Le Bollicine di Franciacorta non Docg | BARBERA E CHAMPAGNE/3

Per i curiosi che come me amano sperimentare cose nuove, e magari poco standardizzate al gusto classicista, che si fidano dei loro sensi e degustano quello che hanno nel bicchiere, senza farsi condizionare dal nome sull’etichetta e dalla fascetta sul collo della bottiglia, ecco un paio di (buone) segnalazioni

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I vini, foto Stefano Bergomi
I vini, foto Stefano Bergomi
Stefano Bergomi
Stefano Bergomi

di Stefano Bergomi * ([email protected]) – Molte sono le voci che acclamano al disciplinare di Franciacorta come al più rigido del mondo.

Tra queste, non manca il vanto dello stesso Consorzio di Tutela, che spesso ricorda come i parametri previsti per le “pregiate” bollicine franciacortine siano il punto di riferimento per il mercato globale del metodo classico. Prendendo spunto dal lessico del trading di investimenti finanziari si potrebbe parlare di “benchmark di mercato”.

Ma è così significativa una classifica in funzione del solo grado di bassa resa per ettaro o di allungamento dei tempi di permanenza sui lieviti delle bottiglie?

L’esperienza mi insegna che è il terroir a dare l’indelebile imprimatur a ciò che verrà imbottigliato. Così come è la mano del vigneron a condizionare lo stile espressivo, rendendo il prodotto unico e distinguibile.

Vero è che assoggettare la produzione alle prescrizioni di un disciplinare che mira all’eccellenza del prodotto finale costituisce di per sé una garanzia a tutela del consumatore, con l’obiettivo di conservarne la fiducia per acquisti futuri.

Ma è un peccato mortale effettuare l’associazione logica di considerare di minore qualità un prodotto solo perché non soggiace a tali prescrizioni o perché non ne ha conseguito formale certificazione.

Per i curiosi che come me amano sperimentare cose nuove, e magari poco standardizzate al gusto classicista, che si fidano dei loro sensi e degustano quello che hanno nel bicchiere, senza farsi condizionare dal nome sull’etichetta e dalla fascetta sul collo della bottiglia, ecco un paio di (buone) segnalazioni.

CASA CATERINA – il fascino della piena libertà di sperimentazione

Tra le colline di Monticelli Brusati i fratelli Aurelio e Emilio Del Bono portano avanti la loro personalissima interpretazione di “fare vino”. Da tempo la conduzione agronomica è biodinamica, mentre le fermentazioni sono spontanee con lieviti indigeni. Il vero marchio di fabbrica è l’inconfondibile percezione di importante struttura e evidenti sentori di ossidazione.

Famosi per le bollicine, alcune delle quali sono entrate nelle carte dei vini dei ristoranti di noti chef televisivi, la produzione abbraccia anche vini fermi, sperimentali fin dalla scelta del vitigno (Gewurtztraminer, Invernenga – antico vitigno bresciano in fase di rilancio da parte di alcuni produttori-, Pinot Grigio, ma anche di importazione francese come Viogner e Marsanne).

Migliori assaggi personali

– Le Vieux de la Maison Brut 2002

14 anni sui lieviti, sboccatura 2016,  73% Pinot Grigio e 27% Pinot Bianco. Naso intensissimo con richiami di frutta e pasticceria , ma con evidenti note  di “sottospirito”. In bocca denota straordinaria freschezza, con piacevole finale lungo.

– Antique Brut

Presentato in anteprima lo scorso 3-4 Febbraio a Vino Indipendente, manifestazione dei vini naturali che si tiene annualmente a Calvisano.

100% Pinot Meunier, con miscellanea di 4 annate comprese tra il 2000 e il 2007. Primo assaggio spiazzante, da “fuori categoria” perché non associabile a nulla di già bevuto in precedenza. Una volta prese le misure si evidenzia una importante nota minerale, che sovrasta intese sensazioni di caramello e frutta secca. Come tutta l’intera produzione di Casa Caterina, sorprende per acidità, soprattutto se raffrontata al lunghissimo periodo di affinamento con permanenza sui lieviti. Intensità e persistenza gustativa a completamento.

DIVELLA GUSSAGO – talento e tenacia giovanile

Per Alessandra Divella il sogno imprenditoriale di fare vino “in proprio” è iniziato da pochissimo, ma ha già portato considerevoli frutti visti i lusinghieri apprezzamenti raccolti sulla stampa specializzata di settore. Due ettari ai piedi della Stella di Gussago, con conduzione a regime biologico. Pressatura con torchio manuale, vinificazioni spontanee in vasche di cemento, e in parte in barrique e tonneau di più passaggi, niente solforosa aggiunta. Tutti i vini sono sempre senza aggiunta di dosaggio.

Miglior Assaggio personale

Ninì Dosaggio Zero Riserva: blend paritetico di chardonnay e pinot nero, 2012, 48 mesi sui lieviti. La lunga evoluzione dona un naso con accenni di frutta matura a polpa gialla nell’ambito di un contesto di sentori di panificazione tradizionali per la zona di produzione. Personalmente mi ha colpito per finezza ed eleganza in bocca, nonostante rimanga rotondo e opulento. Alessandra sembra aver lavorato di cesello soprattutto sul pinot nero, con leggere levigature a donare sfumature di complessità per un vino che sa farsi ricordare.

* sommelier per passione


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