Traffico di rifiuti, Cgil: “Rifare i tratti di Brebemi incriminati, ridare risorse e autonomia all’Arpa”

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L’indagine che ha coinvolto il vicepresidente del consiglio regionale Franco Nicoli Cristiani, il coordinatore dello staff dell’Arpa Lombardia Giuseppe Rotondaro, l’imprenditore Pierluigi Locatelli e altri, accusati a vari titolo di corruzione e traffico illecito di rifiuti, ha scoperto un bubbone impressionante che riguarda la salute dei cittadini e la tutela del territorio.

Al di là delle considerazioni sulla moralità della politica e sul senso di impunità che traspare leggendo alcuni dei passaggi dell’inchiesta in corso, sono anche altre le questioni che devono essere considerate con attenzione.

C’è innanzitutto una questione che riguarda il ciclo dei rifiuti. Su questo è bene essere chiari: mettere scorie di acciaieria sotto il manto stradale non è grave in sé. É una pratica diffusa in mezza Europa e, da un certo punto di vista, è anche ecologicamente positiva dal momento che si stanno recuperando dei materiali. Il problema è che questi materiali devono essere trattati e resi non pericolosi per l’ambiente, per la salute di tutti e per la salute dei lavoratori che li stanno utilizzando.

Non fare i trattamenti adeguati è una pratica criminale che mette a rischio i terreni e, in prospettiva, l’acqua di falda con conseguenze gravissime per la salute collettiva. È quindi evidente che i tratti di strada della Brebemi «incriminati» devono essere rifatti: si tratta di tirare su il manto stradale e togliere le sostanze nocive con cui sono stati fatti.

La vicenda scopre anche un altro bubbone, che è quello che riguarda l’Arpa, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente. Proprio all’inizio dell’anno come Cgil, sia a livello bresciano che regionale, avevamo denunciato la gravità della modifica legislativa fatta in Regione Lombardia che ha revocato la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria riconosciuta solo pochi mesi prima ai lavoratori dell’Arpa. Una legge, questa, che di fatto ha depotenziato in modo significativo la possibilità di fare controlli adeguati e che si inserisce in un ragionamento più ampio legato alle risorse a disposizione dell’Arpa e alla catena di comando.

Arpa Lombardia ha infatti un organico di 1020 operatori, gode di un finanziamento annuo pari a circa lo 0,40% del Fondo sanitario regionale per esercitare compiti di protezione dell’ambiente in una regione di 9 milioni di abitanti e con una presenza di circa un milione di imprese. Una goccia nel mare, un disequilibrio evidente tra le risorse oggi disponibili e le funzioni cui è chiamata l’Arpa. È arrivato il momento di riaffrontare il tema di come far funzionare questo ente, costituito in seguito al referendum del 1993, dotandolo dell’autonomia necessaria dalla politica (cosa che ora non avviene) e delle risorse necessarie. Ridando il ruolo di ufficiali di polizia giudiziaria ai tecnici, creando gli automatismi necessari nel sistema dei controlli e rendendo così più difficile la possibilità di corrompere un funzionario. Più la possibilità di fare controlli è diffusa, infatti, più complesso diventa «oliare» la macchina.

L’inchiesta in corso della magistratura ci offre una opportunità preziosa: non solo permette di fare luce su delle pratiche criminali, ma dà a noi tutti l’opportunità di adottare le contromisure per fare in modo che tali episodi abbiano meno possibilità di verificarsi. Questo, però, non è compito della magistratura, ma della politica nel suo insieme e di noi tutti come cittadini che vogliono tutelare il territorio in cui viviamo e lavoriamo. 

 

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