L’isola felice (Borgo Trento) – Sant’Eufemia che non diresti (Sant’Eufemia)

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L’isola felice – Borgo Trento 

di Sergio Masini – Guai a chiamarlo quartiere: per tutti è, orgogliosamente, semplicemente, la vecchia borgata dove si cresce, ci si sposa e s’invecchia. Cinquantadue attività commerciali in poco più di trecento metri, due file di case (massimo di un paio di piani al di sopra delle botteghe) e gli stessi cognomi che si rincorrono da un centinaio d’anni. Questa è in sintesi Borgo Trento, che si concede un po’ alla volta alla vista di chi di SERgIO MASINI proviene dal centro, con l’ombra degli alberi della scuola elementare, i vecchi lavatoi che ora fanno da passaggio coperto ai parcheggi e una fontanella che sa tanto di usanze popolari. Poco più in là inizia il nuovo lastricato, con i marciapiedi a raso e le fioriere stracolme. Neanche il tempo di scalare la marcia e, se sei in macchina, ti lasci a sinistra la chiesa di Cristo Re e c’è di colpo ancora la città. Appare e scompare un piccolo paese di provincia e capisci che il borgo è una strana parentesi urbana che salta all’occhio proprio quando la lasci. Qui gli appartamenti in vendita sono pochissimi e non certo alla portata di tutti, in più gli fanno la posta molti pentiti che dalla zona se n’erano andati e ora ci vorrebbero tornare. Piace per la sua vocazione popolare, perché ci trovi tutto quello che ti può servire e perché mentre sei dal barbiere ti entra il carrozziere con del prosciutto da farti assaggiare (il piatto gliel’ha prestato quello del bar e il prosciutto è andato a tagliarlo nella trattoria lì a due passi). In effetti, l’impressione, parlando con i commercianti, è che siano una grande famiglia, che tutto sa e molto s’interessa a clienti e vicini di casa, viene quasi il dubbio di essere dentro una sit-com. Le uniche lamentele le devo strappare a forza e sono la velocità tenuta da certi guidatori che l’attraversano, l’illuminazione da migliorare e l’arredo urbano un po’ troppo moderno. Nulla d’irreparabile davvero. Il borgo è cresciuto attorno alla fermata del tram che veniva dalla Valtrompia ed è sempre stato in una posizione invidiabile per il commercio, in più ora è a un tiro di schioppo dal Civile, dal centro, dai principali snodi. Una delle aggreganti è anche la tradizione, ancora molto radicata, di feste e ricorrenze. C’è l’associazione Botteghe del Borgo e la bocciofila, la chiesa, col campanile che hanno aiutato tutti a restaurare e la voglia di stare insieme. Pochissimi gli extracomunitari e, se l’età dei residenti può apparire elevata, da queste parti stanno contribuendo al ricambio generazionale anche molti bambini, che vi trovano un ambiente confortevole dove crescere in tutta sicurezza e magari, un domani, l’occasione di rilevare un’attività, sempre, rigorosamente, nella borgata.

 Sant’Eufemia che non diresti – Sant’ Eufemia

di Sergio Masini – Per chi è abituato a percorrere il trafficatissimo viale, Sant’Eufemia è quel gruppo di case buttate su un lato, sotto le pendici della Maddalena. Entrando in Via Indipendenza (poi Sant’Orsola), ci si rende conto che ha tutte le caratteristiche di un paese di cui ancora orgogliosamente gli abitanti difendono l’identità, un borgo cresciuto attorno alla linea del tram che qui passava fino agli anni Trenta, con lo splendido complesso benedettino, il museo delle Mille Miglia al suo interno e più di una decina di ristoranti e trattorie tipiche distribuite nel giro di neanche mezzo chilometro. Sant’Eufemia è cresciuta sviluppandosi sulla mezzacosta del monte in un villaggio voluto da padre Marcolini, per poi allargarsi con belle villette mono e bi-familiari dove si conduce una vita sonnacchiosa lontano dal traffico. La zona è punteggiata da antiche residenze rurali e stretti vicoli che ne tradiscono il passato medioevale e, da sempre luogo di passaggio, ha nel suo DNA la cultura del mangiar bene “alla vecchia maniera”. Il signor Gianmaria, per esempio, ha girato l’Europa appassionandosi all’attività di ristoratore e, dal celebre Biffi di Milano (dove era direttore), ha poi scelto questa come sede de “Le bistrot”, che (anche se il nome all’inizio metteva soggezione perché un po’ troppo foresto) ha segnato quarant’anni di pranzi, cene e serate del quartiere. Al suo interno una delle osterie più caratteristiche e ricca di cimeli della zona.

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