Appello di Delbarba, Orlando e Scalvenzi: servono nuovi modelli e una nuova classe dirigente

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    Nel Pd torna ad avanzare la richiesta di novità. Stavolta, a prendere la parola, sono tre autorevoli esponenti under 40 del partito. Tre amministratori che hanno deciso di porre la loro firma in calce a un documento dal titolo eloquente: “La sfida: nuovi modelli e nuova classe dirigente”. Nel testo, infatti, il presidente di Cogeme Gianluca Delbarba, il sindaco di Roncadelle Michele Orlando e l’assessore alle Attività produttive di Orzinuovi Michele Scalvenzi dettano il loro programma per uscire dalla crisi economica che sta attanagliando il Paese. E concludono: “La sfida è dunque il cambiamento. E se questa è la sfida, anche, e con sempre maggiore insistenza, va accompagnata alla richiesta improcrastinabile di un rinnovamento della classe dirigente del Paese che può, anzi deve, essere anche generazionale. Può apparire ingeneroso ed eccessivo. Ma è necessario”.

    IL TESTO INTEGRALE:

    Continuano ad essere tempi duri, per l’Italia, per tutti noi. La crisi non accenna ad alleggerire la morsa, mette in ginocchio le nostre imprese, mina la serenità delle nostre famiglie.

    È arrivata anche qui, in Lombardia, a Brescia. In un territorio abituato a crescere e prosperare. Insomma anche noi non siamo più un’isola felice. Ma al tempo stesso non vogliamo rassegnarci a un destino di declino che a molti sembra inevitabile.

    Convincersi che tutto sia perduto di certo non aiuta a fronteggiare la crisi con la determinazione necessaria. Abbiamo conosciuto cinquanta anni di progresso che ha migliorato sensibilmente la qualità delle nostre vite. In una fase economica di sviluppo che sembrava non avesse limiti, ci stavamo concentrando sul livello complessivo della qualità delle nostre vite, chiedendoci, come ha fatto un commentatore bresciano, se «valesse davvero la pena di vivere una vita fondata sull’assillo del mutuo, sul respiro inquinato, su ore confuse da una finta comunicazione in tempo reale e di massa, in aree anonimamente indifferenti e scadenti sul piano affettivo, più o meno metropolitane. Se fosse normale vivere tante ore così, su strada, lavoro e stanchezza. Su come vorremmo vivere. Il tema dei temi».

    Oggi il compito è più complicato: immaginare una strada nuova per tornare a crescere senza dimenticare il tema della qualità della vita. Tenere insieme le due cose, due concetti inscindibili. Quale industria, quale artigianato, quali servizi pubblici, quale sistema potranno farci recuperare competitività sui mercati, e dar vita a una nuova, duratura e diversa, stagione di crescita? Come non dare ragione a quegli economisti progressisti, come Laura Pennacchi e Giulio Sapelli per citarne solo due, che denunciano chiaramente i limiti dell’attuale sistema economico e concretamente cercano di indicare possibili sbocchi e intuizioni interessanti?

    Per prima cosa va combattuta la tendenza della nuova economia di caratterizzarsi per bassi livelli di occupazione, tanto è vero che anche nelle economie che corrono i dati sulla disoccupazione allarmano e non poco. Può la sola efficienza produttiva garantire sviluppo, oppure, come riteniamo più giusto ed efficace, occorre cercare di dare vita a un nuovo ciclo di piena e buona occupazione? «La disoccupazione si rivela in tal modo una sorta di pantano morale in cui ci si abitua a vivere. E dal pantano non cresce il grano» scrive proprio Giulio Sapelli.

    Pensiamo poi che vada orientata la crescita verso un nuovo modello di sviluppo, il che vuol dire rilanciare la crescita, ma anche cambiarne natura e struttura, riequilibrando verso la domanda interna e i consumi collettivi quei sistemi produttivi troppo orientati all’export e alla finanza pura, concentrati sui consumi individuali sfrenati e sostenuti da una crescita esponenziale del debito, che continua a rimanere una delle forme più perverse di squilibrio generazionale, scaricandone il peso e il fardello sulle generazioni future. La crisi economico-finanziaria non è, infatti, un incidente di percorso.

    Per questo il nuovo modello di sviluppo dovrà basarsi su alcuni punti fissi:

    1.un ridimensionamento del peso della finanza speculativa nell’economia, restituendo valore all’economia produttiva reale, l’unica in grado di garantire sviluppo, occupazione e benessere anche nel lungo periodo;

    2.una distribuzione più equa delle risorse e una ripartizione più giusta del carico fiscale, con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze, nella consapevolezza che le società più eguali sono quelle che reggono meglio nei momenti di crisi e conseguono performance migliori nei momenti di crescita;

    3.un serio programma, in particolare per i Paesi con un debito pubblico elevato come l’Italia, di risanamento, colpendo le grandi rendite e la grande evasione e chiedendo un contributo – necessariamente ordinario vista la straordinarietà della situazione – ai grandi patrimoni;

    4.un grande rilancio degli investimenti in due direzioni: riqualificazione ambientale dell’apparato produttivo (green economy) da un lato, beni pubblici e beni comuni dall’altro; dove protagonisti dovranno essere tutti le istituzioni del Paese (dagli enti locali allo Stato centrale), il che richiederà una nuova fase di socializzazione dell’investimento (pensiamo per esempio alla Banca pubblica per le infrastrutture voluta da Obama negli Stati Uniti);

    5.un forte impegno, infine, nei confronti del grande tema della conoscenza, investendo su scuola, università, ricerca, insomma sul nostro futuro.

    La sfida è dunque il cambiamento. E se questa è la sfida, anche, e con sempre maggiore insistenza, va accompagnata alla richiesta improcrastinabile di un rinnovamento della classe dirigente del Paese che può, anzi deve, essere anche generazionale. Può apparire ingeneroso ed eccessivo. Ma è necessario. Nessun cambiamento radicale di sistema potrà essere costruito senza un investimento serio e profondo sugli attori chiamati a costruirlo.

    Ce la faremo. Non sappiamo ancora come, ma arriverà, prima o poi, il giorno in cui l’economia tornerà ad essere regolata, come è giusto e doveroso che sia, da una politica nuova, nei contenuti e nelle persone.

    Gianluca Delbarba

    Michele Orlando

    Michele Scalvenzi

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    1 COMMENT

    1. il contenuto è condivisibile. se non è la solita discussione interna è un bel contributo. vediamo se a tre giovani che stanno facendo esperienze concrete i vecchi lasceranno fare un passo avanti!!

    2. come si può non condividere questa volontà di cambiamento:ma i vecchi soloni della politica sapranno farsi da parte?auguri!!!!!!!!!!!!!!!!

    3. ..sono un ex-iscritto (a malincuore)… aspetto solo che la classe dirigente del Pd venga rinnovata per riavvicinarmi alla Politica con la P maiuscola…

    4. eh già,chi meglio del presidente di cogeme può capire e soddisfare le esigenze degli operai?…Fate ridere.é più di sinistra la lega rispetto a voi!

    5. a me le cose scritte piacciono. poi dipende se serve discuterne solo sui blog e giornali, bo…intanto però almeno qualcuno le dice

    6. …pura demagogia , fatti non parole…
      Abbattimeto della spesa pubblica, e revisione
      delle pensioni d’oro a favore dei pensionati che non campano alla fine del mese. Almeno , scrivete concretezze nella lettera non fumo…

    7. più meno scrivono quel che dici anche tu

      2.una distribuzione più equa delle risorse e una ripartizione più giusta del carico fiscale, con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze, nella consapevolezza che le società più eguali sono quelle che reggono meglio nei momenti di crisi e conseguono performance migliori nei momenti di crescita;

      3.un serio programma, in particolare per i Paesi con un debito pubblico elevato come l’Italia, di risanamento, colpendo le grandi rendite e la grande evasione e chiedendo un contributo – necessariamente ordinario vista la straordinarietà della situazione – ai grandi patrimoni

      bene, no? concordo con te che qualche provvedimento più concreto, certo non da parte dei tre che hanno scritto la lettera, ma da chi ci comanda oggi ci vorrebbe proprio 😉

    8. Io sono d’accordo sui contenuti. Sul giovanilismo a tutti i costi no. Penso che uno prima di far politica dovrebbe costruirsi una sua vita lavorativa e di stabilità sociale. Perchè se uno arriva ai vertici troppo presto poi, non avendo un lavoro o una prospettiva non mollerà più la sedia e accetterà ogni compromesso pur di non essere disarcionato. Si al ricambio della classe dirigente ma non con una nuova che poi diventerà uguale alla precedente.

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