di Renato Borsoni – Di Pieremilio Gabusi abbiamo già scritto un anno fa in occasione della sua scomparsa: in questi giorni il suo nome è entrato nella toponomastica cittadina e in particolare anche sul suo teatro di Casazza. Raramente un riconoscimento analogo viene preso così rapidamente e con tanta generosità di consensi: le qualità umane e civili di Piero sono state un esempio veramente raro per tutti coloro che lo hanno frequentato.
Forse è per questo che nei commenti di questi giorni anche in quelli pubblici è prevalso, giustamente, laspetto più caratteriale e aneddotico della sua figura. Anche io non potrò di certo dimenticare per esempio dopo decenni di fraterna, quotidiana e reciprocamente rispettosa amicizia i suoi sfoghi canori quando saltando da una cantinella allaltra nel cortile del S. Chiara esplodeva a squarciagola nella romanza di Turandot facendo arrivare il suo Vincerò fino alle falde del Castello; oppure, nella parte più personale e amatoriale dell attività di teatro, la cura meticolosa e le invenzioni strepitose delle sue personali messinscene. Ma io vorrei sottolineare laspetto altamente professionale delluomo di palcoscenico.
Pieremilio, lavorando in umiltà accanto a grandi nomi del teatro italiano (e oltre, perché io cito sempre la sua preziosa collaborazione con Ian Koblasa, il più noto scultore ceco per un nostro spettacolo alla Biennale di Venezia), ha esibito qualità tecniche di eccellenza che lo hanno fatto conoscere in tutti i palcoscenici della penisola. Mi piace ricordare qui una chiaccherata con Ivo Chiesa, direttore del teatro stabile di Genova e considerato un rigidissimo produttore di spettacoli, che in chiusura della settimana di repliche di Vestire gli ignudi mi dichiarò tutta la sua ammirazione per léquipe tecnica bresciana guidata da Gabusi: per la competenza, la puntualità, il rigore. Assicuro chi legge che non capita spesso in teatro.
E, tra i mille episodi, quello del direttore degli allestimenti del teatro di Modena che era salito in palcoscenico per capire con quale stregoneria riuscisse a ruotare a vista, silenziosa e morbida, lenorme parete della scenografia di un Ibsen per la regia di Castri. E strabuzzò gli occhi, sotto lo sguardo sornione ma sempre sorridente di Pieremilio, quando si accorse che tutto nasceva da un motorino piccolo piccolo che azionava una delle strabilianti macchinerie del nostro costruttore.
DA IL QUOTIDIANO IL BRESCIA – 5 FEBBRAIO 2010
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