Per le morti sul lavoro non esiste la crisi, nel 2011 undici infortuni mortali nel bresciano

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Per le morti sul lavoro non esiste la crisi: resta costante il dato altissimo sia a livello nazionale che in Lombardia. Queste sono le conclusioni del Dipartimento Salute e sicurezza della CGIL Lombardia, che richiama l’attenzione sulla necessità di continuare a tutti i livelli, l’impegno affinché, anche in questo quadro di forte crisi economica, non venga meno la diffusione della cultura della prevenzione e del rispetto delle leggi e delle normative a tutela dell’incolumità complessiva delle lavoratrici e dei lavoratori.

Nella nostra regione negli ultimi tre mesi del 2011 il fenomeno ha subito un’accelerazione incredibile, mentre peraltro continuano a crescere i lavoratori messi in cassa integrazione o in mobilità. Il totale “ufficiale” degli incidenti mortali denunciati e inseriti nel registro infortuni redatto dalla Regione è di 61. E altrettante sono le famiglie che hanno chiuso l’anno in un clima di cupa tristezza per la morte improvvisa e violenta, di un proprio caro per mano di una macchina, di una mancata protezione, di una svista o “semplicemente” per stanchezza dovuta paradossalmente ad eccesso di lavoro. Negli ultimi 5 anni in Regione Lombardia abbiamo perso ben 354 vite umane (picco massimo 104 infortuni mortali nel 2007), vite lasciate nei cantieri edili, nelle fabbriche o nei campi dell’agricoltura meccanizzata ancora ben presente nel territorio regionale.
A queste morti vanno aggiunti gli infortuni molto gravi e invalidanti, e le malattie professionali, che pesano sulle condizioni di vita di molti lavoratori e lavoratrici, nonché delle loro famiglie. E non vengono considerati gli incidenti mortali occorsi in itinere, o quelli avvenuti nei luoghi di lavoro a danno di persone senza rapporto di lavoro (famigliari, pensionati, …).

Ciò è dovuto alla fonte da cui si traggono le informazioni (Registro regionale infortuni) ed i criteri con i quali lo stesso viene compilato. Il territorio più colpito è quello della provincia di Milano (14 incidenti mortali), seguito da Brescia (11), Bergamo (9), Mantova (7), Como (6), Varese 4, Cremona, Lecco e il territorio Vallecamonica-Sebino 2 infortuni mortali. Le province di Monza Brianza, Lodi, Pavia, Sondrio hanno fatto registrare un solo incidente.
I settori produttivi maggiormente coinvolti sono: le costruzioni, l’agricoltura, l’industria, la movimentazione merci e il magazzinaggio.
I morti sono quasi esclusivamente di sesso maschile, fatta eccezione per tre donne.
Pur registrando, tra le vittime, un alto numero di lavoratori di nazionalità italiana, aumenta in modo considerevole il tasso di mortalità di lavoratori stranieri: molti i lavoratori europei, comunitari e non, con una piccola presenza di  lavoratori sudamericani.

Lo schiacciamento rimane la principale causa di morte, soprattutto ad opera di masse in lavorazione o di automezzi in movimento. Seguono altre cause: la caduta dall’alto, la grave contusione, l’esplosione di masse gassose o sotto pressione e la folgorazione.

Gli incidenti colpiscono giovani e anziani. Si rileva una prevalenza di lavoratori oltre i quarant’anni e di lavoratori giovanissimi (di cui uno nato nel 1990).
In più della metà degli incidenti, il rapporto di lavoro è dipendente, non meglio precisato; solo in alcuni casi si precisa che il lavoratore era assunto a tempo indeterminato. In un caso era irregolare, in due casi era anche il titolare dell’impresa e in altri due casi si trattava di collaborazione famigliare.
Le responsabilità, di un quadro che permane desolante, non possono essere attribuite a fatalità, ma all’eccessiva superficialità nell’affrontare le questioni della sicurezza nei luoghi di lavoro da parte di chi ha la responsabilità di tutelarla. Manca ancora una seria cultura della prevenzione e del valore della vita di chi lavora. In troppe situazioni lavorative, come confermano le ispezioni realizzate, ci sono inadempienze e non vengono pienamente applicate le leggi e le regole sulla sicurezza e sulla prevenzione. Ci sono luoghi di lavoro nei quali i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) sono solo sulla carta o non hanno ricevuto la formazione prevista per legge. Anche le ultime sentenze del resto hanno riaffermato che la responsabilità della sicurezza è in capo all’impresa e non al lavoratore. Qualcosa si può fare e si deve fare per accelerare e consolidare il lento processo avviato, ma occorre dare segnali immediati e concreti, e in questo senso vanno le proposte della CGIL. Per quanto necessari e giusti, non bastano più i moniti del Presidente della Repubblica. Il bilancio dello Stato e delle Regioni deve prevedere investimenti per spingere la ricerca, universitaria e non, ad impegnarsi nel campo dell’innovazione.  Occorre rafforzare interventi a tutto campo, consolidare politiche a sostegno delle attività ispettive e di controllo, sia sul piano quantitativo che qualitativo; ben altro rispetto ai tagli registrati sul piano del personale e dell’azione concreta.
Occorre investire in macchinari, in tecnologie, fare rete e intervenire sui modelli organizzativi affinché le imprese innovino in qualità e in sicurezza, fattori questi necessari anche per affrontare la crisi, al fine di rilanciare il sistema produttivo e l’occupazione sul piano della qualità e della sicurezza.

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