(a.c.) Tutto è bene quel che finisce bene? Non sempre. Si prenda il caso di una bresciana ultrasessantenne, alla quale è stato diagnosticato un tumore incurabile allo stomaco. Dopo lo shock per la terribile notizia, e il male provato per settimane e settimane durante il quale la donna era ricoverata in un hospice mantovano, una struttura per malati terminali, si è scoperto che si trattava di una "banale" gastrite. Tutti felici e contenti, a iniziare dalla donna, ma dopo un po’ la gioia si è trasformata in rabbia nei confronti dei medici responsabili della errata diagnosi.
I parenti della signora hanno presentato al Tribunale di Brescia una richiesta di risarcimento per i costi sostenuti durante la malattia, i permessi lavorativi presi dai rispettivi impieghi e soprattutto per la sofferenza morale provata. Sotto inchiesta l’ospedale dove si è rivolta la donna, e anche l’hospice che si è fidato dei riscontri dell’ospedale aspettando solo la fine delle sofferenze per la paziente. Che, pazientemente, è guarita da sola, senza nemmeno le cure specifiche per la sua gastrite.
Sono contento per la signora, e mi piacerebbe sapere in quale porto hanno fatto la diagnosi errata (per poterlo, se possibile evitare). Le notizie riportate a metà sono equivalenti al tirare un sasso e nascondere la mano. La malasanità in Italia non esiste: ci sono strutture che lavorano _sempre_ bene e strutture che lavorano _sempre_ male. Ma se non si fanno i nomi la questione diviene omertosa. E chi sbaglia, si prenda pubblicamente le proprie responsabilità.