Lavoro, saldo ancora negativo tra assunzioni e uscite

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Nel 2015 le imprese con dipendenti che operano in Italia prevedono di attivare 910.300 contratti di lavoro, il 15% in più rispetto a quanto previsto nel 2014. A fronte di queste "entrate", le stesse imprese prevedono quasi 971.000 "uscite" (per dimissioni, pensionamenti o contratti in scadenza di cui non è previsto il rinnovo), vale a dire il 4% in più rispetto al 2014. Nonostante sia previsto un aumento delle entrate più sostenuto rispetto a quello delle uscite, il "saldo" occupazionale atteso resta ancora negativo e di poco superiore a -60.000 unità, mostrando comunque un deciso miglioramento rispetto alle -144.000 del 2014.

Anche in provincia di Brescia la variazione occupazionale prevista per l’anno in corso è di segno negativo, pari a -20 unità (contro -3.580 lo scorso anno). Questa riduzione occupazionale è dovuta ai contratti di lavoro dipendente (sia "stabili" che a termine), il cui saldo negativo dovrebbe attestarsi a -1.910 unità; viceversa i contratti atipici attivati dovrebbero, nell’insieme, superare quelli in scadenza (+ 1.890 unità il saldo previsto). A livello settoriale, la perdita di "posti di lavoro" attesa in provincia si concentra nell’industria (-50 unità), mentre nei servizi è previsto un saldo positivo (+30 unità). Il trend negativo dell’industria è dovuto prevalentemente alle costruzioni; tra i servizi è prevista in aumento l’occupazione nel commercio e nei servizi sanitari e di assistenza sociale, mentre restano negativi i servizi operativi.

Il saldo occupazionale negativo previsto in provincia di Brescia (-20 unità) è il risultato della differenza tra 20.190 "entrate" e 20.210 "uscite" di lavoratori dalle imprese. I flussi in entrata saranno costituiti da 5.960 assunzioni "stabili" (a tempo indeterminato o con contratto di apprendistato), 8.680 assunzioni a termine (a tempo determinato o altre modalità a termine, quali i contratti a chiamata) e 5.550 contratti atipici (contratti di somministrazione, collaborazioni a progetto – tipologia non più prevista dalla nuova normativa e quindi destinata a estinguersi – e altri contratti di lavoro indipendente). Nell’ultimo anno cresce la quota delle assunzioni stabili (dal 22 al 30%), mentre diminuisce sia la quota delle assunzioni a termine (-5 punti), sia la percentuale dei contratti atipici (dal 29 al 27%).

Le 14.640 assunzioni di lavoratori dipendenti previste quest’anno dalle imprese della provincia di Brescia mostrano un incremento (+12%) sia rispetto alle 13.020 unità del 2014, anno in cui hanno toccato il valore più basso in assoluto, sia rispetto alle 13.540 del 2013. Tra il 2014 e il 2015 l’area bresciana presenta una crescita inferiore sia rispetto alla media nazionale (+18%), sia rispetto ma inferiore rispetto alla Lombardia, dove il numero di assunzioni è in aumento del 29%.

Negli anni scorsi, i bassi livelli della domanda di lavoro e gli alti livelli dell’offerta hanno portato, in molte province e nella media del Paese, ad una rilevante riduzione delle difficoltà segnalate dalle imprese nel trovare le figure che intendono assumere. Con la ripresa della domanda, si registra ora un leggero aumento delle difficoltà a livello nazionale (dal 10 all’11%). In provincia di Brescia, queste problematiche interesseranno nel 2015 il 10% delle assunzioni previste (praticamente come nella media nazionale), mentre nel 2014 tale quota non superava il 9%.

Nel 2015, in provincia di Brescia, le assunzioni di figure high skill, cioè dirigenti, specialisti e tecnici, si attesteranno a 2.480 unità, pari al 17% del totale. Le assunzioni medium skills saranno invece 7.090, per una quota del 48%. Le restanti 5.070 assunzioni (low skills) previste riguarderanno figure di livello più basso, con una percentuale del 35%.

Delle 14.640 assunzioni programmate nel 2015 in provincia di Brescia, 1.600 circa saranno rivolte a laureati, 6.170 a diplomati della scuola secondaria superiore, 2.910 a persone in possesso della qualifica professionale e 3.960 riguarderanno figure alle quali non verrà richiesta una formazione scolastica specifica.

Dopo il rilevante calo registrato tra il 2012 e il 2013, presumibilmente correlato alla difficile situazione economica, la propensione delle imprese a svolgere attività di formazione (nell’anno precedente a quello di rilevazione) mediante corsi specifici per il personale dipendente si è assestata su livelli prossimi o più elevati di quelli del 2013. Nel 2014, infatti, il 27% delle imprese della provincia di Brescia aveva attivato corsi di formazione, una percentuale superiore a quella dell’anno precedente. Aumenta anche il numero di dipendenti che hanno partecipato a corsi, che nella provincia sono stati, nel 2014, il 30% del totale.

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1 COMMENT

  1. ma come ? non avevano detto che c’era la ripresina e nuovi occupati grazie al job act? strano mi sembrava di aver capito cosi’ e magari si sbagliano questi statistici che si ostinano a vedere negativo !

  2. ma davvero quello che dice pittibimbo non è esattamente la realtà????? o mamma mia…. E pensare che ci credevo a renzino…. (sia bossi che matteo renzi..). Non resta che mago Otelma, su di lui ci si può contare

  3. qui non so quale sia la fonte ma se si guarda il sito dell’ISTAT non sembrano dati farlocchi , ghe mia da sta alegher fes !!!!

  4. A sentire Renzi che gongola per l’aumento dei posti “a tempo indeterminato” vien voglia di menare le mani. Se poi “la notizia” arriva da una nota stampa dell’Inps, allora vien voglia di scatenare una bella rissa. Conviene ricordare infatti che il presidente dell’Inps è quel Tito Boeri messo lì da Renzi grazie alle “proposte” elaborate proprio da Boeri per distruggere il sistema pensionistico per come lo conosciamo. Uno porge all’altro l’assist per giustificare l’orrore che entrambi hanno in mente da anni, e l’un l’altro si fanno i complimenti per l’ottimo lavoro svolto. Al confronto, Berlusconi e Dell’Utri erano due campioni di imparzialità… Vediamo prima i dati dell’Inps, resi noti stamattina. Nei primi sei mesi del 2015, i nuovi contratti a tempo indeterminato sono cresciuti del 36% (+252.177), quelli a tempo determinato sono rimasti stabili e quelli di apprendistato si sono ridotti (-11.500). Le trasformazioni di vecchi contratti precari in contratti a tempo indeterminato sono aumentate del 30,6%. I numeri vanno spiegati, altrimenti non significano niente. Per Renzi e la sua banda questo significa che “siamo sulla strada giusta”, che il Jobs Act funziona, ecc. Bastano due calcoli e mezzo ragionamento per smentirlo. 1) E’ forse aumentata l’occupazione? Niente affatto, come spiega spesso l’Istat: «a oggi gli effetti del Jobs Act sembrano esserci soprattutto sulle stabilizzazioni dei contratti precari». Traduzione semplice: molti contratti a tempo determinato sono stati trasformati in “indeterminati”. Una buona cosa, potremmo ammettere, se ci fosse ancora l’art. 18, se esistessero ancora tutele serie contro i licenziamenti senza giusta causa, ovvero decisi dalle aziende per togliersi dai piedi lavoratori non sufficientemente obbedienti. Se uno è licenziabile in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo viene meno anche ogni differenza tra un contratto precario e uno “a tempo indeterminato”. Di fatto. 2) Perché le imprese trasformano i posti precari in posti (per niente) stabili? Per un motivo semplice: per tre anni non pagano più i contributi previdenziali (all’Inps) per i “nuovi assunti” a tempo indeterminato. Un risparmio medio di 8.000 euro a persona, per tre anni, concesso anche se la persona non cambia. Ovvero: hai un lavoratore con contratto a termine? Aspetti che arrivi a scadenza, oppure lo licenzi subito, e poi lo riassumi con la nuova formula. Smetti immediatamente di versare i contributi all’Inps e tra tre anni, secondo tutte le interpretazioni legali correnti, potrai ripetere il giochetto con lo stesso lavoratore. 3) Chi paga i contributi previdenziali all’Inps? La fiscalità generale dello Stato. Quindi si peggiorano i conti pubblici (e infatti per prorogare questa norma anche al 2016 si prevede che servano 2 miliardi) e anche quelli dell’Inps, perché i “nuovi assunti” prendono sempre anche un salario più basso, quindi con livelli contributivi minori. In altri termini, ci rimettiamo tutti noi contribuenti (quel buco viene coperto con altre tasse, o tagli di spesa, che significano meno servizi o più cari) e tutti questi “nuovi assunti”, che si vedono confezionare una carriera contributiva più povera e quindi, se ancora ci saranno,al momento in cui diventeranno vecchi, anche pensioni più “magre”. Chi ci guadagna? Solo le imprese.
    Se trovate un renziano che gioisce in pubblico citando questi dati “miracolosi”… procedete come meglio credete.

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