MOSTRAMI UNA MOSTRA/21. Al MuSa “Il Museo della Follia”: i matti sono fuori!

Il Museo della Follia al MuSa di Salò è frutto del direttore Giordano Bruno Guerri e del curatore Vittori Sgarbi

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Il Museo della Follia al MuSa di Salò, diretto da Giordano Bruno Guerri. La mostra è curata da Vittorio Sgarbi. Foto di Enrica Recalcati - www.bsnews.it
Il Museo della Follia al MuSa di Salò, diretto da Giordano Bruno Guerri. La mostra è curata da Vittorio Sgarbi. Foto di Enrica Recalcati - www.bsnews.it

di Enrica Recalcati –  “Entrate, ma non cercate un percorso. L’unica via è lo smarrimento”, cito la frase di Vittorio Sgarbi il curatore, sta scritta in atrio e sortisce in me un desiderio folle di vederla questa mostra, ed entro per raccontarvi una vecchia storia amara come il fiele, dolce come una carezza.

La voce di Alda Merini recitante i suoi versi, la luce assente, presente, opaca, calda o soffusa.  L’esposizione: da “Goya a Bacon” allestimento itinerante di dipinti, disegni, sculture, oggetti e documenti.

Un’immersione nella follia come malattia, come talento artistico poco conosciuto, come sofferenza mai capita, come ingiustizia sociale, come pretesto per ingiustizie sociali, come libertà impropriamente negata a nome di una ragione ingiustamente dichiarata. In base a cosa? A chi? Per quale motivo, se diverso o non uniforme ai canoni sociali il folle viene recluso?

L’impossibile diventa possibile, per merito di Franco Basaglia, lo psichiatra veneziano fondatore della concezione moderna della salute mentale.  Riformatore della disciplina psichiatrica in Italia, direttore, dopo una breve e deludente carriera universitaria, degli ospedali di Gorizia e Trieste, padre indiscusso di un cambiamento importante in ambito di ricovero psichiatrico, iniziato nel 1962 e terminato nel 1980 con l’approvazione in Parlamento della Legge 180.

Rubrica Mostrami una mostra, a cura di Enrica Recalcati. Il meglio sulle esposizioni di Brescia e provincia.
Rubrica Mostrami una mostra, a cura di Enrica Recalcati. Il meglio sulle esposizioni di Brescia e provincia.

Elimina l’elettroshock e ogni altra violenza, vengono aperti i cancelli dei reparti e viene ribadito e insegnato agli operatori che i pazienti devono essere trattati come uomini e come tali accuditi. Fa entrare l’arte in ospedale, istituisce laboratori di pittura e teatro.  Costituisce una cooperativa di lavoro e incomincia a capire che il manicomio va chiuso e al suo posto va costruita una rete di servizi esterni, per provvedere all’assistenza in modo più umano.  Comprende che non è l’emarginazione che aiuta la cura, ma l’integrazione e il lavoro. Muore a Venezia nel 1980, a soli 56 anni, ironia della sorte, per un tumore al cervello, ma lascia un’eredità inaudita di sapere ed esperienza fruibile attraverso i suoi libri e il suo lavoro, unica nel suo genere.

La prima sala mi appare, nel nero più nero di pareti e moquette, un tuffo nel turbamento dell’anima e mi sento presa e partecipe di quell’angoscia, pronta alla ricerca, capace, grazie a questo invito molesto, a capire la scintilla che accende il momento creativo, in queste persone così alte quanto sofferenti. Capolavori di Piccio, Silvestro Lega, Michele Cammarano, Antonio Mancini, Vincenzo Gemito, Pietro Ghizzardi, Telmaco Signorini, Adolfo Wildt, Fausto Pirandello, Antonio Ligabue, Francesco Goya, Franz Von Stuck, Francis Bacon, Jean Michel Basquiat. Un percorso di 200 opere articolato in diverse sezioni, fra le quali quella de “I pazzi politici” dedicata alla relazione tra manicomi e politica nel periodo fascista, quando per neutralizzare un avversario si ricorreva al manicomio. Qui in bella mostra un quadro a dir poco inquietante: un olio inedito di Adolf Hitler, prestato da un collezionista berlinese.  Un anteprima mondiale di una tela che descrive una scena scarna, scura, un incubo di porte aperte una sull’altra, per finire in fondo con una porta chiusa, nera e bigia. Lo specchio di una mente disturbata dal delirio di onnipotenza che sappiamo, tristemente, dove lo abbia portato. Sarebbe stato meglio uno sfogo nell’arte, anche mediocre, come dimostra questa opera, piuttosto di quello che è stato.

Urla silenti, il dolore muto della follia, un racconto emotivo, fatto di poesia tramite “L’intonapensieri”, nove installazioni interattive di Antonio Ligabue, Franco Basaglia, Alda Merini, Friedrich Nietzsche, Pino Roveredo, e ancora una lettera trovata nel manicomio di Palermo e mai arrivata a destinazione: «Cicì, aspetto che mi vieni a prendere…ma quando arrivi?»

Il Museo della Follia al MuSa di Salò è frutto del direttore Giordano Bruno Guerri e del curatore Vittori Sgarbi, insieme a Cesare Inzerillo, Sara Pallavicini, Giovanni Lettini e Stefano Morelli. Aperto fino al 19 novembre 2017, da martedì a domenica dalle 10 alle 19, nei mesi estivi fino alle 20; biglietti: intero 14 euro, ridotto 11.

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