di Bruno Forza – È il quartiere più grande e popoloso di Brescia, ma anche il più discusso, fonte di notizie di cronaca per i giornali locali e di problematiche ambientali note su scala nazionale, ma è anche una frazione che unisce il vecchio al nuovo in tutto e per tutto, nell’edilizia e in una struttura sociale che vive di forti contrasti. Le diversità di San Polo si amalgamano nei parchi pubblici, negli oratori, sui campi di calcio e nel Centro di Aggregazione Giovanile. Tuttavia un cinismo realista imperversa sulle bocche di molti, ma il sorriso resta, aggrappato alla roccia degli affetti e del legame ad un quartiere comunque amato e vissuto. San Polo ha tanti volti. Da un lato è un quartiere all’avanguardia, ricco di servizi e ad un passo dal centro. Il problema è che esiste un rovescio della medaglia sul quale abbiamo deciso di fare luce raccogliendo voci, fotogrammi e sensazioni per le strade della zona. Il nostro viaggio inizia ai piedi dei giganti dell’edilizia eretti negli anni Ottanta. Sono cinque palazzi altissimi che portano i nomi di alcuni geni italiani dell’arte: Tiziano, Raffaello, Michelangelo, Tintoretto e Cimabue, veri e propri alveari destinati all’edilizia popolare. Il più discusso, come noto, è quello “arlecchino”, dove lo spaccio ha messo radici consolidate e dove negli anni sono andate concentrandosi le frange meno abbienti della società. Un contesto invivibile destinato a conoscere la sua fine entro lo scadere del 2011, termine previsto per l’abbattimento della torre, con lo spostamento di 196 famiglie in altre realtà abitative cittadine. La decisione ha dato vita a un acceso dibattito, ma un colpo di spugna era necessario perché rottamare è comunque più economico che ristrutturare. Mentre un pezzo di San Polo resterà solo un ricordo, un’altra realtà si affaccia sul tessuto urbano cittadino. Si tratta di San Polino, dove tutto è in divenire. Giunti nel nuovo quartiere di edilizia convenzionata ci imbattiamo negli eterni lavori di corso Bazoli e via Alberti, veri e propri crucci di abitanti e commercianti. In attesa che anche la metropolitana veda la luce, la zona si popola a rilento mentre i residenti lamentano la mancanza dei servizi di prima necessità, primi fra tutti farmacia e supermercato. Il capitolo relativo all’ambiente è il piùsentito. Basta passeggiare in via San Polo per rendersi conto della diversità di un’aria pesante e ricca di sgradevoli sentori metallici. Ad ogni angolo della strada spiccano cartelli affissi dai comitati in difesa dell’ambiente e della salute dei cittadini, infiammati dalla questione radioattività delle scorse settimane, quando in Sardegna è stato bloccato un carico proveniente dall’Alfa Acciai giudicato contaminato da Cesio 137. Sul caso è stato aperto un fascicolo. I residenti non si fermano qui e puntano il dito anche sull’inceneritore, opponendosi, inoltre, alla realizzazione del Parco dello sport e del polo logistico. Chiedono a gran voce il compimento del Parco delle cave per dare una sferzata di ossigeno ad un’area afflitta anche dalle immissioni dell’intenso traffico veicolare, condizionato dalla vicinanza di tangenziali e autostrada. San Polo – dati alla mano – è la ciminiera di Brescia, che resta sul podio delle città più inquinate d’Europa. Anche l’Asl è scesa in campo svolgendo un’indagine su 2.000 bambini dai 6 ai 14 anni per stabilire le possibili connessioni tra inquinamento e malattie nelle nuove generazioni. L’esito di due recenti indagini, infatti, ha evidenziato che a San Polo ci si ammala di più per malattie respiratorie non oncologiche e per tumori alla vescica e al fegato. Chi vive a San Polo conosce queste cifre agghiaccianti, ci pensa la sera prima di addormentarsi e quando guarda i suoi figli giocare. Tra scritte sui muri, fumi tossici e cartelloni di protesta, però, c’è una cartolina che vogliamo spedire ai nostri lettori. È quella del signor Cesare. Un giovanotto di 73 anni. Lo abbiamo incontrato mentre vangava l’orto di casa in maniche corte e con i guanti da lavoro. Lui le torri di San Polo le abbatterebbe semplicemente perché fanno ombra troppo presto e non gli consentono di vedere il sole come vorrebbe. Nei suoi occhi abbiamo visto l’azzurro che non c’è più nel cielo di San Polo, nelle sue parole abbiamo sentito un filo di rassegnazione cucito sulla stoffa dell’amore per il suo quartiere. Stando con lui, inebriati dal profumo del rosmarino che coltiva, abbiamo capito cosa significa sentirsi a casa. Nonostante tutto.
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