore non dovrebbe mai incappare in “incidenti” o “soluzioni
postume”. Dovrebbe essere quel tranquillo, faticoso, quotidiano incedere che previene ogni lacerazione
e che serenamente assume i limiti della Natura che ci è data come dono e non come proprietà.
Questa rubrica l’ho chiamata “voce tra le foglie” anche perché quando non so più a che santo votarmi mi
viene d’abbracciare il tronco di una pianta e rintanarmi dentro le sue chiome.
Per tutto il tempo che son capace, avvinghiato, mi regalo la possibilità di crescere nei profumi dei suoi fiori,
nel brusio degli insetti che lo abitano, nel chiaroscuro che filtra dal cielo, nel gusto dei suoi frutti o nelle
dolci carezze alla sua corteccia umida.
Cosa ci manca per convincere i più giovani che l’albero della vita non dovrebbe mai conoscere emergenze
del giorno dopo?
Gianluigi Fondra – Mompiano
senti un po\’ caro Gigi, io ho un amico di circa settant\’anni, un personaggio originale, appassionato di montagna, celibe,…insomma un curioso personaggio di paese un po\’ avulso dal contingente ma anche lui abbraccia spesso gli alberi ed ora riesco meglio a comprendere la bontà e la lungimiranza di quel gesto.
Grazie per lo stimolo che mi hai offerto, a presto