Dall’impressionismo al futurismo (San Faustino)

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    di Esterino Bennati  – Seguendo il percorso del fiume. Via San Faustino nacque così, con abitazioni strette e variopinte che si ergevano lungo le sponde del Garza, creando uno scenario perfetto per qualsiasi pittore impressionista. Fin dall’alto medioevo era la zona più vissuta di una città attiva nel commercio e nell’artigianato, brulicante di vita, operosa e devota. Era il cuore pulsante dell’economia cittadina, tanto da provocare l’espansione delle mura urbane per includerne le ricchezze. Là dove c’era una città, tuttavia, c’era anche parecchia erba, o meglio, boschi, che diedero il nome alla chiesa d’origine: Santa Maria in Silva. Su quella via sinuosa c’era chi pescava con estrema tranquillità e chi riposava all’oratorio di San Giacomo prima di riprendere il cammino verso Santiago de Compostela. Quella tela ricca di vita e variopinta di brescianità ha circa settecento anni. La storia di San Faustino ne conserva numerose, figlie di epoche diverse ma di uno spirito unico, che sembra trovare l’essenza stessa della nostra città proprio in una via che, un tempo, era un fiume. L’ultimo fotogramma di San Faustino è quello che scorgiamo ai giorni nostri. Di alberi non vi è più traccia, ma lo scrosciare del fiume si può ancora udire, quasi fosse la voce della nostra antica coscienza. Per sentirla basta appoggiare l’orecchio sul tubo metallico presente sulla parete della chiesa del Carmine. La tavolozza a disposizione dei pittori di passaggio, oggi come allora, è estremamente ricca. In questi anni, inoltre, si respira un’aria di trasformazione che merita di essere fissata sulla tela. La storia, infatti, sta bussando con decisione e il vecchio San Faustino risponde, muovendo un passo deciso nel futuro di Brescia e dell’Italia intera verso la nascita di una nazione multietnica. Un abitante su tre, qui, è straniero e numerose attività commerciali hanno nomi che evocano terre lontane. Il cuore pulsante di Brescia è diventato una sorta di ombelico del mondo, una “pangea” in cui persone provenienti da ogni angolo del pianeta vivono fianco a fianco. Le voci da marciapiede, spesso, appartengono a uno spartito sconosciuto e lo scambio di convenevoli in dialetto tra due anziani sembra provenire da strumenti fuori dal coro, ma che restano insostituibili. Qualche “bresciano doc”, intanto, porta i figli in altre scuole. Altri, tempo fa, si leccarono i baffi intascando soldoni da appartamenti subaffittati. Il tempo scorre e i colori prendono il sopravvento, sempre più forti, sempre più vivi. Non sono più solamente quelli delle case in riva al fiume, dei boschi e delle botteghe. Sono quelli di un popolo nuovo nella pelle, nella cultura, nella religione e nella speranza. Via San Faustino resta lì, unica e romantica, e al suo interno sgorgano nuovi corsi d’acqua. Il principale segue il tragitto che una ragazza sorridente compie ogni giorno tra scuola e oratorio guidando una fila di bambini, ambasciatori della pangea bresciana. Sicurezza, permesso di soggiorno, lavoro in nero e diritto di voto non li riguardano. Sono problematiche gestite più o meno male da chi, troppo spesso, parla senza conoscere. I bambini guardano avanti. Sono troppo impegnati a costruire l’Italia che verrà con le uniche armi a loro disposizione: l’allegria, la dedizione ai sogni e quella propensione naturale a tenersi per mano. Saranno loro a trascinarci nel futuro, collegando la tela d’origine – quella in cui Faustino e Giovita respinsero palle di cannone – a quella disegnata da loro stessi a colpi di pennarello, in cui i due santi stanno con le braccia aperte, pronti ad accogliere chi sa appoggiare l’orecchio per ascoltare la voce fiume.

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