Caravaggio, scoperta rivoluzionaria. Il bresciano Curuz ritrova a Milano 100 disegni del pittore: valore 700 milioni di euro

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E’ un’autentica rivoluzione del “sistema Merisi”, una delle maggiori, articolate scoperte nel campo della storia dell’arte e della cultura: cento disegni del giovane di Caravaggio, realizzati in Lombardia, – di cui ottantatre saranno ripresi più volte nelle opere dalla maturità – dieci ritratti inediti realizzati ad olio, un autografo biglietto di protesta, l’identificazione del volto di Costanza Sforza Colonna, la protettrice del pittore, un possibile autoritratto milanese dell’artista, i diversi esercizi compiuti dal giovane pittore per prepararsi al trasferimento romano. Il duro lavoro, la sintesi, il bagaglio pronto per l’avventura professionale nella capitale pontificia, in continuità assoluta con la produzione successiva. Si conclude così, con risultati di straordinario rilievo, in grado di colmare una profondissima lacuna e di gettare nuova luce anche sul periodo già noto, il progetto di due studiosi italiani, il bresciano Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, che ha permesso di recuperare e riconsegnare le opere del periodo di formazione del grande maestro lombardo, realizzate tra Milano e Caravaggio, sciogliendo uno dei maggiori enigmi della storia dell’arte. Un colpaccio che, secondo le prime stime, potrebbe addirittura valere 700 milioni di euro.

Le opere – che erano state cercate per circa un secolo, senza risultati – sono state identificate dai due critici d’arte, dopo delicati e complessi studi comparativi, e ora appaiono, con un’evidenza autografa assoluta, nell’ambito del milanese Fondo Peterzano – nel quale sono conservati i disegni del maestro e di Michelangelo Merisi -, quindi nella chiesa milanese dei Santi Paolo e Barnaba, all’Accademia Carrara di Bergamo e nel museo d’Algeri. Tutti lavori, pertanto, di pubblica proprietà. Mai, nell’ambito della storia dell’arte, è stata affrontata una ricerca così complessa e articolata, che non ha avuto soltanto il fine di recuperare i Caravaggio perduti, ma di proiettare immediatamente ogni acquisizione, ogni lacerto, disegno o dipinto nell’ambito di un piano sistematico e scientifico, sulla linea del percorso evolutivo, dalle prime prove nella bottega milanese – dalle quali emerge l’esercizio ossessivo di complessa introiezione del modello delle mani e dei volti – fino all’elaborazione di uno stile internazionale, pulzoniano, che avrebbe consentito al pittore di mitigare il proprio realismo lombardo e di adattare la pittura al gusto della capitale pontificia. I volti degli efebi erano già stati impostati a Milano, come adattamento ai linguaggi romani, desunti da un canone di rappresentazione dei visi infantili o femminili, che il pittore aveva potuto trarre dai ritratti di Pulzone, presenti nella collezione milanese della propria protettrice, Costanza Sforza Colonna, una donna già fortemente presente nella vita di Caravaggio, dagli esordi milanesi.

L’operazione “Giovane Caravaggio” – che comporta una totale rilettura del sistema Merisi, condotta da un èquipe guidata da Bernardelli Curuz e Conconi Fedrigolli e composta da Francesca Romàn, Enrico Giustacchini e Mariacristina Ferrari – ha un enorme valore culturale ed economico. Gli studiosi lombardi, che presentano lo studio in due e-book di oltre 600 pagine, con mille illustrazioni, in buona parte inedite – studio che viene proposto, contemporaneamente, anche nelle traduzioni in inglese, francese e tedesco – ricostruiscono infatti, passo dopo passo, soprattutto attraverso disegni e dipinti inediti, il percorso del giovane maestro nella terra d’origine, evidenziando gli straordinari elementi di continuità con i noti dipinti successivi. Dei cento disegni trovati da Bernardelli Curuz e Conconi Fedrigolli – prove grafiche, anche di piccole dimensioni, che furono vergate da Caravaggio adolescente nella scuola-bottega di Peterzano, nel periodo compreso tra il 1584 e il 1588 – ben 83 sarebbero stati applicati – e ripetutamente, con minimi varianti – nelle opere della maturità, a dimostrazione che Merisi partì da Milano con canoni, modelli, teste di carattere e alcune possibili varianti stilistiche pronti ad essere utilizzati nei dipinti romani. I disegni non sono certamente quelli di Peterzano, perché – oltre ad essere incunabolo dei dipinti di Caravaggio – presentano una forte unità stilistica e una netta differenziazione rispetto all’opera grafica del pittore più anziano.

L’operazione “Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema Merisi” comporta una necessaria revisione degli studi caravaggeschi e ha pure un grande valore economico e ricadute istituzionali di elevatissima valenza. Si calcola, infatti, che solo il valore dei disegni – di proprietà del Comune di Milano – possa ammontare a circa 700 milioni di euro. Accanto a questo si aggiunge il fatto che la valorizzazione espositiva delle opere potrà configurare il nucleo di un museo dedicato al giovane Caravaggio in Lombardia.

Il ritrovamento dei disegni, oltre a presentare le evidenze dell’iter artistico del giovane maestro, cogliendo il punto del big bang di un’espressione pittorica che avrebbe sconvolto il mondo artistico, può inoltre aiutare gli studiosi, poiché è stata individuata la matrice disegnativa originale, a risalire ad altre opere perdute o di attribuzione controversa. La matrice strutturale del pittore si presenta, infatti ben delineata, per stile e tipologia figurativa, prima della partenza di Caravaggio per Roma. Il bagaglio iconografico, che egli porta con sé durante il trasferimento, è insomma ricchissimo e, soprattutto, si presta, con un minimo sforzo tecnico, a numerose varianti.

“Il ritrovamento è stato permesso dall’elaborazione di un preciso piano di ricerca, con marcatori stilistici. – commentano Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli – Del resto era totalmente illogico pensare che Caravaggio, in dieci anni, non avesse lasciato nulla, in termini artistici, in Lombardia. Com’era possibile ritenere che, nella scuola di un disegnatore eccelso e puntiglioso come Peterzano – il maestro di Merisi – l’allievo non avesse disegnato? Il disegno è sempre stato una delle attività primarie nell’ambito del percorso formativo nelle scuole e nelle accademie tradizionali. L’equivoco è forse nato dal fatto che si è pensato che Caravaggio non disegnasse né avesse mai disegnato perché nei suoi dipinti, non appaiono, al di là di incisioni sommarie, sottostanti attività grafiche preparatorie, nonostante indagini diagnostiche più recenti abbiano messo in luce lievi tracce di underdrawing. In un trattato didattico degli anni in cui Merisi frequenta la scuola di Peterzano, Bernardino Campi scriveva che i disegni ‘scolastici’ dovevano essere memorizzati profondamente dagli allievi affinché potessero essere poi accostati e rielaborati in composizioni complesse. Di fatto Caravaggio si attenne alla pedagogia dell’epoca. Memorizzò, adattò i disegni, forse li portò con sé, anche fisicamente, in dimensioni maggiori (1:1?) rispetto ai minuscoli bozzetti realizzati a Milano”.

L’oscurità profonda che avvolgeva l’opera svolta dal pittore lombardo nella propria terra di origine viene pertanto finalmente squarciata da uno studio che contiene decine e decine di novità assolute, tutte strettamente correlate tra loro.

Volti e mani, pose struggenti ed espressioni rapite, contorte, sofferenti al limite del grottesco, a colmare il vuoto figurativo della formazione lombarda del grande genio ribelle. C’è già tutto Caravaggio su quei fogli conservati nel Gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco. Un Caravaggio che è molto diverso dal proprio maestro; e riconoscibilissimo, grazie ad elementi di forza espressiva, alle architetture inconfondibili dei volti, ma pure ad errori che egli compie in bottega, che non corregge e che reitera nelle composizioni mature. Ci sono già tutti i protagonisti delle sue opere romane e napoletane in quei ritratti un po’ acerbi e sommari, dietro cui pulsa la rabbia di un anticonformista. C’è la sua voce, in quelle parole confuse ma spontanee, e c’è la sua calligrafia, carica di rabbia e passione in quel messaggio, rinvenuto – sempre nel materiale della bottega – sul verso di un foglio raffigurante una mano che regge un libro, come ha confermato la perizia grafica. A bottega da Simone Peterzano, tra il 1584 e il 1588, appunto, Michelangelo Merisi compone un corpus grafico e figurativo che riproporrà, modificato e adattato, nell’arco di tutta la sua produzione pittorica successiva.

I suoi ritratti dal vero non saranno altro che una rielaborazione naturalistica di un prototipo disegnativo ben delineato, di un canone rappresentativo già formulato, di “teste di carattere” studiate per esprimere la massima resa psicologica ed espressiva. Così è sufficiente effettuare – come avviene negli e-book – un confronto diretto e illuminante tra i disegni scoperti nel Fondo sforzesco e le tele realizzate dopo la partenza di Merisi da Milano, per riconoscere la stessa dirompente forza creatrice, gli stessi modelli di base, nitidi nella memoria dell’artista.

E Caravaggio a Milano non ha solo disegnato. Ed era molto probabile che fosse così. Nella chiesa dei Santi Paolo e Barnaba un sospetto gruppo di ritratti ne Il Miracolo dei santi Paolo e Barnaba a Listri, dipinto da Simone Peterzano, e già considerato da Roberto Longhi fortemente precaravaggesco, ha portato Bernardelli Curuz e Conconi Fedrigolli ad ipotizzare un intervento pittorico del giovane artista. Troppo intense erano le figure dei ritratti, che apparivano aggiunti, da un’altra mano, affastellate per riempire i vuoti tra figura e figura, contro il fondale, dotati di una diversa messa a fuoco, rispetto ai volti degli altri personaggi presenti nel dipinto. I due studiosi, a fronte di queste incongruenze e di una forte verità caravaggesca di un’ampia area dell’opera, hanno allora elaborato un piano di verifica. Secondo le fonti d’archivio, la tela è stata eseguita nel 1573, quando il pittore aveva due anni. Ciò per decenni ha portato gli studiosi a bloccarsi di fronte all’evidenza della data di realizzazione dell’opera, ben documentata negli Acta dei barnabiti. Ma quei ritratti, così diversi, forti e morfologicamente convergenti con opere della maturità non potevano essere stati aggiunti successivamente? Ed ecco lo sfondamento della porta della data, a fronte della quale, tutti in precedenza si erano fermati. Il dipinto venne rimaneggiato e completato attorno al 1590 poiché qui appaiono, come temporalmente intrusi, i ritratti del quarantenne Carlo Bascapè, superiore generale dei Barnabiti e direttore spirituale di Costanza Sforza Colonna, che nel 1573, all’epoca della stesura del dipinto di Peterzano era un giovane allievo dell’Università di Pavia, e il volto invecchiato di Alessandro Sauli, ultracinquantenne di Alessandro Sauli, che negli anni della prima stesura del dipinto aveva lasciato, con non poche frizioni, la congregazione per divenire vescovo in Corsica e che a quell’epoca, non aveva ancora compiuto quarant’anni. Queste evidenti incongruenze temporali, legate a unità stilistiche di diversa natura rispetto al resto del dipinto, hanno portato gli studiosi ad indagare gli esiti dell’integrazione, evidentemente compiuta da Caravaggio, poiché questa chiostra di ritratti non solo si presenta vivida di realtà: i due critici hanno trovato infatti corrispondenze assolute tra i ritratti realizzati a Milano, all’interno del quadrone di San Barnaba, e le opere conosciute della maturità. Ben nove volti tornano, come teste di carattere, pressoché sovrapponibili al dipinto incunabolo, nelle opere del periodo romano e post-romana. Dai ritratti emerge anche il volto di una donna bionda, collocato nel punto in cui sono dipinti i donatori. È, con amplissimi margini di probabilità, la marchesa Costanza Sforza Colonna, protettrice di Caravaggio e benefattrice dell’Ordine dei Barnabiti, il cui viso torna, sia in dipinti di Pulzone – ritrattista della famiglia Colonna – che in opere di Merisi, quali la Madonna del Rosario e in un’opera abbozzata da Caravaggio a Napoli e non portata a termine, a causa dell’ultimo viaggio in direzione della capitale.

Nel corso della ricerca, gli studiosi hanno trovato anche due dipinti che potrebbero costituire il più stretto anello di congiunzione stilistica con il Caravaggio romano del primissimo periodo. Il ritratto di una giovane donna, realizzato con il canone pulzoniano, e fino ad ora attribuito al Salmeggia – l’opera è stata da poco donata al museo dell’Accademia Carrara di Bergamo – e un dipinto, che stilisticamente ha i modi caravaggeschi, pur nella citazione di una pittura che si colloca tra Savoldo e Giorgione, oggi conservato al Museo di Algeri. Prove stilistiche generali, secondo gli studiosi lombardi, in previsione della partenza romana.

Lo studio ha permesso anche l’individuazione e l’accostamento di quattro ritratti a matita che Peterzano, dedica a un proprio allievo, dall’adolescenza alla maturità. Il volto, confrontato con gli autoritratti che Caravaggio realizzerà dal periodo romano, indica un’assoluta sovrapponibilità delle linee fisiognomiche. Ciò consente, non soltanto di rilevare i mutamenti del volto di Michelangelo Merisi, durante la crescita, ma, porterà, in un nuovo studio, a identificare la presenza del volto di Caravaggio, in una delle opere tarde del proprio maestro.

Di rilievo risulta anche l’individuazione, tra i disegni del giovane pittore, di un volto di donna, inscritto nel corpo di una mucca adagiata sul terreno; accanto ad esso il ritratto di un bambino. La donna era forse la madre di Caravaggio? Le fattezze del bimbo, tornano nella Madonna dei Palafrenieri, come il volto della donna. Linee fisiognomiche che appaiono anche nella Madonna della Morte della Vergine e de Le sette opere di Misericordia.

Sono previsti, a partire dai primi mesi del prossimo anno, dopo i due tomi già disponibili in internet, l’uscita di un terzo volume e di un quarto volume. Uno, dedicato a Costanza Sforza Colonna, protettrice di Merisi. L’altro alle tecniche di Caravaggio, alla luce della scoperta dei disegni del Fondo Peterzano. E anche in questo campo si attendono nuovi mutamenti nell’ambito di un assetto che pareva ormai cristallizato. (cfr, nella cartella stampa, il file: obiezioni)  

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13 Commenti

  1. Questo comunicato fiume lascia sbigottiti. Mai visto tanto autocompiacimento. Ma con quali studiosi di chiara fama sull’argomento si sono confrontati curuz e conconi prima di emettere questo comunicato planetario? Il tema è molto specialistico. Dato che i due non hanno alle spalle nessuna pubblicazione sull’argomento non era meglio usare qualche prudente condizionale? Ma soprattutto: se le opere sono di prop. pubblica (cioè non vendibili) perché insistere tanto sulla paccata di milioni che ora potrebbero valere? che c’entra il denaro col significato culturale della scoperta? a chi giova? alle assicurazioni? agli antiquari che hanno disegni della stessa mano? all’industria delle mostre? Che tristezza…

  2. Mah! la notizia mi sembra effettivamente un po’ farlocca. Sentite cosa ha dichiarato in proposito Stefano Boeri (assessore alla cultura comune di Milano) «Attiveremo le verifiche necessarie coinvolgendo un selezionato gruppo di specialisti, nel frattempo invitiamo tutti a una grande cautela» (fonte La Stampa). Altro stile rispetto al nostro giocondo assessorino.

  3. Leggete l’articolo apparso sul sito del corriere della sera a firma di Pierluigi Panza! Mamma che schiaffi che tira ai due pseudo scopritori! Non c’è che dire: una colossale figura di m.!

  4. non ho parole, la notizia ha fatto il giro del mondo eppure ci sono dubbi molto fondati sulla veridicità di questa coperta.
    Nel frattempo stasera l’e-book sarà in vendita in rete già tradotto in varie lingue…non c’è dubbio è un’operazione commerciale dai contorni ambigui e ben escogitata da uno che è pure direttore artistico di bresciamusei: siamo sicuri che nei prossimi giorni l’immagine dell’istituzione museale bresciana ne trarrà vantaggio?

  5. Anche a me è parso strano che abbiano "trovato" tutti questi disegni dopo 500 anni . La cosa che mi ha lasciato piu’ sconcertato è proprio il lancio del libro dei due scopritori subito dopo la rivelazione . Speriamo che sia vero ,che di figure ne abbiamo fatte parecchie.

  6. Mentre da alcuni giorni in tutti i più importanti quotidiani nazionali e internazionali questa "scoperta" viene riletta come una bufala madornale il Giornale di Brescia fa finta di nulla e continua esaltando l’importanza mondiale dell’evento. Evidentemente il mondo a cui si riferisce il nostro quotidiano non è il pianeta terra ma un altro pianeta del sistema solare (Marte?) forse lo stesso da cui provengono i 2 produttori della suddetta bufala

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