Il mancato miraggio (Roncadelle)

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    di Alessandra Tonizzo – Cercando il centro di Roncadelle, mi sono persa. Smarrita tra le villette a schiera e i giardini assolati di un comune contiguo, mi sono chiesta come fosse possibile vagare in tondo senza trovare la meta. Poi, ho rivisto il mio sbigottimento negli occhi di una vecchina fuori dall’uscio, ed ho capito che l’effetto di straniamento è un regalo che Roncadelle fa non solo ai forestieri di passaggio. Polvere, semafori lampeggianti, rotatorie, svincoli, deviazioni, traffico, l’asfalto bollente sotto i primi calori estivi, gli sguardi furtivi di donne velate. Il paese si squaderna così, come un miraggio che cerchi di mettere a fuoco mentre tutto, intorno, crepita. Ed è un miraggio mancato, snodato attorno a una via di sparuti negozi che porta il nome della Capitale. Qui, spese mordi e fuggi in auto lasciate dove capita al ritmo delle quattro frecce intermittenti. Roncadelle vanta anche il record di 9,4 metri quadri per abitante adibiti ad esercizio commerciale, grazie alla presenza di grandi superfici di vendita, come il centro commerciale Le Rondinelle, Decathlon, Ikea. Strutture adatte a soddisfare il desiderio di chi preferisce fare acquisti, cullato dall’aria condizionata, dentro cittadelle artificiali, e che incidono positivamente sull’occupazione (anche se troppo spesso con part-time minimi), ma che finiscono per dare al paese un retrogusto sintetico, il sapore di un provvisorio set in via di smontaggio, dove la fissità di un’atmosfera irreale convive con la frenesia di un brulichio nervoso. Eppure sono reali le mura di quegli storici negozi che resistono, nel tempo, e se potessero parlare racconterebbero un susseguirsi di nomi, di merci, di storie. Ma parla poco, Roncadelle. Gli attori sulla scena fanno il loro lavoro, poi via, tutti a casa, in una dimora che, spesso, non è questa. Da qui, lo scrosciare del Mella e del Gandovere è sovrastato dal frastuono della strada, si cercano i segni di quel rinascimento locale fatto di cascine e castelli, gli orizzonti aperti di una terra che scelse la roncola come proprio stemma e baluardo. Imparo una storia diversa, arricchita dalla fatica di chi, pur non sapendolo, ha scelto di far suo il motto d’oltreoceano del self-made man, passando dai campi alle industrie ai negozi. Oggi, queste persone contrattano il prezzo dei primi meloni sulle bancarelle del mercato, portano a spasso passeggini, guardano curiosi le colorate jilbab, le tipiche tuniche marocchine, che vestono i loro nuovi vicini di casa. Oggi, questi nonni confidano che i loro figli mantengano il proprio lavoro nelle cittadelle artificiali, sperano che i loro nipoti possano abitare un mondo che non li avveleni. Li seguo, gli sorrido, gli parlo. Seduta all’ombra di un parco, uno dei tanti presenti in paese, veri polmoni verdi che addolciscono l’aria e il fervore della vita quotidiana.

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