Aliquota Imu, il Presidente di Aib Marco Bonometti chiede ai Comuni “moderazione fiscale”

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Nelle economie industrializzate Italia sempre prima per l’incidenza di tasse e contributi sul totale dei profitti di un’impresa. Un primato – il tax rate al 68,3% – al quale, nonostante intenzioni e proclami, pare non si voglia rinunciare, con una spinta verso l’alto della quale sono sempre più responsabili i Comuni, abili nel drenare risorse là dove hanno certezza di poterle trovare, spesso incapaci invece nel gestire accortamente il proprio patrimonio e le risorse versate dal cittadino.

Recentemente Confindustria ha chiesto – nell’audizione con i senatori della Commissione finanze – un’indagine conoscitiva sulla tassazione degli immobili e la completa eliminazione dell’Imu sui beni strumentali. Sugli immobili impiegati per attività produttive si applica infatti il carico fiscale più oneroso, con un cumulo tra prelievo Imu ad aliquota massima, maggiorazione Tares sui servizi indivisibili (tassa che va rivista escludendo i locali che non producono rifiuti urbani) ed imposte sul reddito prodotto.

Le imprese hanno bisogno di un’aliquota Imu contenuta, una fiscalità che escluda tutti gli impianti dalla determinazione della rendita, che venga sospesa l’applicazione dell’aumento dei moltiplicatori, esentando gli immobili-merce (quelli invenduti dalle imprese edili), riconoscendo la piena deducibilità dell’Imu, sia dall’Ires che dall’Irap.

Nell’attesa è necessario che i Comuni (mercoledì 24 incontreremo i 32 sindaci delle amministrtazioni bresciane con più di diecimila abitanti) contribuiscano a creare le condizioni maggiormente favorevoli affinché le imprese possano continuare ad investire sul territorio.

Ma le notizie che ci arrivano non vanno in questa direzione: molte amministrazioni locali infatti – assistite da società esterne di consulenza – hanno avviato accertamenti, con pesanti conseguenze anche in termini sanzionatori, che derivano dall’inclusione di impianti e macchinari nella determinazione delle rendite catastali dei fabbricati.

Pur nella consapevolezza che tali decisioni sono regolate  da norme  complesse – che peraltro risalgono agli anni Quaranta del secolo scorso formando oggetto di interminabili contenziosi – la domanda, tralasciando concetti filosofici alti che riguardano la libertà dell’imprenditore, allora è: per quale ragione deve esser accatastato un bene strumentale che oggi funziona nello stabilimento di un comune e domani, per ragioni diverse legate alla tecnologia o al mercato, potrebbe venire smontato, trasferito in un altro territorio o in un altro paese? Il problema della tassazione si pone anche per le aree di cava, per le quali gli enti impositori stanno chiedendo l’accatastamento determinandone il valore anche sulla base del valore del materiale estratto.

Crediamo sia quindi necessario un intervento normativo che dia certezza alle imprese, evitando disomogeneità tra territori, con una revisione della legge volta ad escludere dalla rendita catastale tutti gli impianti ed i macchinari.

I vincoli di bilancio statale e comunali ci sono, e ne siamo consapevoli, ma siamo altrettanto consapevoli che questi vincoli gravino sempre più sulle imprese con costi  non  più sostenibili.

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