Il “caso” Canton Mombello approda anche in Corte d’Appello

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Il “caso” del sovraffollamento di Canto Mombello fa tappa anche in Corte d’Appello. Ecco il comunicato a firma del presidente Graziana Campanato diffuso questa mattina. 

Presso la Corte d’Appello di Brescia, alla presenza della Presidente, del Procuratore Generale, della Magistratura di Sorveglianza, della Direzione della Casa Circondariale cittadina e dei rappresentanti del Foro bresciano si è aperto oggi un confronto sulle problematiche connesse allo strutturale sovraffollamento carcerario.

In attesa dei necessari e improcrastinabili interventi di edilizia penitenziaria che, mediante il contributo sinergico di tutti gli operatori istituzionali competenti, si auspica possano trovare realizzazione in tempi ragionevoli, si è convenuto: 

anzitutto principale causa del sovraffollamento è da attribuirsi all’eccessivo ricorso alla custodia cautelare in carcere, fenomeno che nella realtà locale investe oltre la metà dei detenuti;

in secondo luogo, la peculiare composizione della popolazione carceraria bresciana, costituita in larghissima maggioranza da stranieri spesso clandestini, riduce sensibilmente l’accesso alle misure alternative alla detenzione a causa della conseguente assenza di riferimenti esterni di natura abitativa, lavorativa, familiare;

pur in presenza delle descritte oggettive criticità, è doveroso da parte di tutti uno sforzo comune e ulteriore al fine di conformare, per quanto possibile, l’espiazione detentiva ai dettami rieducativi imposti dalla Costituzione della Repubblica e al fine di ottemperare alle indicazioni provenienti dagli Organismi di giustizia europei;

in questo senso si attiva la recente circolare ministeriale che introduce un sistema di differenziazione dei circuiti penitenziari, nel senso di suddividere la popolazione detenuta secondo un criterio ancorato al livello di pericolosità, garantendo quindi ai più un nuovo modello di trattamento ispirato a modalità custodiali meno rigide e informato alla centralità della persona e dei suoi diritti inalienabili, nell’intento di migliorarne le condizioni di vita.

Strettamente connesso a questo rinnovato impulso che dovrebbe implementare la realizzazione di progetti formativi per la persona detenuta che abbia aderito alle nuove proposte trattamentali, si colloca l’intervento della magistratura di sorveglianza, il cui impegno deve essere volto ad un’ottimizzazione dei tempi di decisione al fine di supportare adeguatamente gli sforzi progettuali degli operatori penitenziari, nel comune intento di restituire dignità alle persone ristrette e concrete possibilità di reinserimento.

Tutti i soggetti coinvolti sono consapevoli che una moderna ed efficace concezione di sicurezza non coincide solo con opzioni securitarie e custodiali ma anche e soprattutto con reali programmi d’inclusione sociale, che garantiscono il contenimento della recidiva come statisticamente comprovato e, in ultima analisi, il perseguimento della finalità rieducativa della pena sancito inderogabilmente dall’art. 27 della nostra Costituzione. 

Invero, irrinunciabile è l’apporto della società civile, nella certezza che il problema carcerario investe l’intera comunità, non potendo confinarsi ai soli protagonisti diretti, nel senso che ineludibile deve ritenersi il contributo di tutte le forze sociali, segnatamente in tema di offerta di casa, lavoro e accoglienza.

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