Monari scrive ai fornai: “Io sto con voi, è giusto che la domenica possiate fare festa con gli altri”

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I panificatori chiedono di poter riposare almeno la domenica (leggi qui la notizia) e il vescovo di Brescia Luciano Monari raccoglie il loro appello. “È proprio così importante avere sempre il pane appena cotto? Non si può, per un giorno, accettare di mangiare il pane del giorno prima per lasciare lo spazio di riposo a una famiglia?” scrive il vescovo in una lettera rivolta ai panificatori. 

ECCO IL TESTO DELLA LETTERA PUBBLICATA SU “LA VOCE DEL POPOLO”

È proprio così importante avere sempre il pane appena cotto? Non si può, per un giorno, accettare di mangiare il pane del giorno prima per lasciare lo spazio di riposo a una famiglia? Quando il Signore donava a Israele la manna nel deserto, ne dava la quantità precisa sufficiente per un giorno; ma il venerdì la razione era doppia perché la gente non dovesse uscire a raccogliere la manna anche il sabato. Era un gesto di delicatezza di Dio che conosce la debolezza dell’uomo e il bisogno di tempi nei quali le forze si rigenerano e la vita viene vissuta in libertà, senza pressioni esterne.
La società moderna ha un modo di ragionare diverso. Abbiamo inventato l’orologio e l’orologio ha standardizzato il tempo. Siamo costretti a notare ancora la differenza tra estate e inverno, tra giorno e notte; ma abbiamo fatto passi da gigante per cancellare le differenze. Già la notte è chiara come il giorno e ci sembra una bella vittoria quando riusciamo a creare notti bianche alle nostre latitudini. E il processo è più facile per i giorni della settimana; in fondo, tra la domenica e il giovedì, tra il sabato e il lunedì non ci sono differenze: sono sempre ventiquattro ore, con la stessa quantità di luce e di buio. E siccome la produzione continuata è un vantaggio economico, ci sembra moderno assumerla come una scelta utile alla società e ai cittadini. 
Ma è davvero una scelta utile? Dal punto di vista della produzione-consumo suppongo di sì: le macchine non hanno bisogno di riposo; spegnerle per poi rimetterle in attività comporta necessariamente una spesa in più. Meglio, dunque – si dice – adattare l’uomo al ritmo della macchina inventando i turni; un’integrazione di stipendio a chi capita a lavorare di notte o di domenica e il problema è risolto: la produzione fiorisce e il guadagno anche; l’operaio è contento perché guadagna qualcosa in più, l’azienda prospera e gli azionisti anche. 
Eppure ho l’impressione che questo ragionamento trascuri qualcosa. Con la produzione continuata si guadagna qualcosa, ma si perde qualcos’altro. Si perde il senso della festa. Non è la stessa cosa un giorno di riposo e un giorno di festa. Ci si riposa quando si è stanchi e il riposo serve per riacquistare le forze: ottimo. Ma si fa festa quando c’è qualcosa di bello da festeggiare: un compleanno, un anniversario, un incontro gradito. E si fa festa insieme quando si ha qualcosa da festeggiare insieme. È già bello che io, con la mia famiglia, faccia festa in un giorno particolare; ma è ancora più bello che io faccia festa nello stesso giorno dei miei vicini di casa, dei miei concittadini, della mia nazione intera. Vuol dire che abbiamo qualcosa in comune da festeggiare.
Se io mi riposo il lunedì, tu il martedì, lui il mercoledì – alla fine tutti ci siamo ristorati e abbiamo ricuperato le forze. Se io faccio festa il giovedì, tu il venerdì e lui il sabato – alla fine ciascuno di noi ha scoperto di avere motivi per ringraziare la vita. Ma se facciamo festa insieme, lo stesso giorno, scopriamo di avere motivi comuni per ringraziare la vita; la festa ci unisce e ci fa sentire solidali gli uni con gli altri – prima ancora di confrontare le nostre idee o i nostri interessi. Se non abbiamo nulla da festeggiare insieme, vuol dire che le nostre esistenze sono solo casualmente vicine; ci rispetteremo secondo le leggi, ma non ci sentiremo compartecipi di un medesimo cammino, protagonisti del medesimo dramma umano. 
Ci lamentiamo perché il senso della comunità si è affievolito e questo ci lascia meno sicuri, più soli, meno motivati, più tristi. Ma sembra che facciamo apposta a fare tutte le scelte secondo una logica individualista: lasciare più libertà al singolo sembra il massimo obiettivo che la democrazia possa proporsi. Il problema è che non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca: non si può volere la libertà che viene dal non avere legami e la sicurezza che nasce dall’amicizia e dalla solidarietà. Rischiamo di diventare una società sempre più liquida, senza legami stabili: saremo più felici? Ne dubito. Per questo mi sento dalla parte dei fornai: possano anch’essi avere un giorno libero; e non solo per riposare, ma per fare festa con gli altri.

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