Delibere discriminatorie, passo indietro di Roccafranca. Quattro casi ancora aperti. La Cgil: “Così i comuni sprecano i soldi pubblici…”

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Il comune di Roccafranca ha fatto un passo inditero e ha revocato l’ordinanza che introduceva il reddito minimo tra i requisiti che i cittadini non italiani devono avere per poter ottenere la residenza. Un gesto dovuto alla battaglia legale iniziata dalla Cgil di Brescia contro le “delibere discriminatorie”, ad iniziare dal bonus bebè della Loggia. Per un caso che si chiude restano però altre quattro situazioni aperte. Situazioni nelle quali il sindacato non ha alcuna intenzione di mollare, cosa che invece – spiega la Cgil in una nota – dovrebbero fare le amministrazioni di Verolanuova, Calcinato e Bassano Bresciano e Ghedi le quali, per difendere le loro ordinanze in tribunale, stanno sperperando denaro pubblico.

 

ECCO IL TESTO COMPLETO DELLA NOTA

 

L’Amministrazione di Roccafranca ha revocato nei giorni scorsi l’ordinanza che introduceva il reddito minimo tra i requisiti che i cittadini non italiani devono avere per poter ottenere la residenza. Un aspetto, questo, non previsto dal Regolamento anagrafico nazionale, che pone come unico vincolo per gli stranieri il fatto di essere regolarmente soggiornanti in Italia. La decisione dell’Amministrazione è conseguenza della lettera di diffida inviata nel giugno 2010 da Fondazione Piccini, Associazione Studi giuridici sull’immigrazione e Cgil di Brescia nella quale si chiedeva di ritirare l’ordinanza discriminatoria.

Lettere analoghe, sottolineiamo, sono state inviate anche ai Comuni che hanno adottato ordinanze simili quali Verolanuova, Calcinato e Bassano Bresciano, i quali non hanno però deciso saggiamente come il Comune di Roccafranca. Da qui l’approdo in tribunale, cosa che Fondazione Piccini, Asgi e Cgil avrebbero voluto evitare. In tutti i casi, peraltro, anche l’Unar, l’Ufficio antidiscriminazioni razziali che fa capo al Dipartimento Pari Opportunità della presidenza del Consiglio e la Prefettura di Brescia chiamata a pronunciarsi nel merito, hanno preso posizione e invitato i Comuni a ritirare le ordinanze. Così, purtroppo, non è stato e il 24 marzo il giudice dovrà quindi prendere una decisione per l’ordinanza di Calcinato, il 6 giugno per Verolanuova e in una data ancora da definire per Bassano Bresciano.

Rispetto alla vicenda che riguarda Ghedi e il regolamento che escludeva a priori i cittadini non italiani dall’assegnazione di alloggi sociali, sappiamo che mercoledì il Comune di Ghedi ha annunciato davanti al giudice Mancini del tribunale di Brescia che la prossima settimana valuterà l’opportunità di modifica, impegnandosi a togliere il vincolo della cittadinanza italiana dalla delibera. Nelle dichiarazioni rilasciate agli organi di informazione dall’avvocato del Comune apprendiamo che ci sarebbero problemi di competenza e che “l’associazione che ha promosso la causa” non avrebbe potuto farlo. A parte il fatto che si tratta di obiezioni inutili o infondate (che la causa debba essere assegnata a una sezione o l’altra del Tribunale è cosa del tutto irrilevante; mentre sulla questione delle associazioni si sono già pronunciate numerose volte i Giudici di Brescia sempre riconoscendo il diritto di Fondazione Piccini e ASGI di promuovere la causa) dobbiamo prendere atto che i rilievi del Comune sono di tipo esclusivamente formale e procedurale mentre nulla il Comune ha da dire a difesa di una delibera che evidentemente sapeva sin dall’inizio essere contraria alle leggi nazionali e regionali in materia di alloggi, come rilevato non solo da noi ma anche dall’Unar e dal difensore civico regionale.

Vogliamo quindi chiarire che, a nostro avviso, rispetto a tutte le delibere che, in contrasto con la vigente normativa, escludono tutti gli stranieri da determinate prestazioni sociali e da determinati benefici non vi è né vi può essere alcuna “trattativa” tra associazioni e comuni, fosse anche solo perché le associazioni non hanno alcuna intenzione né alcuna titolarità per “concedere” violazioni di legge. Verificheremo quindi se il Comune deciderà davvero di tornare sui suoi passi, come preannunciato, solo rammaricandoci che il ripensamento, nonostante le precedenti lettere illustrassero dettagliatamente le nostre ragioni, è intervenuto non appena ci si è seduti davanti a un giudice (bastava pensarci il giorno prima…) con ciò gravando le casse comunali da spese processuali inutili.

Ancora una volta, meno ideologia e un po’ più di riflessione e di rispetto della legge forse avrebbero fatto bene non solo alle finanze comunali, ma soprattutto alla coscienza civile della comunità locale.

 

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