Fuga dal centro storico (Centro storico) – Un borgo che ha conservato la sua anima (Fornaci) – Un mix che convince a restare (Viale Ducco, Viale Europa)

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    Fuga dal centro storico – (Centro storico) 

    di Salvatore Scandurra e Alessantra Tonizzo – Brescia e la sua identità. C’è da chiedersi cosa costruisca, alimenti, forgi un’identità, qualcosa che resista all’usura del tempo, oltrepassi indenne le generazioni. C’è da chiedersi quale sia l’identità di Brescia, perché da qui parte tutto: i valori comuni, la coesione sociale, la fierezza, la solidarietà, lo spirito di sacrificio, la voglia di rimettersi in gioco. Se c’è bisogno di domandarselo, con urgenza, con insistenza, significa che le radici della Leonessa hanno perso terreno, e parecchio. Partendo da qui, si capisce come le sempiterne discussioni su ciò che da sempre e ovunque è il cuore della città, la cartina tornasole del suo stato di salute, ovvero il Centro storico, hanno un bersaglio privo di mira. Passata l’estate che l’ha visto protagonista di numerose iniziative culturali, parentesi gradevole, ma lontana dal negotium, alle prime piogge autunnali, il Centro storico di Brescia torna a scandire le giornate di molti bresciani. Lentamente, in maniera approssimativa: un non-ritmo, un andamento lento che lo fanno apparire come un progetto realizzato a metà, in perenne fase rem. Questo è il trend, da molti anni. La tendenza è chiara: quelle “vasche” che caratterizzavano la vita di molti bresciani fino agli anni ’90 sono ormai un ricordo. Non esiste più la voglia di curiosare per vetrine, “lo struscio” sotto i portici, il confondersi tra la folla anche solo per gustare un caffè o un buon gelato. In centro si viene a colpo sicuro: bisogna avere una meta precisa, un obiettivo chiaro, o si sta alla larga; troppa confusione, troppi giri a vuoto con l’auto, tutto diviene una perdita di tempo. I motivi sono noti: carenza di posteggi, mancanza di appeal, scarsi servizi. Chiedersi di chi è la colpa della sua presunta fiacchezza, cercare affannosamente soluzioni ed espedienti, non serve a nulla, perché la responsabilità è di tutti, e senza il sostegno e la partecipazione di ognuno si fanno pochi passi avanti seguiti da altrettanti passi indietro. Il viaggio di Dodici Mesi, che proseguirà sul prossimo numero di novembre, vuole mettere sotto i riflettori i due aspetti della medaglia, il “male” e il “bene” del salotto buono di Brescia e dei bresciani, ma che per svariate ragioni non riesce ancora a recuperare il vecchio ruolo. Commercianti, passanti, istituzioni: abbiamo sentito tutti, nessuno escluso, perché siamo sempre più convinti che la verità sia un fattore trasversale, e nasca dal confronto, con un mondo cambiato, del quale bisogna prendere atto e dal rapportarsi con realtà multiculturali. I centri commerciali, storia vecchia, hanno cambiato i flussi di acquisto, in Europa come in Italia, e la nostra città non fa eccezione. Centri commerciali che offrono posteggi sicuri, orari dilatati, servizi aggiuntivi alla clientela, domeniche incluse. E poi oggi siamo tutti più pigri, gli acquisti spesso si fanno da casa, affacciati ai cristalli liquidi del pc. L’ultimo nato in ordine di tempo, la Freccia Rossa, ha contribuito in maniera decisiva a dirottare lo shopping nostrano. Caso strano e senza precedenti in Europa, di struttura a due passi dal Centro e a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria. Alla Freccia Rossa non si teme né la pioggia d’inverno né il caldo afoso d’estate, le vetrine sono sempre illuminate, le automobili sempre ben posteggiate. Dettagli? Sì. Ma contano. La metropolitana in arrivo e le Ztl possono aiutare a migliorare la vivibilità del centro, ma non bastano, sono palliativi se consideriamo l’assenza di pensiline, la scarsa illuminazione di certe zone. Intanto tutti, commercianti e clienti, pretendono di posteggiare l’auto in centro davanti al proprio negozio di riferimento.Che fare allora? Come rispondono i commercianti a un problema, spesso innescato dalle loro stesse esigenze, che si avvolge su se stesso come un cane che si morde la coda? Cosa dovrebbero fare per essere competitivi? Innanzitutto programmare un’accessibilità ai servizi differente, uniformando e diversificando gli orari di apertura, che per la maggior parte dei lavoratori bresciani non possono essere condivisi. Inoltre dovrebbero maturare tra i commercianti iniziative condivise e promozionali che evidenzino le potenzialità del Centro, indipendentemente dagli acquisti. Il rapporto qualità/prezzo dovrebbe prescindere dall’avere il negozio in centro, che per nessuna ragione al mondo è un editto divino. Un ulteriore aiuto, a nostro parere, sarebbe la creazione di una maggiore identificazione delle zone, caratterizzandole, rendendole uniche e omogenee. Sull’esempio, (provocatorio quanto basta) delle Vie delle Arti e dei  Mestieri di natura medievale. Un’utopia forse, per quattro zone che potrebbero avere una propria, chiara, identità. E un target ben delineato, vediamo le “quadre” ipotetiche, dal sapore antico: • San Faustino; • Via Garibaldi, Corsetto Sant’Agata e Corso Martiri; • Piazza Duomo, i Portici e Corso Palestro; • Via Tosio, Corso Magenta e Via Cattaneo. Sinergie possibili nel segno delle diversità: potrebbero essere usate per creare quell’identità precisa che ancora manca al nostro Centro storico. E sono proprio le associazioni di categoria che dovrebbero spingere per attivare quell’auspicabile mix tra commercio, cultura e svago che oggi è ancora una chimera. Niente di nuovo, niente di rivoluzionario, se pensiamo che ad esempio San Faustino, una delle zone dove oggi nessuno si sogna di aprire un’attività per il semplice fatto che non esiste un progetto di marketing a lungo termine, è sempre stata una zona etnica, centrale e culturale, fortemente caratterizzata già cinquant’anni fa da attività come la famosa “salumeria Castiglioni”, l’unico posto dove si poteva acquistare la storica retina di maiale per cucinare il fagiano. Altri tempi, certo, oggi in tutta la zona gli immigrati stranieri sono una presenza forte, con tutte le difficoltà che questo aspetto comporta, ma anche con molte potenzialità. Se l’area venisse gestita, potrebbe divenire il valore aggiunto di una scelta multiculturale più ampia. Per far sì che questo avvenga, è chiaro, serve un’azione forte e importante nei confronti degli amministratori e dei proprietari degli immobili, un’azione che permetta di far rientrare nella legalità tutti i negozi presenti, con controlli uguali per tutti, che debellino anomalie come, ad esempio, la frequente assenza delle bolle di consegna. In sintesi, quello che auspichiamo, è che presto l’attività principale delle associazioni dei commercianti del Centro sia quella di spingere perché le zone più centrali della Leonessa acquistino identità e caratteristiche proprie, facendo riscoprire ai bresciani la bellezza di passeggiare, a prescindere dal dover o meno acquistare. In fondo, il grande assente in queste strade di Brescia è il coraggio: il coraggio di lasciare spazio ai giovani, di scommettere sulle loro idee, il coraggio del confronto con l’altro, da dovunque venga, di qualunque cultura sia, il coraggio del sorriso e dell’ottimismo. Bisogna arrivare al superamento dei vecchi schemi, roba del Novecento. Che tuttavia, aveva un pregio: la storia, quella bellezza che si può respirare solo nel cuore pulsante della nostra città, che è, sempre, il centro commerciale più bello possibile. E come sempre, è dal cuore che vengono le risposte, anche quelle mute.

     

    Un borgo che ha conservato la sua anima – (Fornaci)

    di Esterino Bennati – Quartiere, zona di periferia, appendice della città o paese? Fornaci è tutto questo e, allo stesso tempo, niente di tutto ciò. Forse non esiste nemmeno una parola che possa definire in maniera esaustiva l’essenza di questa zona di Brescia. La progressiva estensione della città, che con il passare del tempo finisce per fagocitare le località limitrofe, sta allungando i suoi tentacoli anche su Fornaci che, di cittadino, possiede ben poco, mentre conserva i tratti distintivi tipici del borgo. Ecco, forse potremmo definirlo proprio così. Un borgo di origine contadina che con il passare dei secoli è cresciuto e si è modernizzato, ma non ha perduto i tratti distintivi della sua anima profonda, che si può respirare con gli occhi osservando la struttura stessa delle case più vecchie e perfino alcuni dettagli: dalle graziose persiane ai venosi portoni in legno. Fornaci è tutta nella sua via principale, con i suoi negozi sparsi sui due lati della strada che combattono per restare le “botteghe” di un tempo, dove, camminando tra ciottolato e porfido, è ancora possibile scambiare due chiacchiere con un anziano di passaggio. Il cuore di questo “Texas” bresciano è la chiesa, il tutti, grazie a due pilastri sociali come l’oratorio e la scuola materna parrocchiale, che colorano di gioventù tutta Fornaci, ravvivata negli ultimi anni dall’arrivo di giovani famiglie, frutto del rinnovamento e della crescita edilizia della zona. Gli esponenti primari del posto, tuttavia, restano coloro che hanno già spento almeno una quarantina di candeline e, soprattutto, i saggi della terza età, autori dei gesti tipici di una volta e portatori di una routine quotidiana d’altri tempi. Amano ancora assieparsi attorno ai tavoli del bar dell’oratorio per trascorrere un pomeriggio in compagnia, con lo sguardo fisso sull’“apparecchio” per vedere una tappa del tour de France, magari sorseggiando un bicchiere di spuma fresca. Sono loro l’anima di un quartiere che, lentamente, ringiovanisce e, un po’ meno lentamente, va incontro alla metamorfosi figlia della globalizzazione. L’immigrazione, infatti, è arrivata in maniera massiccia a Fornaci, complici le numerose zone industriali della zona e i costi contenuti (fino a qualche tempo fa) di affitti e immobili. L’integrazione procede lenta, bambini e adolescenti non ci fanno caso, i giovani la osservano, gli adulti si dividono fra favorevoli e contrari, mentre i vecchi fanno ciò che sanno fare meglio: consigliare: “Se non ci fossero loro certi esercizi della zona chiuderebbero”; “Loro sono come eravamo noi da giovani: amano trovarsi e stare insieme, mentre noi siamo schiavi della tv”; “Sono in tanti e saranno sempre di più. Ormai per noi la famiglia è un optional, si convive e si fanno pochi figli, bisogna darsi una svegliata”. Sono le voci di una generazione che chiama a raccolta i giovani in un appello alla socializzazione e alla custodia dei valori. Il loro desiderio è che Fornaci un borgo che non è città né paese, possa affacciarsi al futuro senza perdere i proprim tratti distintivi, magari recuperandone alcuni che sono già stati messi in soffitta.

     Un mix che convicne – (Viale Ducco, Viale Europa)

    di Esterino Bennati – Università, ospedali e infine negozi. È un insolito mix quello che compare sulle carta d’identità di viale Europa e via Ducco, strade che sono una la prosecuzione dell’altra dalle pendici dei colli del nord all’anticamera del centro storico. Viale Europa è il fratello maggiore, per dimensioni fisiche e per… ricordi. Perché ogni bresciano ci ha lasciato, volente o nolente, un pezzo della propria anima. C’è lo studente che ricorda con nostalgia il giorno della sua laurea; il bambino che ha ricevuto l’autografo dal campione del cuore davanti all’hotel prima di una partita Brescia-Milan; la donna che è diventata madre all’ospedale Civile e il ragazzo che ha visto risvegliarsi l’amico in sala rianimazione. Ricordi e luoghi che uniscono sconosciuti concittadini sotto un’unica identità, in una via abitata da qualcuno ma vissuta più o meno da tutti. Poi gli ampi spazi del viale si riducono a una via più stretta ma accesa di traffico e dinamismo. Il verde di alberi e aiuole sfuma in un grigio trapuntato di vivacità dalle insegne delle attività commerciali che si moltiplicano a vista d’occhio. Ecco un primo antipasto di centro storico, ecco la prima boccata d’ossigeno locale, depurata dalla vista così familiare della figura del castello, abbarbicato sul colle Cidneo. Chi vive o lavora qui afferma che non cambierebbe questa zona con nessun’altra e poco importa se il traffico è selvaggio, l’illuminazione è scadente e la guerra dei parcheggi è all’ordine del giorno. Problemi sentiti che, a quanto pare, non possono scalfire un amore. Non ce l’ha fatta la metro, che ancora oggi fa sbuffare un po’ tutti in attesa della fine dei lavori. Poi anche lei, come VIA DUCCO l’università, l’hotel, e l’ospedale inizierà a raccontare storie di sorrisi o di lacrime, entrando a far parte del libro della nostra città, scritto giorno dopo giorno da ognuno di noi.

     

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