Aib incorona Bonometti nuovo presidente degli industriali bresciani

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L’Aib ha incoronato il suo nuovo presidente Marco Bonometti, Cavaliere del Lavoro e leader del gruppo Omr-Officine Meccaniche Rezzatesi con 1280 voti (su 1527 totali) e l’83,8% dei consensi (QUI LA BIOGRAFIA COMPLETA DI BONOMETTI – QUI LA CRONISTORIA DELL’INIZIATIVA DI BSNEWS.IT PER LE PRIMARIE DI AIB). La seduta pubblica si è aperta alle 17 con la relazione di bilancio del presidente uscente di Aib Giancarlo Dallera seguito dagli interventi di Luca Paolazzi, direttore del Centro studi Confindustria e di Giacomo Vaciago, presidente di Ref Ricerche con l’approfondimento come tema “L’Europa e l’Italia nel secolo asiatico”. Al termine delle relazioni è stato proclamato il nuovo presidente, che ha tenuto il proprio discorso inaugurale di insediamento. Le conclusioni sono state affidate, invece, al presidente nazionale di Confindustria Giorgio Squinzi. La diretta dell’assemblea su Bsnews.it

IL BILANCIO DEL PRESIDENTE USCENTE GIANCARLO DALLERA – “In questi 4 anni abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare: difesa impresa, relazioni industriali moderne, e senza deroghe all’etica e ai valori di Aib. La speranza di una ripresa, oggi, resta una speranza. La politica non si è accorta che il tempo è scaduto. Nonostante questo riusciamo ancora a batterci sui mercati e la nostra operosità sconfigge i limiti della politica. Le imprese, dopo 4 anni e 3 governi, si trovano con gli stessi problemi di prima. I giovani, anche meritevoli, hanno poco prospettive. Il pericolo all’orizzonte è che la scarsità di innovazione spinga verso un lento sgretolamento del tessuto sociale”. “Oggi, all’interno di Aib, è arrivato il tempo del rinnovamento. Aib ha guardato in questi 4 anni alla formazione dei giovani: il liceo Carli sarà l’isola del merito. Un investimento non immediato, ma che porterà molti giovani ad entrare nelle più prestigiose università del mondo. La crisi ci ha fatto capire che è attraverso le relazioni industriali di qualità che si può fare la differenza. Guardo con soddisfazione a ciò che abbiamo fatto in questi anni, anche se ci sono ancora molti obbiettivi da raggiungere. Auguro al nuovo presidente Marco Bonometti buon lavoro per questi prossimi quattro anni”.

LA RELAZIONE DI LUCA PAOLAZZI – “L’Italia si trova all’interno della peggiore recessione della sua storia. Tra il 2007 e il 2013 è sceso del 8,3%. Le unità di lavoro sono calate di 1,4 milioni, i disoccupati sono raddoppiati e superano i 3 milioni, la propensione della famiglie al risparmio è ai minimi storici. I tre decenni appena trascorsi sono i peggiori per perdita di Pil”.

“Il resto del mondo corre verso la grande convergenza e con ritmi senza precedenti rispetto alla storia passata. Quelle che oggi consideriamo le nuove economie (Cina e India) galoppano ad alta velocità. La popolazione mondiale cresce senza precedenti. L’Ue e l’Italia sono pronte per queste sfide?“ “Il manifatturiero è il motore della crescita, perché genera sapere e innovazione. Gli Stati Uniti l’hanno capito ed è in corso il rimpatrio e la promozione di attività prima delocalizzate e di condizioni favorevoli ad avviare nuove produzioni industriali. Queste condizioni sono poco soddisfatto: abbiamo perso di competitività e siamo indietro nel costo di fare impresa. Siamo indietro anche nell’occupazione giovanile così come il costo dell’energia nel nostro paese è ben superiore al resto d’Europa. Siamo indietro anche nel numero dei laureati. E allora, quali scelte deve compiere Italia e Europa. Per quest’ultima servono riforme istituzionali e strutturali. Serve più Europa ma anche la riaffermazione del settore manifatturiero, politiche di redistribuzione dei redditi, maggiore attenzione all’ambiente, completamento del mercato unico dei servizi, più investimenti pubblici e privati. . Senza unità europea e senza industria l’Europa è destinata ad un progressivo impoverimento. Nel nostro Paese, la ricetta per cambiare rotta rimane l’alta vocazione industriale. Confindustria ha alcune proposte per riavviare il processo economico, ma serve la piena e convinta collaborazione sociale e politica”.

LA RELAZIONE DI GIACOMO VACIAGO (Presidente Ref Ricerche) – “Il fatto nuovo di questo secolo è l’abbattimento dei confini nazionali. Oggi chi vuol crescere deve andarsene dal nostro Paese. Il mondo cresce e la produzione industriale moderna è la crescita e in particolare l’apertura al manifatturiero, settore meno protetto e meno soffocato dall’azione pubblica, non ha caso è la locomotiva di un Paese. Questa crisi è l’esempio di cosa succede quando hai un credit-cranch. Il credito è il sangue dell’industria.

L’Italia non cresce da 10 anni. Prima esportavamo uomini e donne per lavorare all’estero, ora, invece, portiamo le nostre aziende all’estero.

E l’introduzione dell’Euro? Nel 2008 il crollo è comune. Che futuro ha l’euro? Bisogna ricordare che in Italia il 46 % della spesa è pubblica, per cui il futuro stato dovrà essere molto più efficiente. E’ ciò che è comune che ci blocca. Non bisogna auspicare che gli industriali siano bravi, ma occuparci delle cose comuni: imparare a competere dovrebbe essere insegnato a scuola. Solo in Italia il cognome segna ancora il voto degli esami”.


IL DISCORSO INTEGRALE DI INSEDIAMENTO DEL NUOVO PRESIDENTE MARCO BONOMETTI

Autorità, Signore e Signori, cari Amici imprenditori,

Vi ringrazio molto per la Vostra presenza qui, oggi, a questa nostra Assemblea, che quest’anno coincide con una fase decisiva per il nostro Paese, e quindi anche per Brescia e per tutti noi. Prima di condividere con voi alcune considerazioni, permettetemi doverosi e sentiti ringraziamenti. Ringrazio, innanzitutto, chi mi ha preceduto, il Presidente Giancarlo Dallera, il Consiglio Direttivo, e la giunta per il tempo dedicato e il lavoro svolto in questi anni, tutt’altro che facili. Ringrazio poi, tutti voi, cari colleghi, e ciascuno di voi singolarmente, per la fiducia che mi avete voluto accordare, e della quale spero di dimostrarmi degno nell’esplicazione del mandato che mi avete affidato.. Voglio rappresentare tutti Voi, cari colleghi nessuno escluso, e voglio dedicare la mia Presidenza agli Industriali bresciani, di oggi, di domani, e anche a quelli di ieri, compreso mio padre Carlo scomparso quando ero ancora studente.

Vi garantisco – sin da ora – che assolverò il mio compito con forte impegno e piena dedizione. Ma anche con la profonda consapevolezza del grande onore che mi deriva dal presiedere la più antica associazione imprenditoriale d’Italia, fondata nel 1897, che oggi rappresenta più di 1200 aziende associate, con 58.000 dipendenti, e un fatturato complessivo di circa 30 miliardi di euro. Chiedo da subito a tutti voi di starmi vicino, di lavorare insieme con lealtà e trasparenza, di condividere idee e progetti per il bene comune, perché la forza di una Associazione libera ed indipendente come la nostra sta nella condivisione, nel senso di appartenenza, nell’unità di intenti tra rappresentati e rappresentanti.

AIB è stata la mia seconda casa. Molti di voi, tanti dei vostri padri, e qualcuno che purtroppo non c’è più, siete stati la mia seconda famiglia. In un momento difficile della mia vita avete saputo adottarmi, dandomi anche gli affetti che non avevo più, mi avete insegnato a fare l’imprenditore, e con il vostro esempio mi avete spronato ad affrontare la vita con coraggio e determinazione.

In questo senso mi considero figlio vostro, frutto del vostro lavoro e oggi, come ho già fatto nella riunione della Giunta che mi ha designato, voglio cogliere questa occasione, la più solenne per la nostra Associazione, per ringraziarvi pubblicamente. Con questi sentimenti e con questa passione mi accingo a guidare la nostra grande Associazione.

In Associazione ho imparato, ora posso e voglio restituire, e trasmettere a mia volta.

In particolare ai giovani, nostro asset strategico fondamentale, che tuttavia guardano con inquietudine al loro futuro, insicuri persino della propria identità e dei propri destini, poiché troppe incertezze e incognite gravano sui loro orizzonti.

Giovani senza i quali, però, nessun futuro di sviluppo è possibile e ai quali vorrei quindi – come prima cosa – trasmettere soprattutto tre concetti: l’importanza dell’etica, anche negli affari, il rigetto della logica dell’assistenza e il rifiuto del declino. L’etica viene prima di qualsiasi altro valore e di qualsiasi strumento organizzativo. Un sistema imprenditoriale solidamente fondato sull’etica ha più possibilità di emergere in un mercato libero e aperto al confronto competitivo, in cui non si va avanti per cooptazione o per altro, ma per i meriti che si acquisiscono nei confronti di tutti, a partire dalla società in cui si opera. Guardate, miei giovani e cari amici e colleghi, che il declino, prima che altrove, è dentro di noi, negli occhi con cui guardiamo il mondo. Tra il 2007 e il 2013 il PIL italiano è sceso di oltre l’8% ed è tornato ai livelli del 2000. Nessun altro paese dell’Eurozona sta vivendo una simile caduta, con l’eccezione della Grecia. I danni che la recessione ha inferto al settore industriale sono micidiali. La produzione è caduta del 25%, in alcuni settori di oltre il 40%. Particolarmente colpito è il comparto delle costruzioni.

Negli ultimi cinque anni oltre 70 mila imprese manifatturiere hanno cessato l’attività. La redditività aziendale, già intaccata nei primi anni 2000, è stata profondamente erosa, con grave compromissione degli investimenti, e quindi della nostra competitività sullo scacchiere mondiale. Nei mesi più recenti si è attenuato anche l’apporto positivo della domanda estera, aggravando ulteriormente lo scenario complessivo.

La tenuta del tessuto sociale è messa a dura prova dall’ impatto della crisi sul mercato del lavoro e sulla capacità di reddito delle famiglie. Il numero di persone occupate è diminuito soprattutto tra le fasce di età più basse: -1,7 milioni tra i 15-44enni. I disoccupati sono raddoppiati e raggiungono ormai i tre milioni, cui vanno sommate le persone in Cassa integrazione. Questo quadro molto preoccupante s’innesta su una tendenza di bassa crescita che dura ormai da molti, troppi anni.

Manca domanda e manca liquidità. L’accesso al credito bancario è diventato un gravissimo problema. L’evidenza del credit crunch è tutta nei numeri che le stesse banche diffondono mensilmente. A marzo scorso i prestiti al settore privato sono diminuiti per l’undicesimo mese consecutivo (-2,33%). Sono stati soprattutto i prestiti a medio e lungo termine (durata superiore ad un anno) a frenare di più (-2,65%), segno che l’orizzonte superiore ad un anno spaventa ancora parecchio, sia le imprese che le banche. Così la crisi economica e la crisi di liquidità si avvitano in una spirale che mette a rischio la tenuta del sistema. Per le imprese le conseguenze della crisi stanno diventando drammatiche, e per gli imprenditori lo stanno diventando ancora di più, per le ricadute sociali e umane che vi sono connesse, di cui essi avvertono pienamente il peso e la dimensione.

Eppure – nonostante questo bollettino di guerra – io non riesco a perdere la fiducia e l’entusiasmo. Non vedo il mio Paese esangue. Circondato da tanti, forse troppi sapienti probabilmente sì, ma vivo, più che mai. Abbiamo il più alto stock di risparmio finanziario e, ancor oggi, un basso livello d’indebitamento delle famiglie. Vi è una capillare diffusione della proprietà della prima casa, sostanzialmente al riparo da bolle immobiliari. Sono assets che fanno da contrappeso a un alto livello di debito pubblico, buona parte del quale sottoscritto tuttavia da soggetti domestici, e che oggi possiamo comunque ritenere in sicurezza. In termini strutturali, quest’anno l’Italia raggiungerà il pareggio di bilancio, unico Paese dell’Eurozona, insieme alla Germania. Si tratta di risultati positivi e importanti che collocano l’Italia tra i paesi virtuosi dell’area euro. Ma soprattutto, al di là dei dati pur importanti, vedo in giro ancora tanta voglia di fare, di resistere, di innovare, di non mollare.

In questo quadro, il nostro primo compito di imprenditori è contribuire ad arrestare il declino e restituire fiducia. Se non noi, chi? Se non ora, quando? Abbiamo fatto la nostra parte, e continueremo a farla. Fare l’imprenditore in Italia non è mai stato un mestiere facile. Oggi, in molti casi, è diventata una sfida davvero temeraria. Concordo con chi sostiene che i posti di lavoro non si creano per decreto. Ma, lasciatemi dire, senza spirito di polemica verso chicchessia, che per decreto, ed in qualche caso anche per sentenza, i posti di lavoro certamente si possono distruggere. E se ne sono distrutti!. Non possiamo tacerlo: il problema principale dell’Italia non va più cercato soltanto nella finanza pubblica, ma anche nella bassa crescita, e la bassa crescita dell’Italia è determinata soprattutto dalla difficoltà di fare impresa nel nostro Paese.

La complessità delle leggi e degli adempimenti, un tessuto normativo ormai saturo, caratterizzato da regole irrazionali, contraddittorie, perfino vessatorie; la conseguente lentezza della burocrazia; i lunghissimi e incerti tempi della giustizia; l’insopportabile carico fiscale; la mancanza d’infrastrutture adeguate sono mali antichi di questo Paese. Negli anni questi fattori hanno pesato sempre più, ostacolando l’adeguamento del sistema produttivo alla triplice sfida della globalizzazione, della moneta unica, della rivoluzione tecnologica e informatica. In essi risiede la ragione della difficoltà di attrarre investimenti stranieri in Italia. Anche la corruzione è una delle facce di quel sistema economico illegale che costituisce un freno alla ripresa economica, ed è sbagliato e dannoso continuare a pensare che l’illegalità sia tema solo del Mezzogiorno. Abbiamo amaramente costatato che non è così. Lo scioglimento di consigli comunali in Lombardia per infiltrazioni mafiose lo prova al di là di ogni ragionevole dubbio, ed il timore del dilagare della mala pianta è fondato.

Legalità e imprenditoria sono un binomio inscindibile, ed è dimostrato il legame virtuoso esistente tra crescita, investimenti e ripristino della legalità, al quale chiamiamo le Istituzioni ad ogni livello, dal Governo ai Comuni. La Magistratura va preservata, perché costituisce una garanzia per la Nazione e per la stessa democrazia. Va difesa in ogni momento, anche in quelli del dubbio. Preferisco apprezzare l’assoluzione del Gup per insussistenza del reato, nei confronti di alcuni nostri colleghi imprenditori espressa in questi giorni, che disquisire sull’evitabilità della loro imputazione. Ma chiedo a tutti, a partire dalla stessa magistratura, di aiutare l’Italia a crescere in armonia ed a svilupparsi in una matura ed efficiente legalità, che sia il presupposto di una moderna democrazia economica. E fra le forme più subdole di “corruzione”, sia pure tra virgolette, colloco anche l’eccesso di finanza e il suo distacco dall’economia reale, l’idea malsana – e purtroppo diffusa – che il denaro possa generare denaro senza l’intermediazione del lavoro. Pericolo già colto dai Padri della Chiesa, e che dopo mille anni ha mostrato tutto il suo micidiale potenziale distruttivo. Dobbiamo far capire a tutti che se si assicura un futuro alle imprese sane, fondate sul lavoro, si assicura un futuro anche al Paese.

Dobbiamo far comprendere a tutti che la competitività ha un irrinunciabile valore sociale, perché significa crescita, occupazione, benessere; perché quando lo standard di vita ristagna, o addirittura arretra, la società si incattivisce, si riducono tolleranza, equità e solidarietà, si perdono anni di storia e quote di civiltà.

Se si perde il potenziale produttivo della nostra industria s’impoverisce, insomma, tutto il Paese, che non è un’entità astratta, ma siamo tutti noi, imprenditori e lavoratori, famiglie e giovani, tutti partecipi di un medesimo destino. Oggi è più diffusa la consapevolezza della necessità del cambiamento. Cambiamento che deve investire anche tutte le componenti della società, comprese le Organizzazioni di rappresentanza, sia dei lavoratori che delle imprese, e quindi anche Confindustria ed il suo sistema, Brescia inclusa. Il cambiamento per noi imprenditori è un modo di essere. Il capitalismo e l’economia di mercato – differenziandosi in ciò da tutte le altre forme di organizzazione sociale – hanno connaturato non l’istinto della conservazione, ma dell’innovazione, del progresso, della continua evoluzione. Economia di mercato e innovazione sono sinonimi. L’ho detto prima, noi imprenditori faremo la nostra parte, continuando a investire nelle nostre aziende, a credere nel manifatturiero, nella possibilità di rilancio dell’economia e, con essa, dell’Italia .

Come diceva Einaudi: «Migliaia, milioni d’individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che si possa inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno». Ma adesso è giunta l’ora che anche gli altri facciano la loro parte. Basta annunci. Il tempo è scaduto. Oggi, più che mai, l’attitudine al cambiamento deve diventare consapevolezza di tutti. A cominciare dalla politica, se vuole ancora rappresentare gli italiani, se vuole ancora essere legittimata alla guida del paese. E qui, vado solo per punti, limitandomi ai più importanti. Tutti noti. Risaputi. Più volte segnalati da Confindustria, eppure tutti ancora lì, a zavorrare qualsiasi buona volontà, vere e proprie macine da mulino legate ai piedi di chi vorrebbe correre, fare, costruire, crescere.

Ridurre al minimo la “mano morta” della burocrazia sulla libera intrapresa. Per le imprese il tempo è una variabile fondamentale. Non è così per la Pubblica amministrazione. Tenere tutto fermo in attesa della risposta di un ufficio pubblico è un costo sociale che il sistema Italia non può più sostenere. La necessità di semplificazione trova il proprio fondamento nella nostra Costituzione, dove è scritto che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo del Paese. Ridurre il peso del fisco, sfoltendo gli apparati inutili. In particolare, ridurre di almeno l’8% il costo del lavoro nel manifatturiero e cancellare per tutti i settori l’IRAP che grava sull’occupazione. Le tasse sul lavoro fanno sì che in Italia un lavoratore costi all’impresa circa due volte il suo stipendio netto, contro un rapporto pari a 1,7 nel resto dell’area euro. Ridurre inoltre l’IRPEF sui redditi da lavoro più bassi, anche con forme d’imposta negativa per gli incapienti. Migliorare i rapporti tra i contribuenti e l’Erario. Dobbiamo combattere la povertà, non la ricchezza. Questo concetto, cardine in una democrazia moderna, come si rapporta a una produzione di norme tributarie cresciuta esponenzialmente nell’ultimo decennio?

Per essere efficiente un sistema tributario deve essere prima di tutto stabile. In Italia le regole fiscali cambiano invece ogni mese.

L’amministrazione finanziaria è oggi vista da molti come un vero e proprio nemico di chi produce ricchezza. Sempre più spesso verifiche e accertamenti sulle imprese si basano su teoremi accertativi sprovvisti di solido ancoraggio legislativo (l’elusione, l’abuso del diritto, l’atto antieconomico) ovvero su interpretazioni delle norme francamente discutibili. Sempre più spesso i contribuenti si devono confrontare con principi affermati nelle sentenze, ma non conosciuti né conoscibili quando hanno fatto le dichiarazioni fiscali. Il garantismo in materia fiscale non vale?Ridurre al minimo le modalità di attuazione del decreto che finalmente ha sbloccato una parte delle decine di miliardi di crediti che le imprese vantano nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Gli ostacoli, nonostante i miglioramenti, sono ancora tanti, troppi. Ovviamente il fatto di aver sbloccato i vecchi debiti non deve costituire l’alibi per poterne accumulare di nuovi. Non possiamo più accettare che le imprese falliscano perché devono versare le tasse per forniture fatte allo Stato e che lo Stato non ha pagato. Ciò è indegno di un paese civile. Al riguardo, va quindi immediatamente perseguita la possibilità di compensare i debiti verso il fisco con i crediti commerciali vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione. Ridurre i costi dell’energia, tra i più elevati in Europa. L’energia elettrica è per le imprese italiane da oltre dieci anni stabilmente al di sopra del 40% rispetto alla media europea, mentre il prezzo del gas naturale ha registrato un progressivo divario che si è acuito negli ultimi anni. Dobbiamo puntare a un rapido riallineamento strutturale che abbia come riferimento le condizioni degli altri paesi europei. Altrimenti parlare di competitività rimane un esercizio teorico, da scuole di filosofia. Un Paese, come il nostro, ad alto livello di sviluppo, con capacità di ricerca scientifica e tecnologica e ottima tradizione nella produzione di beni strumentali, deve inoltre esercitarsi più di altri nella ricerca di tecnologie del risparmio. Reperire le risorse per sterilizzare il previsto aumento dell’aliquota IVA ordinaria a valere dal 1° luglio prossimo e per il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali. Tali risorse dovranno scaturire da una revisione accurata della spesa corrente primaria, ivi compresi i sussidi, senza comprimere ulteriormente la spesa in conto capitale. Va aumentata la dotazione del Fondo Centrale di Garanzie per le piccole e medie imprese e del Fondo di Solidarietà per i mutui.Ridurre, infine, i tempi di realizzazione delle infrastrutture. Tra il 1990 e il 2011 la spesa delle Amministrazioni pubbliche per investimenti è stata pari al 2,4% del PIL, lievemente inferiore alla media dei paesi dell’area dell’euro (2,5%). Ciò che risulta veramente intollerabile è, invece, il divario che ci separa dall’Europa, sia in termini di costi medi di realizzazione, sia – soprattutto – con riferimento ai tempi complessivi di realizzazione delle opere, in alcuni casi, ormai, biblici. E così, quasi impercettibilmente, giorno dopo giorno, accumuliamo gravi deficit infrastrutturali, mentre nuove e innovative infrastrutture rappresenterebbero fattori essenziali di competitività per il Paese. Sempre in materia d’infrastrutture, il credito d’imposta è, oggi, la sola condizione per far partire non pochi progetti. Restituire, per esempio, la metà delle imposte incassabili su una grande opera, significherebbe pur sempre incamerarne una metà, facendo però crescere il PIL. Se senza tale sgravio l’opera invece non parte, il PIL resta fermo e l’erario non incassa nemmeno quella metà che potrebbe incassare. Permettetemi ora alcune brevi note su ciò che penso riguardo alla nostra Associazione. Voglio sia chiaro che considero l’Associazione come la casa di tutti coloro che credono nel futuro della propria impresa e nel futuro del nostro Paese.

In fabbrica produciamo “valore”, in Associazione dovremo consolidare “valori”: difesa delle aziende, che vuol dire anche difesa dei posti di lavoro, difesa degli industriali, difesa del lavoro, orgoglio d’appartenenza, nella consapevolezza che più siamo e più contiamo. Per questa ragione intendo facilitare con ogni mezzo l’accesso degli imprenditori all’AIB, ad esempio anche la sera, anche il sabato mattina, se servirà, affinché la sentano sempre di più la loro casa, viva, vivace, accogliente. Non possiamo restare fermi a guardare che aziende, anche storiche e ricche di tradizione, siano costrette a chiudere, oppure ad andarsene dal Paese, lasciandosi dietro migliaia di persone senza lavoro. E’ la storia comune a tante imprese, grandi e piccole, strette tra due fuochi: da una parte le inefficienze del sistema e le zavorre che pesano sul settore manifatturiero italiano; dall’altra la pressione della concorrenza straniera.

Questa situazione va avanti da troppo tempo, è ora di dire basta, e tutti quanti abbiamo il dovere di invertire questo trend, con ogni mezzo. Dobbiamo farlo con l’impegno di ognuno, perché è l’unico modo affinché l’Italia e Brescia rialzino la testa e tornino a generare benessere e occupazione. E’ l’unica strada perché l’Italia torni ad essere un Paese per i giovani. Lo possiamo fare abbracciando pienamente, in ogni gradino della società, una cultura industriale che crede nella competizione, che vede le imprese e i lavoratori uniti ed alleati in questa sfida. Serve un’Associazione protagonista, forte, autorevole e rispettata, ad ogni livello d’interlocuzione: verso il mondo economico e finanziario, i sindacati, gli ordini professionali, le associazioni, e il mondo politico in testa. Anche attraverso un confronto continuo e costruttivo con il più alto rappresentante del Governo sul territorio, propiziato dalla attenta sensibilità verso i problemi dell’economia e del lavoro che il Prefetto Narcisa Brassesco Pace ha sempre dimostrato.

Un’Associazione con un’organizzazione interna snella, efficiente, adeguata ai tempi e ai nuovi bisogni delle imprese, con l’ambizione di ridiventare una delle migliori “territoriali” d’Italia. Con una squadra forte di Vicepresidenti e delegati, con i migliori funzionari e servizi all’avanguardia incentrati sull’aiuto all’internazionalizzazione e all’accesso al credito, alla finanza agevolata, sull’inter-scambio fra le aziende e sulla formazione continua soprattutto ai giovani, sull’ambiente e la sua tutela, intesi come beni comuni e non come strumentalizzazione da parte di molti. Un’Associazione in cui le imprese trovino risposte pronte ed affidabili per la soluzione dei loro problemi, che l’Associazione deve far propri, gestendoli in prima persona, nei confronti di tutti, a cominciare dalle Istituzioni. Perché questo è fare servizi, perché questo significa rappresentanza. Ma per far ciò, le parole d’ordine devono essere anche qui: RINNOVAMENTO e QUALITA’. Siamo imprenditori, ricordiamocelo sempre, e come modernizziamo e innoviamo le nostre aziende, così dobbiamo modernizzare e innovare la nostra Associazione. Questo impegno non ha alternative.

Se non ne saremo capaci, dovremo assistere al progressivo distacco degli imprenditori, che nell’Associazione non riconosceranno più un protagonista imprescindibile. Se noi per primi non dimostriamo con fatti concreti questa convinzione, non potremo mai esigerla dagli altri. Per quanto riguarda il nostro ruolo verso Confindustria, esso non sarà mai quello di una sterile critica, ma di proposta costruttiva, di aiuto proveniente dal territorio per meglio decifrare i nuovi bisogni delle imprese. In questo senso la nostra Associazione sarà di pungolo al rinnovamento, nella convinzione che anche Confindustria deve compiere passi avanti in questo senso, e li deve fare presto, se vuole continuare a rappresentare ancora gli interessi delle imprese manifatturiere. Il tempo è scaduto anche per Confindustria, caro presidente Squinzi, e ti chiediamo di dare la sveglia alla Commissione per la riforma di Confindustria che sta viaggiando con tempi non in linea rispetto alle esigenze delle imprese, ritardando così il varo della riforma.

Riforma che deve essere attuata al più presto. Infine, i rapporti col mondo del lavoro, argomento che tratto da ultimo per enfatizzarne l’importanza. Nonostante le buone intenzioni, la riforma Fornero non è riuscita a risolvere i vecchi problemi. Anzi, lo constatiamo con rammarico, ne ha creato qualcuno di più. Il risultato paradossale è che oggi assumere è diventato ancora più difficile, mentre la flessibilità rimane sostanzialmente ancora un’utopia.I contratti a tempo determinato non sono certo l’ideale, ma sono sempre meglio della disoccupazione. La corretta gestione di un rapporto di lavoro sta diventando un’autentica impresa anche per gli specialisti, con la conseguenza che, anche per questo, gli investimenti esteri ignorano ormai l’Italia. Lo stesso dicasi per l’apprendistato reso più complesso, rendendo così più difficile l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Con i sindacati, con tutti i sindacati, siamo chiamati a combattere la crisi, creando nuovi posti di lavoro, perché questo è quello che sappiamo fare, questo è ciò che vogliamo fare, che dobbiamo fare, se vogliamo superare l’emergenza, se vogliamo riaprire concrete prospettive per il Paese. Per fare questo dobbiamo cambiare i paradigmi di approccio al problema, e dobbiamo cambiarli tutti insieme, non solo noi o non solo loro. Questo è un impegno morale che tutti insieme oggi dobbiamo assumerci nei confronti dei giovani, dei nostri figli, delle famiglie affinché a Brescia si ricreino ancora le condizioni competitive per continuare a fare impresa e creare posti di lavoro. Altrimenti non si andrà da nessuna parte.

Conserveremo i quasi 500 contratti che ancora regolano, ciascuno con centinaia di pagine, un’industria ormai allo stremo delle forze, dibatteremo ancora se un contratto debba essere a tempo determinato o indeterminato, mentre quello che nel frattempo svanirà sarà il lavoro, e con esso la speranza, la prospettiva, specie per i giovani. Siamo in emergenza, ed il lavoro non fa eccezione. All’emergenza si risponde con misure eccezionali, ed è responsabilità di chi rappresenta lavoro ed impresa trovare forme nuove, che ridiano slancio e concorrenzialità ad intelligenze che non sono seconde a nessuno, che riscoprano voglie di investire mai sopite, che valorizzino capacità di lavoro tra le migliori al mondo. Scommettendo, insieme, sulla creazione di nuova competitività del sistema paese, di quella vera, però, non di quella ideata per pagare meno tasse e meno contributi, che aiuta ma non risolve; di quella competitività che si crea in fabbrica, che incrementa il valore della produzione, che non è certamente figlia dei contratti nazionali. Ma più di tutto – anche qui per renderci più in linea con l’Europa – credo debba essere incentivata in modo strutturale la contrattazione aziendale, legandola a oggettivi parametri di produttività, redditività, qualità, assiduità e finalizzata a ristabilire un nesso tra il salario, la professionalità, la fatica e la responsabilità. Sono queste le leve su cui si deve agire per accrescere la produttività e i salari. Oggi, in Italia, il più grande datore di lavoro è diventata la Cassa Integrazione: c’è qualcuno che pensa si possa andare avanti a lungo così?Io sono fermamente convinto del fatto che non tutto sia perduto. Sono anzi convinto del fatto che, se è vero che i nostri “fondamentali” come li definiscono gli economisti, non sono tali da collocarci ai vertici delle classifiche che spesso nel mondo si stilano, noi abbiamo altri “fondamentali” che vanno valorizzati. Sono i fondamentali che voglio definire “spirituali dell’uomo”, per distinguerli da quelli economici. Si chiamano intelligenza, genialità, inventiva, capacità di lavoro, amore per il rischio, accoglienza e sussidiarietà , per citare i più importanti in questa circostanza. Io ci credo! E spero che da questa solida terra bresciana, che storicamente questi valori incarna e testimonia, possa partire un messaggio forte e condiviso per una fase nuova, per noi e per quelli che ci seguiranno. Grazie, e viva Brescia, viva l’Italia!

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