Caccia di selezione, il modello di Bolzano

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    Nell’ambito dei “Lunedì del S. Carlino”, Sandro Eccher, Vicepresidente dell’Associazione Cacciatori Alto Adige, e Fabrizio Taddei, membro della Consulta della Riserva di Caccia di Bressanone, hanno affrontato l’importante tema della caccia di selezione, dando risalto al modello di Bolzano.  E’ infatti risaputo che cervi, caprioli e camosci sono un patrimonio di grande pregio per la montagna, una ricchezza che va rispettata, tutelata, ma anche gestita in modo ecosostenibile. E’ infatti fondamentale saper creare le condizioni necessarie per la convivenza degli ungulati e dell’agricoltura di montagna. E questo è possibile solo grazie al costante monitoraggio dell’uomo sulla fauna selvatica, senza il quale si corre il rischio di creare danni alle coltivazioni o di assistere a una drastica riduzione delle specie, causata da malattie che portano alla morte in oltre il  90% dei casi. Per questi motivi diventa di rilevante importanza la figura  del cacciatore, al quale spetta il necessario compito di selezionare la presenza di selvaggina sul territorio. In questo contesto l’Alto Adige diventa un modello per tutto il nord Italia.

    “Lo scopo della serata – ha dichiarato il Presidente della Provincia di Brescia – On. Daniele Molgora – è stato quello di mostrare un altro aspetto dell’ambiente montano: quello della caccia, tradizionalmente metodo di sostentamento per le popolazioni montane, che non potevano vivere di sola agricoltura. Oggi questa tradizione è divenuta una necessità finalizzata a migliorare l’ambiente. Con i due esperti intervenuti al S. Carlino sono stati trattati aspetti diversi da quelli normalmente conosciuti in ambito venatorio. Si è appreso come, rispettando fondamentali  regole, la fauna montana possa trarre soltanto benefici, che contemplano le esigenze naturalistiche – ambientali con quelle determinate dall’economia agricola.  La convivenza dell’agricoltura di montagna con gli oltre 70mila capi censiti, non ha bisogno di alcun commento sull’efficacia di quanto sviluppato nella Provincia di Bolzano. Mi auguro che anche nel nostro territorio l’incremento della fauna e l’attenta selezione effettuata dall’uomo possa ricalcare gli stessi successi ottenuti soltanto a qualche decina di Km dai nostri confini.”

    Con un sistema venatorio di tipo riservistico, nel quale ogni cittadino ha la possibilità di esercitare la caccia nel comune di residenza, gli oltre 6.000 cacciatori svolgono l’attività da maggio fino a settembre nelle 145 riserve di diritto esistenti, che corrispondo all’82% circa della superficie provinciale, a cui vanno sommate le 51 riserve di caccia private, il 2% del territorio altoatesino.  Si tratta evidentemente di grandi numeri rispetto a quelli bresciani: basti pensare che un cacciatore altoatesino dispone mediamente di 113 ettari di superficie sulla quale esercitare la caccia. E mentre nella Provincia di Brescia si combatte il cinghiale, diventato ormai infestante,  e si cerca di incrementare la presenza degli ungulati, anche attraverso esperienze che l’Ente  Provincia ha effettuato all’ Rosello, in Alto Adige si è arrivati a un raffinato modello di selezione, che permette di mantenere in equilibrio le popolazioni di animali selvatici. Caprioli e camosci occupano tutto il territorio provinciale e vengono cacciati in tutte le riserve. Il cervo risulta in continua espansione e può essere prelevato in riserve dove soltanto qualche decennio fa era assente.

    “Abbiamo un buon rapporto anche con il mondo agricolo – ha dichiarato Sandro Eccher, Vicepresidente dell’Associazione Cacciatori Alto Adige – perché di fronte a un danno contingente, causato dalla fauna selvatica, mettiamo a disposizione un fondo, finanziato da Provincia e cacciatori, che copre il 75% della spesa.”

    Per il momento il cinghiale non è molto presente in quelle zone, ma, secondo gli esperti, è il prossimo pericolo da temere. Gli esperti hanno poi affrontato il tema delle tecniche utilizzate per la caccia di selezione e gli strumenti all’avanguardia a disposizione oggi del mondo venatorio.

    “Il prelievo deve essere studiato e oculato – ha aggiunto Fabrizio Taddei – perché l’obiettivo è quello di conservare le diverse specie faunistiche autoctone e migliorare gli habitat in cui queste vivono. Non bisogna sparare per il piacere di farlo. E’ fondamentale osservare l’animale, capirne l’età, il sesso e la forza. L’abbattimento insomma deve seguire piani che puntino soltanto all’ecosostenibilità e al rafforzamento genetico delle varie specie per migliorarne la capacità riproduttiva e metterle al riparo in modo naturale da malattie ed epidemie. ”

     In Alto Adige il numero degli abbattimenti viene fissato da un’apposita commissione che garantisce che la fauna selvatica non venga depauperata, ma, nello stesso tempo, non raggiunga una densità tale da danneggiare le colture agricole e forestali. Bisogna pertanto saper osservare l’animale, seguirlo nello sviluppo, affinché la malattia non dimezzi la specie, come spesso accade nelle province limitrofe a quella di Bolzano.

    La passione, l’esperienza e l’amore per la montagna aiutano molto anche in questo settore.

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