Cdc, Ambrosi: Meno risorse, stesse funzioni. Questa è la nostra sfida

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Non c’è nemmeno stato bisogno del ricorso all’urna. Lo scorso novembre Giuseppe Ambrosi – 50 anni, presidente e amministratore delegato della Ambrosi Spa – è stato eletto per acclamazione nuovo presidente della Camera di Commercio di Brescia, raccogliendo così il testimone dell’uscente Franco Bettoni (in sella da 22 anni). Un passaggio fortemente voluto dall’Aib di Marco Bonometti e una sfida importante per l’ente di via Einaudi, quella di continuare a sostenere lo sviluppo del territorio bresciano, ma con risorse che nell’arco di tre anni subiranno un drastico calo a causa della riforma voluta dal governo.

 

L’ultimo bilancio della Camera di Commercio di Brescia è stato di circa 28 milioni. Entro tre anni si dimezzeranno le entrate da diritto annuale. Con le risorse rimanenti si riuscirà comunque a realizzare iniziative importanti per lo sviluppo del territorio?

La diminuzione del diritto annuale non ha fatto venir meno le competenze delle Camere di Commercio, come risulta anche dal disegno di legge delega in corso di approvazione al Senato. Anzi, oltre alla conferma in capo alle Camere di Commercio del Registro imprese e di tutte le funzioni relative alla competitività delle imprese, alla tutela ed alla regolazione del mercato, ai brevetti, ai protesti ed alla mediazione, sono previste ulteriori competenze, che potranno provenire dalle Province o dalle Regioni, se non dallo Stato. Inoltre, resteranno alle Camere i diritti di segreteria come corrispettivo dei servizi che verranno erogati. In sostanza, si sono ridotte le risorse ma non le funzioni: questa sarà la vera sfida.

Quali saranno le sue prime azioni concrete?

Proprio in questi giorni la Giunta Camerale sta approntando un piano di dismissioni di  partecipazioni in società ed enti che, alla luce delle nuove competenze, non sono ritenute più strategiche, sia perché sono riferite a progetti che hanno concluso il proprio periodo di start up sia perché il riordino del sistema camerale conduce ad una profonda revisione delle ragioni per cui la Camera è presente in alcune società. Già per il 2015, inoltre, si è decisa una drastica riduzione di contributi a favore di enti, cui è stato chiesto di redigere un business plan che contempli anche l’assenza del finanziamento camerale. I componenti della Giunta e del Consiglio ed io stesso abbiamo rinunciato alle indennità di carica e di presenza. Il Consiglio camerale, poi, nell’approvare la Relazione previsionale 2015, ha dato mandato alla Giunta di adottare un piano di riorganizzazione e di contenimento dei costi, sia gestionali ed organizzativi sia delle risorse umane, e con questi strumenti interverremo nel dettaglio. Occorre comunque considerare che la Camera di commercio di Brescia non parte da zero, ma da un lavoro fatto negli anni scorsi di forte attenzione sulle spese gestionali, ben prima dei tagli del Governo Renzi: un percorso che l’ha collocata, in una classifica elaborata da Unioncamere nazionale, tra le prime in Italia nel rapporto tra entrate e spese gestionali.

Nelle prime riflessioni sulla riforma si era prospettata una Camera di commercio con introiti dimezzati, senza deleghe per l’internazionalizzazione e con il solo Registro imprese. Nel frattempo è cambiato qualcosa?

Le funzioni e le competenze camerali non sono state ridotte: lo stesso ministro Federica Guidi ha affermato che intende assegnare alle Camere anche le funzioni di accesso sul territorio per quelle iniziative ministeriali che, evidentemente, non riescono oggi ad arrivare capillarmente alle imprese. La stessa competenza per l’internazionalizzazione viene confermata in un quadro – questo sì necessario – di coordinamento delle azioni, operato da Ice ed Unioncamere nazionale, nella convinzione che le Camere debbano restare gli enti deputati sul territorio al sostegno ed all’accompagnamento delle Pmi nei processi di internazionalizzazione. Certo, occorrerà che il sistema camerale nel suo complesso riveda la propria organizzazione territoriale, soprattutto intervenendo sulle realtà camerali che non sono in grado di sostenersi da sole e che necessitano invece a tutt’oggi ancora dell’apporto di un Fondo perequativo finanziato dalle Camere “solide”. Ricordo, per inciso, che Brescia concorre a questo finanziamento con più di 1 milione di euro, che potrebbe essere più proficuamente destinato alle imprese del territorio.

 

 

 

Lei viene da un’esperienza di gestione di un’importante impresa privata che deve competere sul mercato. Ora è a capo di un ente di diritto pubblico. Il salto è stato così netto? Come pensa di riuscire a efficientare la Camera di Commercio e migliorare i servizi alle imprese? Che strumenti chiederebbe al legislatore a questo scopo?

Il sistema pubblico è fortemente diverso da quello privato per il semplice motivo che le due realtà fanno cose diverse, non comparabili né fungibili, ma – piuttosto – complementari. Si va verso una contrazione dei contributi economici camerali diretti alle imprese a favore di un incremento di servizi per l’orientamento, lo start up di impresa, per l’accesso al credito, per la formazione, per l’internazionalizzazione: in sostanza, un’attenzione più qualificata dal punto di vista dei servizi da rivolgere alla micro e Piccole medie imprese. L’ha confermato il senatore Giorgio Pagliari, relatore del disegno di legge di riforma, di fronte ai presidenti delle Camere di commercio, evidenziando come sia in atto uno sforzo per ripensare le Camere, non come superamento delle stesse, ma come attualizzazione delle loro funzioni, al fine di farne uno strumento ancora più operativo e funzionale. Uno sforzo di elaborazione delle funzioni camerali che va nella direzione di creare una rete di servizi ad ampio raggio al sistema delle imprese, superando la logica della contribuzione economica, in non pochi casi anche “a pioggia”, quindi poco efficace.

Un’ultima considerazione. Expo è alle porte e la questione della tutela del Made in Italy nell’agroalimentare sta diventando un’esigenza sempre più forte. Da esperto del settore, cosa ritiene debbano fare i consorzi per tutelare i prodotti a marchio italiano (si pensi al Parmigiano e al Parmesan americano) di fronte ai nuovi scenari internazionali che sembrano esporli sempre più al rischio di falsificazioni?

Le tradizioni italiane sono un patrimonio del nostro Paese, che va difeso con forza e con investimenti congiunti sia dei Consorzi di tutela che del nostro Governo. La capacita di creare prodotti di eccellenza ci contraddistingue da sempre e la tentazione di volerceli copiare è la conferma che sono prodotti eccezionali. Dobbiamo continuare a farli conoscere ovunque nel mondo: questo è il vero sistema per proteggerli dalle imitazioni, perché quando un consumatore prova l’originale non ha più dubbi sulla scelta. Expo è un’occasione irripetibile per questo scopo: sta a noi saperla cogliere appieno.

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