Un bonus bebè per tutti

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Cari lettori o internauti, visto che il primo appello è caduto nel vuoto vi annuncio che ogni venerdì tenterò di commentare una notizia, suggerire un tema di discussione o pubblicare in prima persona una news. L’auspicio è  che tale appuntamento riesca a  coinvolgere tutti i lettori, parecchi a giudicare dai dati del provider, ma ancora timidimiditi da una partecipazione attiva per la realizzazione del nostro quotidiano online.

Lo spunto di oggi sorge, quasi spontaneo, dalla lettera che il vescovo di Brescia, monsignor Luciano Monari, ha pubblicato sulla "Voce del Popolo", in uscita domani. Il Consiglio Comunale sta iniziando a discutere della delibera che vorrebbe concedere un bonus ai figli dei cittadini bresciani, esclusi, quindi, i figli degli immigrati. Un provvedimento che ha scaldato anche la campagna elettorale e sul quale la Chiesa bresciana ha sempre matenuto riserbo con la prudenza che contraddistingue un’Istituzione che, quando entra in gioco il "bene comune" intende rappresentare tutti, immigrati e laici compresi.

In questa delicata questione si prospetta, però, soprattutto la categoria dell’uguaglianza, principio sancito dalla Costituzione che, per quanto mi riguarda, rappresenta uno dei "principi non negoziabili". E’ quindi alla luce di tale considerazione che non comprendo la strategia adottata dal Pd bresciano. Indire un referendum sul tema significa chiedere ai cittadini bresciani un voto su un principio che dovrebbe comporre qualla carta dei valori sulla quale costruire l’identità del nuovo partito. Mentrae la Chiesa difende i più deboli per vocazione pastorale, e qualche volta forse lo dovrebbe fare con la voce più alta, un partito  assume dei valori cardine sui quali aggregare l’elettorato. Allora cosa significa chiedere il parere dei cittadini, che peraltro con molta probalità sono d’accordo con l’orientamento della Giunta visto che l’hanno votata anche per questo punto del programma ?

L’uguaglianza, formale e sostanziale, ossia fornire le concrete opportunità a tutti per una loro promozione socio-culturale, non rientra tra i temi etici, ma coinvolge l’insieme di principi che formano il collante di una comunità solidale, aperta e attenta al bene comune. A mio parere, quindi, misurare i provvedimenti politici in base a tale criterio significa anche misurare lo stato di salute della democrazia di una città, di un Paese o di una comunità orgogliosa di crescere insieme.

A questo punto  mi piacerebbe conoscere anche il vostro parere.  

Federica Papetti  

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1 COMMENT

  1. Il referendum è una scelta alla quale si ricorre per contrastare un’ atto legislativo che non si ha la forza di respingere nella sede propria istituzionale ,in questo caso una delibera ( se ci sarà e se sarà in questi termini ) della maggioranza del consiglio comunale. Non si richiede quindi alla cittadinanza di esprimersi su un principio, ma proprio perchè si condivide tale principio si chiede di respingere un atto che del principio medesimo si considera lesivo. Ed se il PD deciderà in tal senso, non mancherà certo di chiedere ai cittadini un esplicito pronunciamento contrario e non solamente un parere. Del resto quando ci si schiera a difesa di un principio " non negoziabile " come Lei giustamente lo definisce, il fatto che la maggioranza dei cittadini possa non accogliere le tue tesi diventa una subordinata: importante ma comunque subordinata. Non credo poi che il fatto di vincere le elezioni sia di per sè sufficiente per considerare già certificata l’opinione della maggioranza dei cittadini, men che meno sulle questioni di principio e meno ancora su quelle " non negoziabili " Se così fosse allora nessun referendum avrebbe senso : nemmeno quelli sul divorzio o sull’aborto, visto che le allora maggioranze di governo erano contrarie ma poi furono battute.

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