A spasso nel tempo (Via Musei,Via Cattaneo, Via Trieste) – Quel mondo piccolo chiamato “Villaggio” (Villaggio Sereno)

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A spasso nel tempo – Via Musei, Via Cattaneo, Via Trieste

di Esterno Bennati – Il cuore di Brescia batte in questo tridente di vie che sembra squarciare la linea del tempo. L’orologio della storia avanza inarrestabile, ma il suo ticchettio qui si fa più incerto, frenato dalla potenza delle pietre e dalla magia del passato. La regina della zona è Via Musei, costeldi lata di gemme storiche, prima fra tutte il tempio capitolino: una porta spazio temporale che conduce cittadini e turisti nell’antica Brixia romana. Fu dietro alla muraglia del tempio che, nel 1826, venne alla luce una statua alta due metri con la coscia sinistra rialzata ed il capo lievemente chinato e pensoso: era la Vittoria alata, attuale simbolo della città. Via Musei, tuttavia, non è solamente uno scrigno della “romanità” di Brescia, ma rappresenta la culla dell’età longobarda, con le chiese di S. Salvatore, S. Maria in Solario e S. Giulia. Camminare sul porfido di questa via significa essere investiti dai fotogrammi di un passato ricco e affascinante. Basta leggere la dedica a Giuseppe Zanardelli per rivederlo camminare a passo spedito con una valigetta carica di documenti, o focalizzarsi sul portone di palazzo Martinengo per scorgere un trafelato Ugo Foscolo, ansioso di raggiungere la sua amante Marzia Martinengo. Il sacro si unisce al profano nella zona di Porta Bruciata, dove convergevano commercianti e pastori per fare abbeverare le bestie. Leggenda narra che qui, durante la traslazione delle reliquie dei santi patroni nell’807, stillò del sangue dai corpi di San Faustino e Giovita che fece gridare al miracolo. In quel punto sorse l’attuale chiesa di S. Faustino in riposo. Un altro salto nel tempo conduce in Via Cattaneo, di fronte alla Torre d’Ercole, simbolo per eccellenza di un’antica connessione cultuale tra Brescia e la figura dell’eroe. Più a sud, Via Trieste collega ciò che la storia divise: i due polmoni cattolici della città – le piazze Duomo e Vescovado – all’imponente figura di Arnaldo da Brescia. Terminato il viaggio nel tempo, tuttavia, si scopre una Brescia assopita. In Via Musei gli unici segnali di vita sbocciano dai tacchi di donne eleganti e dalle bocche degli scolari in gita che fanno da piacevole sottofondo alle letture di chi ama sfogliare libri sulle panchine di piazza del Foro. Via Cattaneo e via Trieste, invece, sono animate dall’andirivieni degli studenti universitari e di signore a caccia di acquisti. Qualche commerciante si lamenta e punta il dito contro le amministrazioni che si sono succedute nel tempo, accusandole di aver trasformato la zona in un centro di serie B, vittima dell’egemonia di corso Zanardelli e corso Palestro, ma anche delle famigerate “Ztl”, della mancanza di parcheggi e di un’inadeguata programmazione degli itinerari turistici. Ciò che è certo è che quando l’ultimo raggio di sole attraversa il colonnato del tempio capitolino, la zona chiude i battenti e le pietre, che durante il giorno raccontano l’anima della città, si assopiscono nel silenzio perdendo il loro potere. Un vero peccato. La candidatura di Brescia longobarda nella lista delle meraviglie riconosciute dall’Unesco può essere il passo decisivo per una rinascita profonda, perché la nostra bella addormentata all’ombra del Cidneo possa risvegliarsi, sotto il sole così come sotto le stelle, partendo proprio dal suo ombelico: scrigno di tesori, magia e brescianità.

Quel mondo piccolo chiamato "Villaggio" – Villaggio Sereno 

 di Esterino Bennati – Se il Villaggio Sereno fosse un libro apparterrebbe certamente a un genere letterario a sé stante, un’opera nata da influenze multiformi, di forte matrice popolare e scritta a più mani. Il prologo porta una firma prestigiosa, quella di padre Ottorino Marcolini, che diede vita al quartiere all’inizio degli anni ’60, sulla scorta delle esperienze vissute nella realizzazione dei villaggi Badia, Violino e Prealpino. Nel 1963 il nucleo originario del villaggio fu ultimato, prendendo il nome dalla cooperativa che ne avviò la costruzione: “La famiglia serena”. Le case furono disposte lungo un reticolo che ancora oggi ha denominazioni basate su numeri ordinali: vie in senso est-ovest e traverse in senso nord-sud. L’operato di padre Marcolini fu l’intelligente risposta ai bisogni delle famiglie del tempo, figlie di un’Italia in pieno boom economico. I primi protagonisti della storia, infatti, furono quei giovani che poterono sposarsi presto, accendere un mutuo irrisorio e stabilirsi nei pressi del posto di lavoro mantenendo vivo il contatto con la natura. Intanto quel piccolo agglomerato si espandeva e sbocciava la prima chiesa, dedicata a S. Giulio Prete, seguita a ruota da quella di San Filippo Neri, fondatore dei Padri della Pace. Così, pagina dopo pagina, una nuova generazione sbocciava, per poi spiccare il volo lasciando il posto ad altri personaggi. Sfogliando le pagine di questa storia ci si imbatte anche in un capitolo triste, quello scritto negli anni bui della droga: giovani vite falciate e da famiglie lacerate dal dolore. La trama, tuttavia, ritrova colore nei racconti della popolazione dedita al volontariato, messo a frutto nelle due parrocchie, nuovamente vicine dopo essere state divise e lontane per anni. Le ultime pagine di questo romanzo, che profumano ancora d’inchiostro, sono annerite dal grigiore dell’inquinamento e rovinate dagli sfregi di una criminalità sempre più diffusa. Sono i capoversi sgrammaticati, non giustificati, tanto nelle pagine simboliche quanto in quelle della vita, del Villaggio Sereno odierno, un libro aperto che lotta perché la sua storia conservi, nelle pagine che verranno, i tratti migliori della sua unicità. Entrarne a far parte, oggi, ha un costo elevato, e per ritrovare il sorriso bonario di padre Marcolini bisogna avventurarsi per vie e traverse, scrutando i volti della gente. Perché in ogni storia ci sono comunque tracce indelebili.

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