Vuvuzelas e termoutilizzatori

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di Renato Borsoni – Un paio di anni fa nei corridoi del potere locale giravano battute su quello che sarebbe stato il nome dell’azienda nata dalla fusione della bresciana Asm e della milanese Aem. Come succede in questi casi, c’era tutta una fioritura di ipotesi tra l’ironico e il folcloristico, che furono messe a tacere quando da Milano giunse la strana ma perentoria decisione (come molte altre, purtroppo, imposte dalla capitale morale) di diffondere il logotipo A2A. Quando fu svelato l’arcano dell’impronunciabile grafismo, si seppe che guardava verso il futuro: perché, se le due A erano iniziali delle due aziende originarie, il numero 2 costituiva una variabile che, una volta confluita nella società un’altra grande azienda, sarebbe diventata A3A. E magari così di seguito, a dio piacendo.

Mi venivano in mente queste curiosità, un po’ pettegole, leggendo che a Castelcovati esiste un’azienda che si chiama TreA: nel caso che A2A volesse un giorno diventare A3A, si potrebbe verificare una perseguibile confusione in commercio?

No, obbiettivamente il rischio non c’è: perché l’azienda di Castelcovati produce – ormai lo sanno tutti – le vuvuzelas. Anche, naturalmente, vuvuzelas. Si, quelle terribili trombette che, nate nel cuore dell’Africa dalle ossa dei grandi animali uccisi e usate come richiamo nelle foreste, sono finite – simili nella forma ma svilite dal materiale plastico stampato – a fare da commento sonoro negli stadi. E quale commento. Migliaia di esseri umani che, gonfiando a turno occhi e guance, emettono l’assordante urlo uniforme che può procedere per ore senza pietà, senza concedersi – e concedere – un attimo di sollievo. La cosa più impressionante è che questa ossessione sonora collettiva imprigiona e assorda senza tregua non soltanto le squadre in campo, ma anche le centinaia di milioni di orecchi di chi vorrebbe assistere in televisione a una partita di calcio associandosi in diretta al pubblico dello stadio o partecipando in modo quasi interfacciale con i commentatori. Si può spegnere l’audio, ma il risultato è quella cosa deprimente che danno le partite a porte chiuse. Dunque, se questo è un passo ulteriore verso la globalizzazione, dio ce ne scampi e liberi. (Intanto, accontentiamoci di assicurare il mercato: TreA non costruirà termovalorizzatori e A3A – se ci sarà – non stamperà vuvuzelas. Nessuna possibile confusione).

DA IL QUOTIDIANO IL BRESCIA – 25 GIUGNO 2010

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