Veglia delle palme, ecco le parole del vescovo Monari ai giovani bresciani

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Pubblichiamo di seguito l’intervento integrale, pronunciato dal vescovo Luciano Monari in piazza Duomo, per la XXVII Giornata mondiale della Gioventù celebrata con i giovani bresciani durante la tradizionale Veglia delle Palme di sabato 31.

ECCO IL TESTO DELL’INTERVENTO

Mi verrebbe da dire a san Paolo: “Perdi tempo quando esorti la gente a rallegrarsi. Chi non desidera essere allegro piuttosto che triste? Ma stare bene o male non dipende da te, dipende dalle condizioni in cui ti trovi. La gioia è come il bel tempo; quando c’è, te lo godi senza fare fatica; ma quando non c’è, non puoi fare altro che rassegnarti e aspettare che il tempo cambi; ogni impazienza non fa che accrescere il disagio.”

Ma le parole di Paolo non si fermano all’esortazione: Siate lieti! Aggiungono anche un motivo che, secondo lui, dovrebbe generare e sostenere la gioia: “Il Signore è vicino!”. Quindi: siate lieti perché il Signore è vicino! Ma allora viene da chiedere: davvero la vicinanza del Signore è un motivo sufficiente per gioire? Davvero se il Signore è vicino, la gioia può salire dentro di noi? Per rispondere a questa domanda parto da un famoso testo di Kafka che dice così: “L’imperatore – così si racconta – ha inviato a te, un singolo, un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero al letto e gli ha sussurrato il messaggio all’orecchio; e gli premeva tanto che se l’è fatto ripetere all’orecchio. Con un cenno del capo ha confermato l’esattezza di quel che gli veniva detto. E dinanzi a tutti coloro che assistevano alla sua morte… dinanzi a tutti i grandi del regno, ha congedato il messaggero. Questi s’è messo subito in moto; è un uomo robusto, instancabile; manovrando or con l’uno or con l’altro braccio si fa strada nella folla; se lo si ostacola, mostra sul suo petto il segno del sole, e procede così più facilmente di chiunque altro. Ma la folla è così enorme; e le dimore non hanno fine. Se avesse via libera, all’aperto, come volerebbe! E presto ascolteresti i magnifici colpi della sua mano alla tua porta. Ma invece, come si stanca inutilmente! Ancora cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo più interno; non riuscirà mai a superarle; e anche se gli riuscisse non si sarebbe a nulla; dovrebbe aprirsi un varco scendendo tutte le scale; e anche se gli riuscisse, non si sarebbe a nulla; c’è ancora da attraversare tutti i cortili; e dietro a loro il secondo palazzo e così via per millenni; e anche se riuscisse a precipitarsi fuori dell’ultima porta – ma questo mai e poi mai potrà avvenire – c’è tutta la città imperiale davanti a lui, il centro del mondo, ingombro di tutti i suoi rifiuti. Nessuno riesce a passare di lì, e tanto meno col messaggio di un morto. Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera.”

Dice dunque Kafka che c’è nel cuore dell’uomo il desiderio, l’attesa di un messaggio diretto a lui che venga da lontano, dall’imperatore, signore del mondo; dice però, nello stesso tempo, che bisogna essere realisti, disincantati: questo messaggio, se anche ci fosse – il che è perlomeno dubbio – non giungerà mai. Non giungerà mai anzitutto perché la distanza tra il palazzo reale e la mia casa è infinita e nessun messaggero, nel tempo di una vita, riesce a superarla; non giungerà mai perché il mondo è sommerso da un cumulo immenso di rifiuti che bloccano ogni passaggio, impediscono ogni comunicazione; e non giungerà mai perché l’imperatore è sul letto di morte e la sua morte imminente rende vuoto, del tutto inutile il messaggio. Così Kafka; così molti filosofi e pensatori: l’uomo, ci insegnano, s’illude di essere qualcosa; in realtà egli è solo una delle tante espressioni della natura che si muovono tra una nascita non voluta e una morte non evitabile; un breve istante di luce tra due infiniti di oscurità. All’uomo adulto, che prende coscienza di sé, non rimane che la delusione e il pianto. Come Alessandro Magno che la leggenda dice avesse un occhio azzurro e un occhio nero: nell’occhio azzurro il desiderio d’infinito, immenso come il cielo; nell’occhio nero la disperazione del nulla, come la morte; questa la condizione dell’uomo.

Ma allora, perché il messaggio dell’imperatore appare così prezioso? Perché, nonostante tutto, lo attendiamo con nostalgia? In fondo, Kafka non dice quale sia il contenuto di questo messaggio, se accompagna un dono prezioso, o formula una promessa radiosa, o prefigura un futuro migliore. Perché allora l’attesa è così intensa? Perché succede che “tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera”? Sono un singolo, nell’immensità del tempo che mi ha generato e mi cancellerà, nell’immensità dello spazio che mi circonda e mi fa sentire un nulla; appunto: “una minima ombra, sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale.” Ma vivo; ho bisogno di sapere a che serve la mia vita, la fatica, la sofferenza; ho bisogno di sapere se sono qualcuno per qualcuno; se le mie scelte, le riuscite e i fallimenti sono guardate con interesse da qualcuno che mi ha in nota. Per chi, per che cosa vivere altrimenti?

Ebbene, supponete che una sera quei magnifici colpi alla porta che avete a lungo aspettato si odano davvero; che il messaggero dell’imperatore sia arrivato fino a voi e rechi una parola personale dell’imperatore proprio per voi, per te; non ci sarebbe allora un motivo forte per dire: “Rallegratevi nel Signore sempre, ve lo ripeto: rallegratevi.”? Questo è in effetti il vangelo – niente di diverso. È Dio che fa giungere un messaggio: “Così dice il Signore che ti ha creato e plasmato: Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare, poiché io sono il Signore, tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore… perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo.” (Is 43,1-4) Il testo è stupendo, ma nascono inevitabilmente i dubbi: Come faccio a sapere che il messaggio è autentico, che viene davvero dall’imperatore? E se fosse solo l’illusione di un cuore che non sa adattarsi al grigiore della vita? O se qualcuno l’avesse inventato apposta per ingannarmi e manipolarmi? Gli interrogativi nascono inevitabilmente in chi si ferma a riflettere. Forse è proprio per questo che Paolo fa della gioia un invito, quasi un comando. Come se l’ascolto e il riconoscimento del messaggio non andasse da sé, richiedesse la scelta libera dell’ascoltatore, un orecchio attento e sensibile, una dedizione sincera e totale.

“Il Signore è vicino!” Non vuol dire: arriverà tra un secolo, o tra un anno, o tra un mese, o tra un giorno. Vuol dire invece: ora lo avete davanti, ora lo potete ascoltare, contemplare, toccare – solo che orecchi, occhi, mani, cuore diventino capaci di ascoltare, vedere, toccare, credere l’amore; solo che l’egoismo o l’orgoglio o la paura non vi paralizzino e non vi serrino ermeticamente in voi stessi. Gesù è un uomo concreto vissuto al tempo di Augusto e di Tiberio, in un angolo preciso della terra; è lui il messaggio di Dio all’uomo. È un messaggio di amore: “Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.” È un messaggio di speranza: “Voi avete tribolazioni nel mondo, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo.” È un messaggio di perdono: “Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo.” E’ un messaggio di fiducia: “Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici perché vi ho fatto conoscere tutto ciò che ho udito dal Padre mio.” È un messaggio di gioia: “Vi ho detto queste cose perché in voi ci sia la mia gioia e la vostra gioia sia piena.”

Il senso di tutto questo è che la tua vita non è merce ordinaria gettata distrattamente sul piatto del mondo; che tu hai un nome, un volto, una storia, un compito. Che la tua vita è preziosa agli occhi di Dio e che puoi contribuire, piccolo come sei, a edificare un mondo più umano. Proprio questo è il primo significato del messaggio che viene da Dio al mondo: è bene che il mondo esista; e all’interno di questo mondo è bene che esista tu, Chiara, tu Marco, tu Annamaria, tu Paolo. Proprio tu, con la tua voce e la tua testa, coi tuoi pensieri e i tuoi progetti. A partire da questo ‘sì’ che Dio dice a te, puoi intraprendere il cammino che ti porterà ad accettare te stesso con una serenità di fondo – nonostante tutte le cose che in te non ti piacciono del tutto; che ti porterà ad accettare gli altri con generosità, nonostante i loro difetti; che ti porterà ad arricchire il bene del mondo col tuo contributo.

Sentirsi amati e accolti è esperienza positiva, che dilata l’anima e la riempie di gratitudine; ma solo se la faccio mia, nel centro stesso della mia libertà. Il cuore deve lasciarsi inondare dalla corrente dell’amore di Dio che mi dice: è bene che tu esista. Se credo veramente (e non solo a parole) di essere accettato e amato da Dio, il mio cuore diventa necessariamente (e non solo a parole) luogo di accettazione e di amore verso Dio e verso gli altri. Verso Dio che mi ama e del cui amore sono gioiosamente grato; verso gli altri che Dio ama e che io amo insieme con Lui; anzi verso il mondo intero, verso la creazione perché anche la creazione sta nel disegno originario di Dio, come strumento della sua Provvidenza. Fino a che non rispondo all’amore di Dio col mio amore, non posso dire credere all’amore di Dio. Dio mi ama ugualmente, certo; ma è come un amore non corrisposto e un amore non corrisposto non libera realmente la vita.

Per questo san Paolo scrive: “In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri.” Dio non cerca nulla per sé, come se dal rapporto con l’uomo potesse o volesse ricevere qualcosa che lo arricchisca o lo gratifichi; tutto ciò che Dio vuole, lo vuole per noi, perché dal rapporto con Lui la nostra vita possa uscire più ricca e più bella. La gioia di Dio è che tu viva, nient’altro che tu viva; non solo che tu stia al mondo come un vegetale, e tanto meno che la tua esistenza sia causa di male e di sofferenza per gli altri; ma che tu sia nel mondo origine di sentimenti umani autentici, di parole che servano a comunicare la verità, di comportamenti che rendano più umana la società e il mondo. Il regno di Dio è diverso dal “paese dei balocchi” dove si godono tutte le soddisfazioni possibili senza dar conto delle proprie scelte; al contrario è il “regno della responsabilità” dove ci si fa carico gli uni degli altri, dove si diventa gli uni per gli altri fondamento di fiducia, segno di speranza. La condizione umana non è mai stata facile: pensare, essere coscienti di sé, dovere scegliere tra un’opzione e un’altra rende la vita molto complicata; ma anche affascinante come può esserlo un’avventura che si apre a traguardi sempre nuovi, a creazioni originali, secondo una logica di saggezza e di amore.

Continua san Paolo: “Ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione. So vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza.” Sembra di sentire parlare un filosofo stoico, di quelli che sognavano un uomo libero da ogni passione, dalla paura come dal desiderio; un uomo che in qualsiasi condizione esterna di vita riesce a mantenersi sereno e impassibile – anche di fronte alla morte. Ma c’è una differenza, perché Paolo dice: “Tutto posso” (questo lo avrebbero detto anche gli stoici) “in colui che mi dà la forza” (questo, invece, è tipicamente cristiano). Se Paolo sa vivere nell’abbondanza e nell’indigenza il motivo non è la sua forza di carattere, la sua indifferenza di fronte a ogni situazione esterna. Il vero motivo è Cristo e la grazia (la forza) che viene da Cristo.

Prendiamo l’immagine di una persona innamorata e forse riusciremo a capire meglio. Quando siamo innamorati, il rapporto con la persona che amiamo è così coinvolgente dal punto di vista affettivo, che tutte le altre cose – gioiose o tristi che siano – diventano secondarie. So di essere amato da colui che amo e allora la mancanza di altre gratificazioni mi pesa meno; so di avere in colui che amo la ricchezza più importante della mia vita e allora le altre ricchezze hanno una minore forza di attrazione. Insomma, la condizione di innamorato mi rende meno vulnerabile alle minacce o alle seduzioni che mi possono venire da altre parti. Paolo, innamorato di Cristo, vive con libertà le diverse condizioni di vita, belle o brutte. Fa impressione ascoltare da lui il racconto di tutte le fatiche, le sofferenze, i contrasti che egli ha dovuto affrontare: “Cinque volte sono stato percosso, tre volte sono stato battuto con verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto… disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità…” Arriverà a dire: “Siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti.” Eppure, nonostante questo, può scrivere: “sovrabbondo di gioia in tutte le mie tribolazioni.”

Epitteto, filosofo stoico, scriveva: “Fatemi vedere un uomo che è malato e nonostante questo è felice, che è in pericolo e nonostante questo è felice, che sta morendo e nonostante questo è felice, che è esule e nonostante questo è felice, che è calunniato e nonostante questo è felice. Mostratemelo. Desidero, per gli Dei, vedere uno stoico. Ma voi non potete mostrarmi un uomo fatto così. Mostratemi almeno un uomo che stia diventando facendo così, che sia orientato verso questi ideali. Concedetemi questo favore; non rifiutate a un vecchio di godere di uno spettacolo che finora non ha mai visto…” Credo che potremmo dire in modo simile: Fatemi vedere un cristiano autentico, se ne avete uno o, perlomeno, fatemi vedere persone che stiano seriamente cercando di diventare cristiane: persone che non si vendano per i soldi o per il successo, che non aspirino a posti di prestigio e di onore, che non tradiscano l’amicizia e l’amore, che non restituiscano male per male ma vincano il male col bene, che sappiano vivere la povertà senza maledire e sappiano vivere la prosperità senza diventare orgogliosi o presuntuosi. Persone nelle quali l’amore di Dio è diventato operante, sorgente di libertà autentica.

Paolo aveva una carta vincente da giocare perché poteva dire: “le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica.” Come dicesse: non vi sto chiedendo cose astratte, impossibili, ma cose che io per primo cerco di vivere, cose in cui credo e delle quali sono testimone. Certo, il traguardo è in alto e potrà essere raggiunto solo dopo un lungo cammino di fedeltà e di perseveranza; ma la scelta di imbroccare la strada è questione di un attimo, può essere fatta ora, senza rimandare a domani. Per questo il Signore è vicino. “Ma ci saranno acque profonde da solcare, barriere di fuoco da attraversare!” non temere, io sarò con te. Nemmeno le cadute, gli errori, i peccati possono diventare un impedimento invincibile dal momento che Lui ha dato la sua vita proprio perché i peccatori possano vivere. La condizione essenziale è non ‘lasciarsi andare’ come rottami alla deriva; prendere in mano la propria vita e chiedersi: che cosa sto facendo? e perché lo faccio? dove sto andando? è proprio quello che voglio? per che cosa desidero spendere la mia esistenza? Posso fare qualcosa di più utile, vero, nobile, buono? Basta una piccola domanda per spezzare l’incanto dell’abitudine e rendere la nostra vita più autentica. Uomo, donna, fatto a immagine e somiglianza di Dio, che cos’hai in comune con la falsità, la volgarità, l’inganno, l’ingiustizia, l’avidità, la violenza? Dio, il Signore veglia su di te – ora.

A Maria, causa della nostra gioia, donna plasmata da Dio come capolavoro del suo amore, desidero affidare stasera il cammino di ciascuno di noi perché lo custodisca e lo porti a perfezione. Lo faccio con una preghiera che mi accompagna fin dagli anni dell’oratorio e che mi è sempre sembrata bellissima:

“Santa Maria, Madre di Dio,

conservami un cuore di fanciullo,

puro e trasparente come una sorgente;

ottienimi un cuore semplice,

che non si fermi ad assaporare le tristezze;

un cuore splendido nel donare, sensibile alla compassione,

un cuore fedele e generoso

che non dimentichi alcun bene

e non serbi rancore di alcun male.

Fammi un cuore dolce e umile,

che ami senza chiedere ritorno,

contento di nascondersi in un altro cuore davanti al tuo Divin Figlio;

un cuore grande e indomabile,

che nessuna ingratitudine chiuda,

che nessuna indifferenza stanchi;

un cuore tormentato dalla gloria di Gesù Cristo,

ferito dal suo amore

e la cui piaga non guarisca che in cielo. Amen”

In un suo discorso il Papa, riferendosi all’esperienza delle GMG, nota come una delle caratteristiche più importanti di quell’evento sia la gioia. E si chiede: da dove viene questa gioia? Come la si spiega? Ecco la sua risposta: “Sicuramente sono molti i fattori che agiscono insieme. Ma quello decisivo è, secondo il mio parere, la certezza proveniente dalla fede: io sono voluto. Ho un compito nella storia. Sono accettato, sono amato. Josef Pieper, nel suo libro sull’amore, ha mostrato che l’uomo può accettare se stesso solo se è accettato da qualcun altro. Ha bisogno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un ‘tu’, l’‘io’ può trovare se stesso. Solo se è accettato, l’‘io’ può accettare se stesso. Chi non è amato non può neppure amare se stesso. Questo essere accolto viene anzitutto dall’altra persona. Ma ogni accoglienza umana è fragile. In fin dei conti abbiamo bisogno di un’accoglienza incondizionata. Solo se Dio mi accoglie e io ne divento sicuro, so definitivamente: è bene che io ci sia. È bene essere una persona umana. Dove viene meno la percezione dell’uomo di essere accolto da parte di Dio, di essere amato da Lui, la domanda se sia veramente bene esistere come persona umana non trova più alcuna risposta. Il dubbio circa l’esistenza umana diventa sempre più insuperabile…. Lo vediamo nella mancanza di gioia, nella tristezza interiore che si può leggere su tanti volti umani. Solo la fede mi dà la certezza: è bene che io ci sia. È bene esistere come persona umana, anche in tempi difficili. La fede rende lieti a partire dal di dentro. È questa una delle esperienze meravigliose delle GMG.”

 

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