Pasotti lancia l’appello: “Destra e sinistra? E’ arrivato il momento che la borghesia bresciana scenda in campo”

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 di Andrea Tortelli – Ciclicamente, nella vita pubblica di Brescia, spunta il suo nome. In contesti molto diversi tra loro. Intellettualmente irrequieto e bastian contrario per definizione, ma non estraneo agli equilibri del potere, Flavio Pasotti è stato corteggiato – e osteggiato – da molti. Nella vita, 51 anni tra pochi giorni, fa soprattutto l’imprenditore nell’azienda di famiglia, la Stylmeccanica, e nella partecipata Eng.In Group. Oltre a sedere – “a tempo perso, perché lì ho colleghi più bravi di me” – nei Cda di Sabaf, Fondazione Tassara, Accademia Cattolica,Csmt e Inntec. Dagli Ottanta il suo ‘cavaliere’ è comparso sui tavoli di almeno una trentina di consigli di amministrazione. E non solo. Pasotti ha praticato la “politica dell’economia” ad alti livelli, ricoprendo tutti i ruoli possibili in Confapi a Roma e Bruxelles (un ventennio come vicepresidente) e in Apiindustria Brescia (presidente dal 2002 al 2008). Ma ha anche fatto politica, quella vera, con il Partito Repubblicano. Del Pri di La Malfa (Ugo) è stato vicesegretario della federazione regionale, del movimento nazionale giovanile e del movimento regionale. Oltre che tesoriere. “Uno dei pochi tesorieri degli anni Novanta”, sottolinea con una punta d’orgoglio, “a non avere mai avuto guai con la giustizia, anche perché le risorse ce le rimettevamo noi…”. In quel momento storico, Pasotti ha smesso con la politica. Ma a destra come a sinistra l’hanno cercato tutti. Tanto che, si dice, esponenti di spicco di entrambi gli schieramenti, nella scorsa tornata amministrativa, gli hanno offerto il ruolo di candidato sindaco di Brescia. A queste proposte, oggi come ieri, Pasotti risponde picche. Lanciando – tramite Bsnews.it – un appello alla borghesia bresciana affinché scenda in campo.

D – Chiariamolo subito. E’ vero che le sono arrivate queste proposte?
R – A me, come a tanti altri…

D – Cosa ha risposto?
R – Al centrodestra che uno come me difficilmente sarebbe stato accettato da una struttura chiusa e invecchiata attorno agli stessi nomi come il Pdl. Un partito in cui le scelte sono determinate soprattutto da un approccio correntizio e carrieristico: la politica vista solo come professione è un male dal quale mi salvò un colloquio con Bruno Visentini. E ancora lo ringrazio. Al centrosinistra, invece, risposi che non vedevo le condizioni per un mio coinvolgimento, perché non mi pareva il turno per un esponente della cosiddetta società civile.

D – Ma dove si colloca? In molti le attribuiscono simpatie per il centrosinistra…
R – La mia ultima collocazione politica risale al 1992. Mi innamorai dei Repubblicani ai tempi del liceo, quando sentii un ‘pazzo’ che – sbagliando – invocava l’austerity schierandosi contro l’introduzione della televisione a colori. Era Ugo La Malfa. E quella figura controcorrente mi aprì un mondo. Assecondando la mia indole da bastian contrario. Perché in una Brescia come quella di allora – animata dall’incontro fra cattolici e Pci – andare controcorrente non significava essere comunisti o extraparlamentari. Ma laici. Con i Repubblicani, negli anni Novanta, decidemmo di fare la scelta coraggiosa di presentare una lista aperta per le comunali, una civica ospitata dal partito. Grazie a “Rinnovamento con i cittadini” – così si chiamava quell’esperienza – fummo l’unico “partito tradizionale” ad aumentare i voti e la rappresentanza nel momento di inizio crisi della Prima Repubblica anche a Brescia. Mentre gli altri, Lega a parte, quasi sparirono. Era un segnale evidente di quello che sarebbe accaduto di lì a breve e, secondo me, avremmo dovuto interpretarlo stando all’opposizione e aprendo un dialogo anche con la Lega. Invece il partito scelse la via dell’alleanza con il vecchio ambito istituzionale. Ed io me ne andai.

D – Da allora sono cambiate molte cose. Oggi non sente affinità con nessuno?
R – Sono dieci anni che tutti provano ad appiccicarmi un’etichetta. Ma continuo a pensare che se i vecchi partiti non riuscivano a contenere la società tanto meno sono in grado di farlo quelli di adesso. Per questo, tre anni fa, ho giudicato positivamente la presenza alle comunali di Brescia di un buon numero di liste civiche. Mi sembrava la strada giusta per selezionare gruppo dirigente e programmi in maniera differente rispetto ai partiti. Differente, ci tengo a precisarlo, ma non necessariamente in concorrenza con essi, non mi piace l’antipolitica.

D – Ma poi ha vinto Paroli. Come vede la sua Brescia?
R – Mi pare un’occasione mancata. E individuo il principale limite del centrodestra nell’aver voluto affrontare i problemi di una città come Brescia – piccola ma difficilissima – con una squadra magari di amici ma inesperta, poco aperta al nuovo e con scarsa o nulla esperienza nel mondo del lavoro. Questa giunta era caratterizzata da due culture: la ciellina e la leghista. Oggi la prima mi sembra fortemente ridimensionata perché non ha prodotto nulla di significativo, né sul versante amministrativo né su quello culturale, e ha subìto in maniera pesante la concorrenza del Carroccio. D’altro canto la indiscutibile capacità di Rolfi di stare sul problema e fare l’uomo da marciapiede non è sufficiente per soddisfare le domande di una città complessa. E la Lega stessa ne è consapevole. Un partito identitario rimanendo tale non riesce ad esprimere una sintesi di governo adatta a tutta la città e per questo ha bisogno di un alleato come il Pdl che però è – come dire – missing in action. Ma vorrei aggiungere un’altra considerazione…

D – Prego…
R – La vittoria del centrodestra fu vista, anche dalla stampa, come un regime change denso di significati e di rivincite. Come una sostituzione delle elite che governavano in pratica dagli anni Settanta, oltre che un cambio generazionale. Forse per questo il fallimento è ancora più sonante, perché la visione di un “governo delle elite” ha mostrato tutti i suoi limiti culturali e quanto le stesse fossero ormai datate. La rivincita, se tale era, è arrivata fuori tempo massimo. Il mondo è cambiato e non se ne sono accorti. Altro che elite…

D – Lei è molto critico. Dell’opposizione di Palazzo Loggia cosa dice?
R – Mi sembra rappresentata da figure che hanno faticato a interpretare il loro ruolo di opposizione, comportandosi come se si sentissero un gruppo dirigente temporaneamente non al governo. Va a loro onore per un verso, ma per un altro è stato un limite per il costante rischio di essere risucchiati dal passato. Invece sarebbe necessario rappresentare in maniera forte una rottura rispetto alla tradizione amministrativa di Brescia e al governo in carica. Il problema centrale del centrosinistra non dovrebbe essere quello di “riprendersi Brescia”, ma di candidarsi a governare soprattutto con forze nuove. Se maggioranza e opposizione continuano ad essere rivolte al passato non avremo mai una città migliore.

D – Completiamo il quadro. Prima ha citato i movimenti civici. Cosa resta dopo tre anni?
R – Nell’ultima tornata il vento era chiaro e il centrodestra avrebbe vinto anche candidando un asino. Dunque per le civiche esisteva uno spazio ridotto, anche se ben riempito. Oggi, in campo, vedo qualcosa in più di tre anni fa. Onofri ha prodotto molto e la lista Castelletti, che era partita come un movimento di ex socialisti, è diventata altro. Almeno credo. Non so quale peso elettorale possano avere ora queste due realtà. Ma sarà decisivo capire se nella prossima tornata il loro obiettivo resterà quello di fare testimonianza, una scelta che sarebbe la negazione della politica, oppure di candidarsi realmente al governo della città.

D – Sta dicendo che Castelletti e Onofri dovrebbero fare una scelta di campo e allearsi con uno dei due poli?
R – Assolutamente sì, la politica non e’ testimonianza ma azione. Ma prima ancora devono allargare il perimetro di attenzione, trovare altre forze, interpretare i molti movimenti prepolitici che sono l’anima di una città che vive di volontariato. C’è tempo per una scelta di campo, meno per dialogare con i bresciani.

D – A quel punto, però, dovrebbero cedere ad altri il testimone di candidato sindaco…
R – Sarebbe opportuno invece che stavolta il sindaco sia espressione della cosiddetta società civile. Anche perché i sindaci selezionati dalla politica, in questi anni, non hanno lasciato un gran ricordo.

D – Supponiamo che diventi lei il sindaco di Brescia. Cosa farebbe nel primo anno?
R – Cercherei innanzitutto di cambiare la mentalità. Se vogliamo una città nel futuro dobbiamo pensare a quelli che lo vivranno e ciò significa sostanzialmente tre cose: creare infrastrutture moderne, occuparsi della salute (una sfida da far tremare i polsi) e disegnare un welfare che sia per i giovani con un nuovo patto generazionale (Anchise deve ancora farsi carico di Enea). Oggi, a Brescia, chi vive con la cosiddetta sindrome dei 2.500 euro mensili – una giovane coppia di impiegati con due figli – fatica a campare. E questo, francamente, mi pare inaccettabile: dobbiamo fare vedere un futuro a queste giovani famiglie, far capire che Brescia ancora un luogo dove avere più chance che altrove. Dobbiamo sostenere i ceti su cui si fonda il futuro della città con servizi di qualità e cambiando il nostro atteggiamento di fondo. Perché il concetto del dare poco a tanti non è più attuale. E interpretare le case popolari come un tempo non ha più senso: alle giovani coppie il Comune deve dare abitazioni in classe A1 per ridurre la loro bolletta energetica. Senza pensare al bilancio di A2A. Ma sul versante urbanistico la sfida principale è un’altra: quella di aumentare la densità e la verticalizzazione della città per diminuire il traffico e far crescere la salute. Perché solo così si possono fare economie di scala, rendendo il sistema dei trasporti più efficiente e migliorando la qualità della vita di tutti. Non è un caso che New York sia la città al mondo con il minor rapporto tra abitanti e automobili. Per quanto riguarda il centro storico, inoltre, l’obiettivo deve essere quello di riportare i bresciani dentro le mura venete. Mi indispone da sempre il tragico sogno piccolo-borghese della città salotto. Pensare che Brescia possa diventare più bella perché le botteghe prosperano e gli abitanti sono solo i più ricchi è un’idea scioccamente elitaria. La città migliora soltanto se l’ultimo dei suoi abitanti ci vive bene, ovunque.

D – Già, ma come li recuperiamo i soldi per finanziare questi interventi?
R – Uno dei problemi è che il gruppo dirigente della città non vive sul mercato. I tagli e le svendite, nel lungo periodo, non servono a molto. Bisogna piuttosto replicare lo straordinario successo che è stato per le nostre imprese la rivoluzione Ict, facendo esplodere il tasso di produttività attraverso un importante investimento sulle nuove tecnologie. Quando sono entrato nella mia azienda, diversi anni fa, c’era una stanza con nove impiegati amministrativi: oggi, con due sole persone a tempo pieno e una a parziale, siamo più grandi e più bravi di allora. C’è più intelligenza in ciò che facciamo. E i dati dicono che non abbiamo nemmeno creato disoccupazione, anzi: siamo andati oltre la piena occupazione. E’ una questione di preparazione amministrativa ma è soprattutto culturale. Prima di pensare alle infrastrutture digitali bisogna capire cosa ci si vuole fare passare sopra. Serve una vision per una infrastruttura che sarà più importante del teleriscaldamento per il nostro futuro: in questa stanno le motivazioni e gli obiettivi di un investimento, ma anche i parametri per giudicare i risultati e le opportunità non prevedibili che un sistema aperto può permettere. Il futuro di una città media è permeato dalle visioni di Popper e osteggiato dai suoi nemici. E’ una questione politica prima ancora che tecnologica: ma bisognerebbe che almeno capissero i fondamentali di tutte e due… Tutto questo discorso vale per la rete informatica, ma anche per la metro: che senso ha far partire quest’opera e poi pensare al villaggio Marcolini o alla nuova sede unica del Comune lontano dalle stazioni?

D – In mezzo a tutto questo c’è la questione A2A, dai cui bilanci dipendono in larga parte quelli della Loggia. Cosa ne abbiamo fatto? E, soprattutto, cosa ne facciamo?
R – In questi anni non siamo nemmeno riusciti a dare un’idea di quello che potrebbe essere domani A2A. Tanto che tutti sono ancora voltati indietro a rimpiangere i fasti della vecchia Asm. Non aver immaginato un modello di funzionamento condiviso per la società è stato un terribile fallimento. E quelli che prendono le decisioni vanno mandati a casa non soltanto per aver accettato di chiudere bilanci in cui gli utili sono stati pescati dalle riserve (dando un effimero benessere alle casse del Comune e rinviando la presa di conoscenza della crisi), ma anche perché – usando la leva finanziaria – hanno imbottito la società di debiti. A questo punto è meglio che A2A completi la sua trasformazione e si allontani definitivamente dal rapporto con i Comuni. Se ne stia in Montenegro se vuole. La politica, che almeno una volta si fermava sull’uscio dell’azienda, ha dimostrato di non essere all’altezza di gestire la situazione. Anche qui il cosiddetto regime change è stato un disastro. A2A stessa rappresenta il passato dell’intervento pubblico, l’Ict rappresenta il futuro: ricompriamoci Selene, cerchiamo partner privati e immaginiamo una città più intelligente, più salubre, più interconnessa e con servizi moderni. Tutti i nuovi nati sono digitali e porranno problemi che gli attuali amministratori, tutti analogici, manco immaginano.

D – Lei è stato a lungo alla guida dell’associazione che raccoglie le piccole e medie aziende bresciane. Non crede che su questa partita, come su tante altre, il mondo imprenditoriale si sia dimostrato un po’ debole nei confronti della politica?
R – Eccetto gli edili, la gran parte degli imprenditori bresciani opera ormai fuori dalla Leonessa e dunque non ha bisogno della politica locale. Quello del “fare sistema” mi sembra un facile slogan. Anche perché, detto sinceramente, l’imprenditore è individualista per definizione.

D – Di recente, però, l’attuale presidente di Api, Casasco, ha chiamato a raccolta le associazioni di categoria, invocando una sorta di alleanza di interessi. E annunciando un nuovo impegno su alcune partite decisive per Brescia come la fiera e l’aeroporto.
R – Sulla fiera le associazioni di categoria sono coinvolte da tempo. Ma quel progetto è stato lanciato quando il mercato del settore era già in flessione, ignorando il principio per cui le fiere vanno fatte dove si vende, non certo dove si produce, e sottovalutando la concorrenza di realtà come Montichiari, Milano e Verona. Insomma: quell’operazione di sistema era sbagliata in nuce e questo avrebbe dovuto essere chiaro a tutti fin da subito. Ma associazioni di categoria già vecchie e una politica troppo accondiscendente hanno voluto lanciare comunque un’operazione i cui esiti, a 15 anni di distanza, sono purtroppo evidenti. Quanto invece all’aeroporto di Montichiari, riconosco il contributo positivo fornito di recente dal presidente della Provincia Daniele Molgora. Mentre rilevo che le associazioni di categoria e la Camera di commercio prima hanno definito fondamentale l’accordo con la Catullo, poi hanno lanciato (perdendola) la sfida della gara europea e infine sono tornate al punto di partenza. La realtà dei fatti è che oggi le associazioni di categoria sono un modello che ha esaurito il suo compito: hanno fallito nel dare rappresentanza agli imprenditori nella peggiore crisi della storia e non rispondono più ai bisogni delle aziende. L’insoddisfazione degli imprenditori è grande e il calo degli associati non è solo frutto della difficile congiuntura economica. Le associazioni, ormai, sono cadaveri che ragionano in una logica di collateralismo rispetto alla politica. Premiando i propri organismi dirigenti a scapito delle imprese associate. Il tutto senza nemmeno una visione chiara, perché l’associazione non può essere una società di servizi.

D – Appurato che il suo futuro non sarà lì, viene comunque difficile immaginarla rinchiuso nella sua impresa. Cosa farà Flavio Pasotti da grande?
R – Quando ho avuto incarichi mi sono sempre concentrato su quello che ritenevo opportuno fare in quel momento, senza pensare alle ripercussioni che le mie scelte avrebbero avuto sul mio futuro. Sono un uomo libero e a questo non vorrò mai rinunciare. Ritengo che, anche per quanto riguarda l’ambito dell’impegno sociale, pensare al domani significhi automaticamente perdere la libertà del proprio presente. Dunque se troverò i compagni di avventura con cui condividere determinati valori qualcosa dovrò fare. Il mio è un appello alla borghesia bresciana: usciamo dal guscio perché – se non si gioca la partita adesso – dovremo stare zitti e non lamentarci per i prossimi dieci anni. In questo caso continuerò a fare ciò che faccio oggi. Il volontariato – purché approcciato con la massima discrezione, silenziosamente e con spirito di servizio – è una grande soddisfazione.

 

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36 Commenti

  1. altro che Politici , CGIL e FIOM ……. se gli imprenditori scioperano , e sciopereranno SICURAMENTE con SERRATE AD OLTRANZA ,
    ne vedremo delle belle…………….

  2. altro che Politici , CGIL e FIOM ……. se gli imprenditori scioperano , e sciopereranno SICURAMENTE con SERRATE AD OLTRANZA ,
    ne vedremo delle belle…………….

  3. altro che Politici , CGIL e FIOM ……. se gli imprenditori scioperano , e sciopereranno SICURAMENTE con SERRATE AD OLTRANZA ,
    ne vedremo delle belle…………….

  4. D’accordissimo con l’utente ATGG. E’ ora che i politici "seghino" i loro sperperi e costi assurdi , pensioni d’oro e agevolazioni costosissime.
    Le Serrate fanno tremare il palazzo , e credo arriveranno prestissimo , in quanto la tassazione e’ insostenibile per tutti.

  5. il valore di flavio pasotti più che nei contenuti espressi (pure in gran parte condivisibili) sta nella difficoltà che ha avuto il giornalista a sintetizzare i concetti da lui espressi, cosa che invece risulta facile ed agevole con tutti gli altri esponenti. altra categoria, altra classe.

  6. Qualunque colore, qualunque ideologia; voteremo (e siamo in tanti) chi metterà al primo punto del suo programma la riduzione del 90% di TUTTI i benefici della casta politica. Guadagnare così tanto x ridurre l’Italia a qt schifo è una vergogna!!!!

  7. Le riflessioni di Pasotti sono condivisibili, ma non credo sinceramente nelle potenzialità di Castelletti e Onofri…. Ci vuole altra gente.

  8. I dubbi di Pasotti sulla Castelletti sono alquanto legittimi. Recentemente la civicissima Laura ha presieduto un convegno con vecchi arnesi socialisti del calibro di Fermi, personaggi organici alla vetero civicissima brescia per passione.

  9. I vecchi partiti continueranno a fare i propri giochi, la borghesia tramite un esponente suona la tromba per contare ancora di più ed i ceti nazional-popolari che mantengono tutti, perchè le tasse le pagano alla fonte, quando s’organizzano? Continueremo a sopportare sarcasmo ed angherie dalla casta?

  10. I vecchi partiti continueranno a fare i propri giochi, la borghesia tramite un esponente suona la tromba per contare ancora di più ed i ceti nazional-popolari che mantengono tutti, perchè le tasse le pagano alla fonte, quando s’organizzano? Continueremo a sopportare sarcasmo ed angherie dalla casta?

  11. Possibile che a Brescia il dibattito ormai si faccia solo fuori dai giornali? Grazie al sito per aver stimolato la discussione…

  12. …mi era proprio sfuggito il fatto che la borghesia bancaria e imprenditoriale bressana si fosse ultimamente disinteressata alla politica…

  13. ma quindi FP torna alla politica ?
    e dove si schiera ? per quanto stremata , dalla pur abile sintesi del giornalista , non l’ho capito.

  14. Bene la richiesta a Onofri e la castelletti di schierarsi, e quindi da chi si e’ opposto a con il centro-sinistra, il candidato sindaco lo sceglieranno le primarie. Certo e’ che va ringraziato Del Bono che ha svecchiato il Pd e ha guidato l’opposizione. Ora serve un accordo tra i tre: Del Bono, Castelletti, Onofri.

  15. E secondo voi Paroli si fa da parte per candidare Onofri e la Castelletti. Ma va la’ e poi ma perche’ i due principali partiti Pdl e Pd non rispettando la democrazia e i loro elettori dovrebbero lasciare il passo a chi prende 10 volte i voti dei civici?. Ma che concezione e’ questa? Gli elettori vanno rispettati.

  16. Del Bono è anche colui che, nonostante centinaia di migliaia di euro spesi per la campagna elettorale (mi ricordo ancora le gine con il sedgeway (sa dise isé?)) le ha prese sonoramente da Paroli. E’ anche colui che, vittima della sindrome da pidino, tenta di mettere assieme la solita armata brancaleone da FLI agli antagonisti pur di cercare di battere il nemico. Ma ormai la gente (tranne i disciplinati vetero comunisti iscritti da 45 anni al già PCI) non ci crede più e cerca facce nuove e, soprattutto, credibili.

  17. Bah…il solito Pasotti del "vorrei e non posso", fumoso e con pocheidee e tutte confuse! Chiediamoci come mai nella sua azienda non abbia mai contato nulla…prima di immaginare per lui un radioso futuro oppure prima di crederlo un Solone!

  18. Del Bono sara’ il candidato di una forte coalizione con castelletti e Onofri. Questo si aspetta grande parte della citta’. Accordatevi!!!

  19. Se fosse riuscito a reimpossessarsi nuovamente di Apindustria cosa avrebbe detto. Le associazioni sono lo strumento che deve veicolare il cambiamento? O le associazioni sono strategiche per creare i nuovi gruppi dirigenti?
    Smettila di fare il professore!

  20. Del Bono sarebbe il candidato perdente di una forte coalizione. Cambiare cavallo, please, è questo che vuole gran parte della città. E poi scusate, volete imbarcare ancora Ettore Fermi? ma non avete vergogna?

  21. ma per BORGHESIA BRESCIANA sarebbero quelle 5 o 6 famiglie propietarie di centinaia di appartamenti in citta’ e che immancabilmente affittano agli extracomunitari pur sapendo che dopo 3 mesi non pagheranno piu’ l’affitto e che ci tocchera’ poi mantenerli a noi bresciani ?

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