di Sandro Belli* – I musei di vecchia conformazione non si usano più. I musei chiusi in antiche mura, con esposizioni ingessate di cose d’altri tempi, sono noiosi e inespressivi.
Basta catacombe! Servono Musei nuovi, vivaci, innovativi, interattivi, ma sopratutto musei “fuori le mura”, liberi, distribuiti in aree strategiche delle città, come ha saputo fare Massimo Minini con le opere di Palladino. Una forma di questo tipo, con sapienzialità urbanistica, viene descritta da Luciano Lussignoli sul Corriere Brescia, a proposito del progetto del Comparto Milano: un museo diffuso di archeologia industriale, all’aperto, che – dando spazi e scenografia – completa il futuro palazzo del Musil in fase di realizzazione. Un percorso dove verranno esposti giganteschi torni e vecchie grandi presse, con scritte e riferimenti al lavoro che in questa area si svolgeva, con quella vecchia maestria, quella fatica ed esperienza che non possono essere dimenticate. Lussignoli descrive, per bocca del giornalista, da bravo urbanista uno scenario convincente e fors’anche ripetibile in diversi ambiti.
Ricordo quando, parlando con lui di questa area di Brescia sud-ovest, non certo da esperto urbanista, ma da semplice osservatore della città, io gli suggerivo alcuni interventi fra i quali il nome da dare alle strade e alle traverse: Via della Rinascita industriale, Via Del Mercato nuovo, Via Innovazione e Ricerca ecc.
Oggi, dopo aver letto l’articolo del giornale, vorrei aggiungere: non è solo il lavoro manuale e meccanico che va ricordato, ma anche lo spirito imprenditoriale, le innovazioni di alcuni pionieri, la rivoluzione di progettisti e designer, tutto ciò che ha fatto vivere e prosperare la nostra città nel suo glorioso trascorso industriale. Mi pare indiscutibile che il lavoro nasca prima dalla grinta e dall’inventiva dei creatori di impresa, aiutato dal tessuto frizzante del territorio urbano circostante, e poi da macchine e da altro; una celebrazione del lavoro cittadino e della sua imprenditoriale creatività che deve coinvolgere l’intero quartiere, confermando ancora una volta che ad ogni area della città va data una identità forte, rivolta al passato e aperta al futuro, che anche dalla toponomastica può essere aiutata.
Cito un solo esempio di come un nome, di strade o di piazze possa essere significante: se denominassimo piazza Vittoria con un nome più coinvolgente come ‘Piazza del Novecento’, dando un senso alla storia nel rispetto della sua reale e complessa evoluzione, forse si otterrebbe da parte della cittadinanza una larga condivisione. Il passato non è trascorso inutilmente, possiede una sua dignità in ogni campo ed ha lasciato tracce e segni incancellabili.
Musei del l’antico e del futuro a porte aperte, nel senso che le opere sono libere di uscire dalla porta del museo e si spargono nell’area circostante, nelle stazioni del metro, nella vita dell’urbe. Terribile pensare che nei depositi o nei sotterranei pubblici vi siano capolavori che solo i topi o i vermi possano vedere. Libertà e socialità dell’arte…!!
Ma il museo diffuso chi lo paga? Una promozione diffusa ha grandi costi e forse le risorse andrebbero concentrate sul sociale oggi!!!
Ugualmente a quanto avviene in tutte le città del mondo
L’idea è interessante, mi pare quello che Del Bono sta già provando a fare…