Ragionamenti di un provinciale

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    Il tango non è semplicemente un ballo. È una promessa. È qualcosa che per nessun motivo puoi lasciar lì a metà, che se lo vengono a sapere giù in Argentina vengono su a questionare.

    È pieno il mondo di gente che inizia a ballare una mazurca ma, vuoi perché lei deve andar via prima di mezzanotte sennò la carrozza con cui è arrivata si trasforma in zucca, vuoi perché lui deve alzare i tacchi, infastidito dalla criptonite che danno come premio al baracchino del tiro a segno, insomma, prima che sia finita prendono su e vanno via, che tanto in Polonia sono meno permalosi.

    Nel tango no! Quelli come me che lo ballano sanno bene che, nonostante eventuali avversità anche gravi, bisogna comunque arrivare al casquet finale e buttare giù la donna.

    L’estate scorsa, per esempio, è grandinato mentre eseguivo un tango in una balera a cielo aperto della Romagna, ma per evitare che venissero lì degli argentini a metterla giù dura si è continuato nonostante piovesse in testa della roba pesante. Io mi sono accorto subito del decesso sul colpo della mia dama per trauma cranico continuato, ma sono stato così bravo da arrivare comunque al casquet finale senza far capire di avere in mano un cadavere. Poi, fingendo una galanteria, sono rincasato portandola in braccio come fa lo sposo con la sposa fin sulla soglia di casa, e l’ho seppellita nell’orto del mio vicino, dove negli anni ho sotterrato altre sventurate.

    I mariti delle scomparse, puntualmente impegnati a giocare a Scopone Scientifico mentre io faccio ballare le loro annoiate metà, sospettano di me ma la Polizia non ha mai trovato niente a casa mia. Quando un giorno smetterò col tango, farò una soffiata alla Omicidi che inchioderà il vicino e farà contenti i vedovi.

    Io, nonostante sia uno che ha preso tot grandinate in testa che gli hanno crepato il cranio, sto da Dio; quando infatti tira vento, sento attraverso il cervello della leggera brezza che mi porta via i brutti pensieri.

     

     

    Rubes

     

     

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