di Renato Borsoni – Chiude la Standa di piazza della Vittoria e si apre probabilmente unaltra occasione di discussione sul destino di uno spazio cittadino che ha avuto la sventura o lavventura di essere stato al centro di un mostruoso esempio urbanistico nel Ventennio: il tema è stato poi ampiamente affrontato da emeriti studiosi, e non sarò certamente io a entrare nel merito. Fatto sta che se il progetto fosse stato portato a termine linsorgere della guerra lo ha fortunatamente (?) bloccato i bresciani ne avrebbero almeno colto il significato e giustificato a ragion veduta il disegno rinnovatore del tessuto urbano.
Invece, la piazza è rimasta, a ottantanni di distanza, un allucinato vuoto privo di interpretazioni possibili. Mussolini, per linaugurazione, laveva riempito di una sterminata moltitudine di bresciani inneggianti: che io ricordi, più nessun politico ha più utilizzato per i suoi discorsi quellarengario di bel disegno che domina romanamente a mezzaltezza la grandissima piazza. Lunico riferimento decorativo daltronde se lera divorato lallegria antifascista del dopoguerra, che si era accanita sul Bigio, la grande statua che dominava la fontana che non cè più (ora cè lingresso del parcheggio sotterraneo): un signore di marmo come quelli che ancora decorano lo stadio olimpico di Roma, tutto nudo con il deretano rivolto verso i clienti seduti fuori dal caffè Impero lì accanto chiamato infatti dai bresciani bar de le dò cülate.
Poi il parcheggio sopra e sotto, i mercatini, i posteggi dei taxi, le punzonature della Mille Miglia: nulla è riuscito a dare alla piazza il significato di cuore moderno della comunità come era sicuramente nellutopia dei progettisti. La prima ragione è nellincompiutezza del progetto, ma ce ne è sicuramente unaltra: quella degli amministratori pubblici che si sono susseguiti dal dopo guerra ad oggi e che hanno svogliatamente sottovalutato il problema. Se non si è riusciti a inventare una utilità urbanistica, sarebbe stato meglio restituire la piazza alla sua dignità architettonica (peraltro citata da tutti i manuali del settore) restituendola ai cittadini nel suo aspetto originale, monumento architettonico significativo di un periodo storico ormai politicamente sepolto (speriamo).
La Standa che chiude: a proposito ricordo che, prima, negli spazi sotterranei viveva un mercato coperto di grande vivacità. Non è un suggerimento.
DA IL QUOTIDIANO IL BRESCIA – 29 GENNAIO 2009