Facciamo pace con i videogiochi

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di Lucia Marchesi – Parliamo di videogiochi. Uno dei passatempi più diffusi tra i ragazzi (più o meno giovani) bresciani e non solo. Noi figli degli anni ’80, che invidiavamo da morire il compagno di banco che poteva vantarsi di possedere il Sega Master System (ve lo ricordate?), abbiamo avuto la fortuna di assistere all’evoluzione dei videogiochi che, soprattutto adesso che inizia la brutta stagione, diventano un buon deterrente per ammazzare il tempo. Per carità, non è che abbiamo passato l’infanzia a giocare a “Pong” che, in quanto primo videogame della storia, non garantiva certo un grande brivido, ma se pensiamo ai giochi di adesso, paragonandoli a quelli che avevamo noi, non possiamo far a meno di sorridere.

Passatempo, chissà perché, ritenuto quasi esclusivamente maschile: non ditemi che non è vero. A tutte le ragazze appassionate di videogiochi è sicuramente capitato, entrando in un negozio specializzato, di essere guardate quanto meno con curiosità e di sentirsi fare, una volta scelto il gioco, la fatidica domanda «È un regalo?».

Ma com’è adesso il rapporto con i videogiochi?

Diciamo che la maggior parte dei bresciani ha fatto pace con questo tipo di intrattenimento: c’è stato un periodo in cui intere generazioni di genitori sono state terrorizzate da teorie psicologiche secondo le quali il figlio videogiocatore era un potenziale serial killer. Se un bambino dava uno spintone al compagno di scuola, la colpa era del tempo trascorso davanti alla consolle, che lo aveva trasformato in un violento.

Teorie forse un po’ eccessive. Io e molti miei compagni di scuola abbiamo iniziato a giocare con i videogiochi alle elementari e abbiamo diminuito le ore di gioco (mica abbiamo smesso) durante l’università. Nessuno di noi ha mai avuto l’impulso di ammazzare qualcuno…

Certo, adesso c’è molta più attenzione: le confezioni dei giochi riportano a caratteri cubitali l’età adatta per affrontare quel tipo di avventura virtuale. Ma quanti genitori la tengono in considerazione? Oggi che i videogiochi si comprano principalmente nei grandi negozi, dove ci si serve da soli e non si ricorre quasi mai al consiglio del negoziante, che magari ne sa un po’ di più, capita di assistere a capricci epocali di pischelli che non hanno ancora 10 anni e che vogliono a tutti i costi un gioco vietato ai minori di 18.

E capita, purtroppo, che il genitore ceda. Che poi diciamocelo. Questi giochi, i cosiddetti “sparatutto”, dove volano teste e braccia mozzate, sono proprio i meno affascinanti. Il mio è un giudizio femminile, ma non trovo molto interessante un gioco dove per tutto il tempo della partita non si deve far altro che premere a ripetizione il pulsante “spara”. Un po’ di varietà, diamine.

Sono invece più divertenti i giochi che si rivolgono ai bambini, o alle famiglie. Prima di tutto perché si supera la fase della solitudine davanti allo schermo (che era poi il modo in cui giocavamo noi), e si gioca tutti insieme. Le nuove generazioni di intrattenimento virtuale, poi, superano anche la fase dello star seduti sul divano con in mano il controller, muovendo solo i pollici. In effetti, accusare i videogiochi di aver contribuito in passato alla pigrizia e al sovrappeso infantile/giovanile non è poi sbagliato.

Vi è mai capitato di trovarvi a una festa di bambini, in cui si organizzano mini tornei di videogiochi? Niente pulsanti, il controller diventa la mazza da baseball o la racchetta da tennis e i giocatori davanti allo schermo si muovono come se stessero giocando una partita reale.

Unico problema, lo spazio: bisogna allestire apposite stanze, senza troppo arredamento, perché suppellettili e lampadari rischiano di diventare le vittime sacrificali dell’agonismo scatenato dal gioco. E anche gli altri ospiti devono tenersi a distanza di sicurezza, il pugno in faccia può arrivare da un momento all’altro.

Se questo tipo di gioco è piacevole e divertente a casa, possibilmente in compagnia, può diventare umiliante o imbarazzante nei luoghi pubblici.

Eh sì, perché l’appassionato di videogame, prima di acquistare, prova. E infatti nei negozi ci sono appositi spazi in cui si può provare l’ultima novità per tutte le consolle disponibili. Ma se quello che prova il tradizionale gioco per il quale si devono solo premere i pulsanti del controller passa inosservato, è impossibile non notare quello che si sbraccia e si agita davanti a uno schermo, sembrando quasi in preda a una crisi epilettica. Anche perché, appunto per evitare che il giocatore troppo concentrato faccia un occhio nero a un altro cliente, per lui è di solito allestito uno spazio enorme, lontano dagli espositori e delimitato da apposita segnaletica. Così si vede questo tizio, in mezzo al negozio, che corre, salta e si dimena, di solito provocando l’ilarità generale, soprattutto se non è proprio un giovincello…

L’estate purtroppo è finita, inizia l’autunno. Il clima bresciano si presta particolarmente a pomeriggi in casa davanti a una consolle. Cosa c’è di meglio della pioggia che cade fuori dalla finestra, mentre ci troviamo virtualmente in un luogo esotico?

 

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