Valtrompia in cerca di riscatto (Sarezzo , Gardone, Marcheno, Bovegno, Collio, San Colombano)

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    La Valle Trompia è stretta tra Valsabbia e Valcamonica. Terra di mezzo, caratterizzata da una prima parte più industrializzata e da un’alta Valle più rurale, che da anni versa in una situazione di semi abbandono. Persone schiette e concrete i valtrumplini: lavoratori indefessi, gente aperta più di quanto si possa pensare. Da Concesio a Sarezzo, fino a Gardone Val Trompia, il traffico stradale è ai massimi livelli, i capannoni industriali si alternano alle armerie, le falegnamerie alle acciaierie dismesse. Partendo da Brescia si percorre la statale che immediatamente, complice anche i cantieri che non terminano mai per la realizzazione della prossima stazione della metropolitana, diventa un incubo per ogni automobilista. Strada considerata non a torto fra le più trafficate d’Italia (per portata d’auto all’ora), tanto che fino a non più di un paio d’anni fa in molti parlavano della necessità di costruirvi un’autostrada. Da Marcheno in poi si passa all’Alta Valle, e tutto cambia: la carreggiata si fa stretta,i tornanti si succedono e il tempo sembra inizi a scorrere più lento anche attraverso il finestrino: si scopre il parco minerario, costituito dalle ceneri di quello che fu un complesso estrattivo di ferro e di produzione d’armi di primo livello, dai tempi dei Romani fino alla Repubblica di Venezia.Il forno fusorio di Tavernole, il comprensorio di Pezzaze, la miniera Sant’Aloisio (che oggi si può visitare grazie al percorso miniera-avventura) e l’ormai dismessa Torgola, sono testimonianze di una vivacità economica e sociale andata perduta nel corso dei secoli, degli anni. Seguendo il letto del fiume Mella si giunge fino a Collio, ultimo baluardo di civiltà adagiata su un’amena conca, ai piedi del monte Colombine. Il paese è un’antica stazione turistica che un secolo fa poteva benissimo essere considerata una piccola Madonna di Campiglio, ma che poi, lentamente, ha disatteso le aspettative: gli investimenti non sono andati a buon fine, e da rinomata località di villeggiatura si è pian piano trasformata in paese turistico di nicchia. Una stazione climatica con pochi servizi e ancor meno divertimenti, a totale appannaggio di anziani che vengono a svernare d’estate o di qualche gruppetto di nostalgici che vi hanno passato bei momenti adolescenziali. E sì che l’Alpe Pezzeda, nominata non a sproposito “la montagna dei bresciani” ne avrebbe di cose di offrire: stazione sciistica d’inverno, parco ciclistico della specialità downhill d’estate. Il problema rimangono i finanziamenti, e la difficoltà a fare gruppo tra Enti pubblici e privati. Altra prerogativa, salendo ancora oltre la frazione di San Colombano, è il monte Maniva, recentemente ristrutturato nelle piste, nell’impianto di neve artificiale e persino nelle strutture alberghiere grazie alla passione di imprenditori locali. Un’altra spregevole iniziativa, sfruttata solo parzialmente (nonostante la chiusura del vicino Gaver e il collegamento diretto con Bagolino) per la grave assenza di un sistema turistico complessivo.

    La Valtrompia, nota negli anni ’70 e ’80 anche come la Valle d’Oro per le fiorenti industrie che ospitava e che offrivano lavoro, oggi è davvero divisa in due, e anche la popolazione sta lentamente cambiando: molti gli immigrati, che complici affitti particolarmente bassi, hanno deciso di soppiantare i più giovani, che, se possono e ne hanno l’opportunità, si trasferiscono presto verso la città. Extracomunitari sovente guardati con sospetto, anche se le istituzioni ovviamente negano, come i meridionali di trent’anni fa, che faticano a integrarsi in un tessuto sociale, sotto diversi aspetti un po’ problematico e chiuso. Fino a Gardone i valtrumplini si sentono cittadini di periferia, prendendo la statale in direzione nord le cose però cambiano, e il senso di appartenenza si mischia all’isolamento, la volontà di cambiare all’impossibilità di reagire. Molte, moltissime le voci che abbiamo ascoltato in questa puntata del nostro ormai consueto “viaggio in provincia”. Più che in altre occasioni abbiamo sentito lamentele, percepito senso di abbandono e degrado sociale. Abbiamo annotato tutto, per dovere di cronaca e per non lasciare appelli inascoltati. Ma il vero cuore che batte in Valtrompia, vogliamo credere sia quello di chi non si adagia e che al contrario sa ripartire, scorgendo nella propria terra e nelle proprie radici un posto unico dove vivere, da esplorare e da far conoscere. Perché di bellezze la Valle ne ha da vendere, come di opportunità a voler ben guardare, anche se per i più giovani, ovviamente, è difficile convivere con chilometri e chilometri da percorrere per tuffarsi nella movida bresciana o nell’ultimo centro commerciale di grido. Viverci, soprattutto per chi non vi è nato, comporta sacrifici, è evidente, ma trovareun proprio equilibrio tra boschi incontaminati, prati verdi lussureggianti e distese di neve a perdifiato, in fondo, crediamo sia ancora possibile. La Val Trompia ha bisogno come dell’aria di un salto di qualità, del contributo di nuove forze e del coinvolgimento delle banche. Deve ripartire dai suoi punti di forza: la valorizzazione dell’agricoltura montana, delle risorse umane, del suo territorio. Fare sistema insomma, e avere fiducia. È tutto quello che serve a questa Valle, per certi versi dimenticata, per altri, ancora tutta da scoprire.

     

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