La pieve nel cuore (Concesio)

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    di Alessandra Tonizzo – I gomiti appoggiati ai finestrini aranciati dell’autobus linea 10, lo sguardo si perde tra le prime gemme in fiore stagliate sul cielo. Bighellonano gli anziani di Concesio, le mani dietro la schiena, controllano i cantieri dove sudano variopinti ragazzoni a torso nudo, diventano mimi vivaci, suscitano risa sincere. Motorini carenati sfrecciano in gruppo, sembrano uno sciame d’api in fermento primaverile, sotto i caschi ridono ragazzi in t-shirt che rumorosamente ci sorpassano. Con l’odore di hamburger e patatine fritte stampato nelle narici, regalo dell’American fast food approdato in Val Trompia, arriviamo al nostro capolinea: il cuore del paese, la Pieve. E questo nome antico già racconta tutto. Perché Conhés, cinto ad est e ad ovest dai monti Spina e Stella, sdraiato a cullare i suoi 14mila abitanti, è proprio questo: una grande parrocchia rusticana in cui la vita, regolata dal suono delle campane, trascorre in un’atmosfera di religiosità e premura. Che sia la benefica memoria di Paolo VI, aleggiante dalla sua dimora che custodisce il paese dall’arteria principale, o il fervore di una tradizione che non si spegne, poco importa: il borgo delle nove frazioni, da Ca’ De Bosio alla Stocchetta, non mente. E se è indubbio che il passato sopravviva alla storia con famiglie i cui nomi hanno travalicato le generazioni in più di 500 anni, a dar man forte ai Lodrone, ai Bertoloni e ai Miglioli ci sono le nuove leve che, a modo loro, vivono il 2010 con un sentimento carico di fratellanza. Sono i giovani buoni, stretti all’ombra dell’oratorio; girano in gruppo, aspettano il suono della campanella per raccontarsi i propri segreti occhi negli occhi, seguono con scrupolo i dettami della moda, ma si capisce presto cosa importa loro realmente: l’amicizia vera, gli abbracci della nonna sull’uscio, quella x sul calendario che scadenza l’agognato grest. Si cammina dietro di loro, scivolando attraverso rotatorie fiorite e dossi fluorescenti che stridono con i ciottoli delle vecchie strade, dei muri a secco, delle santelle votive. Si arriva davanti alle Poste, verrebbe da sedersi nel gruppo, sui paletti arrugginiti ai quali s’incatenano le biciclette, ma non abbiamo più 16 anni, e un po’ ce ne dispiace. Li lasciamo alle loro storie per incamminarci a ritroso nella “terra disboscata” che è Concesio, immaginandoci come fosse questa zona abitata quando il massiccio taglio dei boschi cedui non poteva ancora darle nome. Alla fine del viaggio, mentre il panorama delle piccole industrie stringe il cerchio della periferia, ci accorgiamo che questa Pieve ha mille navate e nessun altare, che non c’è centro. Ed è un peccato non aver file di vetrine davanti alle quali lustrarsi gli occhi, o autostrade di pavé per pascere passeggini e sguinzagliare cani? Saliti sull’autobus, direzione Brescia, un signore ci aiuta a sollevare lo zaino pesante, sorride ai nostri “grazie” borbottando in dialetto, sparisce dietro ad un muretto di cinta e prosegue, solitario, per la sua strada. Allora, ci rispondiamo che forse, Concesio, va bene così com’è

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