Pesca di frodo, Sala (Maroni): aumentare controlli e sanzioni, ma non per il pesce siluro

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«Una risoluzione meritevole e condivisibile, ma che non risolve i problemi che il pesce siluro causa all’ecosistema». Il consigliere regionale del Gruppo “Maroni presidente” Alessandro Sala, presidente della Commissione Territorio e infrastrutture e componente della Commissione Agricoltura, montagna, foreste e parchi, commenta così la risoluzione concernente la pesca di frodo approvata dal Consiglio regionale con il voto favorevole della Lista Maroni. La risoluzione inasprisce le sanzioni per i pescatori di frodo, ritenute attualmente irrisorie e pagate solo nella misura del 10% del totale, dispone l’eventuale sequestro di auto e natanti, oltre a quello di reti e attrezzature, e sollecita maggiori controlli nei bacini lombardi.

«Sarebbe stato meglio scindere in due la risoluzione, distinguendo la pesca di frodo da quella del pesce siluro – ha detto Alessandro Sala nel suo intervento in Consiglio regionale, nel corso del dibattito sul provvedimento –. I bracconieri pescano con sistemi non consentiti e spesso con natanti non di loro proprietà, dai quali càpita pure che rubino i motori fuoribordo. Sanzionarli va bene, mi auguro che i verbali vengano poi pagati. Ma mi chiedo come si può procedere alla lotta contro il bracconaggio, contro la caccia e la pesca di frodo quando la Polizia Provinciale non esiste più».

Diverso è, per Sala, il caso del pesce siluro. «Si tratta di una specie ittica maggiormente ambita dai pescatori di frodo, non autoctona, invasiva e anche molto pericolosa per gli ecosistemi fluviali – ha rimarcato il consigliere della Lista Maroni –. Come per cinghiali, nutrie, cormorani e altre specie, il problema divide l’opinione pubblica, ma a rimetterci sono gli ecosistemi. Il fabbisogno alimentare quotidiano del pesce siluro, che si nutre anche di avifauna acquatica, raggiunge il 50% del proprio peso, che può raggiungere i 2 quintali. Pescandolo, i bracconieri non compiono un danno all’ecosistema fluviale». Sala ha quindi ricordato come «per almeno dieci anni ho cercato di limitare i danni di questi pesci nella provincia di Brescia, mentre molte Province hanno speso fior di quattrini per studiare come eradicare questa specie e perfino come cucinarlo, con l’unico risultato che non lo mangia nessuno».

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