Vendita di Serenissima: ci siamo

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    Come annunciato negli scorsi mesi il comune sarebbe pronto a vendere le proprie quote in Serenissima, pari al 3,8% delle azioni.

    Poca cosa? Solo apparentemente. Dopo la recente vendita da parte del comune di Milano delle proprie quote e nella più ampia strategia per giungere al controllo della società, anche solo il 3,8% può essere molto appetibile. Ne è convinto l’assessore Fausto Di Mezza, che ha relazionato in merito alla questione durante la Commissione Bilancio & Partecipate. Già ipotizzata anche la cifra che potrebbe entrare nelle casse della Loggia: circa 42 milioni di euro.

    Per la vendita non ci sarà asta (pericolosa) ma varrà il criterio della miglior offerta e una volta chiuso il bando il comune deciderà se il prezzo è congruo. Alle quote della Loggia sono interessati sia enti pubblici che privati e banche. Buon sintomo affinché la vendita vada a buon fine (e la Loggia recuperi i soldi per pagare le maxi-rate della metropolitana…)

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    1 COMMENT

    1. E’la spesa corrente che continua a crescere e che devono tagliare perchè altrimenti la vendita del patrimonio continuerà senza soluzione di continuità. Sono gli sprechi e l’enormità degli incarichi e delle prestazioni esterne in presenza di una quantità abbondante di personale a tempo indeterminato.
      E questo in una situazione dove vi sono ancora i dividendi di A2A che dal 2009 al 2010 ha person un terzo del fatturato passando da €.5,772 miliardi a €.3,974 miliardi e che per distribuire i dividendi usa, anche lei, le vendite di patrimonio e le riserve straordinarie.

    2. Come si faccia a non considerare strategica la partecipazione alla società che gestisce le autostrade che passano per Brescia non riesco a capirlo. Ma allora perchè non vendere l’OMB che pare vada così bene? non sarà mica strategica, vero? O ci sono di mezzo il vecchio proprietario che l’ha portata al quasi fallimento ed i suoi interessi nella Compagnia delle Opere? Mah!

    3. Riporto un articolo del sole24ore,alquanto preoccupante su quello che sta succedendo nel mondo dell’Autostrada Serenissima BS/PD,se solo una minima parte del contenuto dell’articolo corrisponde al vero,be’ allora cari lettori,credo che in tempi non lontani ne vedremo delle belle in questa Azienda per tutto quanto concerne il suo futuro “” Mala tempora currunt”" per i Lavoratori di codesta Azienda,speriamo bene –
      Sarà anche “Serenissima” quella filante autostrada che corre per 180 chilometri, unendo Brescia a Padova, ma di sereno si è visto ben poco negli ultimi anni. Perlomeno nella capacità di far tornare i conti.

      Un paradosso dato che il business autostradale è tra i più remunerativi e meno rischiosi che si possano immaginare. E infatti sul versante dell’incasso dei pedaggi e della mera gestione industriale tutto fila liscio. L’Autostrada Brescia-Padova tramuta in margine lordo circa circa 40 euro ogni 100 incassati, in linea con i concorrenti. I guai vengono da altrove. Dai piani bassi del gruppo che da società industriale si è tramutata in un’immensa holding finanziaria con una cinquantina di società partecipate che fanno di tutto. Ma lo sbarco nella finanza è stato un clamoroso autogol. Già perché Serenissima ha portato in pancia per anni due realtà, Infragruppo Spa (che detiene tra le altre la società di Tlc Infracom) e Acufon che hanno rischiato di mandare a picco tutta la baracca.

      Il mistero di Infragruppo
      Il conto è arrivato sonoro l’anno scorso. La controllata Infragruppo è riuscita a perdere ben 93 milioni di euro dopo averne perso per strada altri 10 nel 2007. Un onere da 100 milioni che equivale a poco meno della metà dei ricavi della Brescia-Padova e ad almeno 3-4 annualità di profitti. Quel conto è stato pagato anche dai soci pubblici di Serenissima, che possiede il 49% di Infragruppo, e che hanno visto nel bilancio 2008 svalutazioni per 70 milioni. Gli azionisti di Serenissima per il 59% sono Comuni e Province venete. Ma di chi è il resto del capitale di Infragruppo? Una quota del 20% è in mano a Banca Imi (IntesaSanpaolo); il restante 29% fa capo più o meno direttamente a Mario Rino Gambari. Non un personaggio qualunque. L’imprenditore di Lumezzane ha un ruolo (e che ruolo) in Serenissima.
      Dal 2005 è il primo socio privato di Serenissima di cui ha il 24% del capitale. Un ginepraio di interessi e di incroci che ha finito per coltivare un reticolo di società tuttofare che con il business autostradale c’entrano ben poco.

      Gambari e il pieno di prestiti
      Molti degli snodi delle difficoltà incontrate da Serenissima vengono proprio dal ruolo giocato da Gambari da quando è entrato nel business autostradale. L’acquisizione della prima quota del 20% (cui si è aggiunto un altro 4%) è avvenuta tramite la sua società Re.Consult Infrastrutture nel marzo del 2005. Prezzo pagato e iscritto a bilancio di 200 milioni. Ma Gambari ha messo soldi suoi? Ben pochi. Re.Consult si è caricata di debiti con le banche (Mediobanca e Abn Amro).

      A fine 2008, passati tre anni dall’operazione, l’esposizione con gli istituti di credito è di 159 milioni. E cosa hanno fatto le banche? Si sono cautelate chiedendo in pegno tutte le azioni della Serenissima detenute da Gambari. L’impero di Gambari (una ventina di società) non sta benissimo: la Cif ha perso 7 milioni nel 2008; Iniziative Logistiche ha un passivo di 4 milioni e la stessa Re.Consult è andata in rosso per 9 milioni l’anno scorso. Ma anche ai piani bassi della Serenissima si sente la presenza dell’imprenditore bresciano e dei suoi soci che del debito hanno fatto passione. Gambari e la Serenissima controllano Infragruppo la zavorra della società autostradale. Anche qui la presa di possesso è avvenuta ricorrendo alle banche. La sola Cassa di Risparmio del Veneto (gruppo IntesaSanpaolo) ha in essere un finanziamento per 135 milioni, altri 40 milioni li ha messi direttamente Serenissima. A fine 2008 la situazione era drammatica. Debito corrente esploso a 350 milioni dai 150 milioni del 2007; covenant con le banche (l’equilibrio finanziario idoneo a mantenere le linee di credito) saltati e un patrimonio netto crollato a 13 milioni dai 100 dell’anno prima. Una situazione da crack imminente cui si sta ovviando solo in questi giorni rinegoziando il debito e cercando di razionalizzare la società con dismissioni ormai ineludibili.

      Ma come si è potuti arrivare a tutto ciò? Al punto cioé di dover correre ai ripari pena il contagio ai piani alti del ricco business autostradale. Un banchiere che vuole mantenere l’anonimato, prova a dare una spiegazione: «I business, compreso Infracom con la sua rete di fibre ottiche, vanno bene. I guai sono tutti finanziari e sono il frutto di acquisizioni e conferimenti fatti negli anni passati a valori irrealistici, tanto che Serenissima ha finito per doverli svalutare e le perdite, come si vede dai bilanci, vengono tutte da lì. Se a questo unisci il ricorso eccessivo al debito la miscela diventa esplosiva». La domanda è: a chi è convenuto all’epoca assegnare quei valori rivelatisi assai poco congrui? Non certo ai clienti di Serenissima.

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