Caso Lombardo, l’accusa per i tre fratelli napoletani diventa omicidio volontario

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Nove anni fa Gioacchino Lombardo, in via Prima al Villaggio Prealpino, venne picchiato ferocemente dal figlio a causa di una donna, giovane rumena, che la vittima aveva portato in Italia. Con lui, c’erano tre fratelli originari di Napoli che lo aiutarono a legare il padre e a metterlo nel portabagagli di una Tempra station wagon che poi a Bereguardo, in provincia di Pavia, è stata data alle fiamme. Essendo però Gioacchino Lombardo morto non a causa delle percosse ma, secondo l’autopsia, per il gas di combustione l’accusa fu derubricata da omicidio volontario in tentato omicidio e omicidio colposo e incendio doloso. Per questi reati nell’ottobre 2010, il bresciano e i fratelli vennero condannati a 23 anni e un mese dai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Brescia. Nel gennaio di quest’anno, però, durante il processo d’appello, il sostituto procuratore generale Domenico Chiaro, definendo un "obbrobrio" l’omicidio colposo, ha chiesto che la sentenza di primo grado venisse annullata perché riteneva che il reato da contestare fosse l’omicidio volontario. I giudici della prima sezione della Corte d’appello hanno accolto la richiesta decidendo che il caso dovesse ripartire dalle indagini preliminari. Ora i tre fratelli napoletani sono stati arrestati dai carabinieri del comando provinciale di Brescia, che hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per omicidio volontario emessa dal gip del Tribunale di Pavia a Rozzano, Sesto San Giovanni e Savona.

 

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