Il ristorante e la piaga degli amici inappetenti

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Parliamo di ristoranti. A mio modesto parere, una delle più grandi invenzioni dell’umanità. In effetti, basta guardarmi per capire che apprezzo la buona cucina. In questa bella stagione capita che, approfittando della gita fuori porta di cui abbiamo parlato la settimana scorsa, o anche, anzi soprattutto, di un weekend all’estero, si assaggi qualcosa di nuovo.

Ma non tutti i bresciani reagiscono allo stesso modo alle scoperte gastronomiche.

Una buona parte può essere considerata composta dai buongustai appassionati. Io appartengo orgogliosamente a questa categoria. Siamo quelli che considerano il pasto un momento sacro e piacevole. Andare fuori, a pranzo o a cena, è una festa. Noi studiamo i menu in modo approfondito, cerchiamo di provare sempre qualcosa di nuovo, ovviamente non saltiamo mai una portata, non vogliamo rischiare di perderci nulla, e siamo profondamente affascinati dalla definizione “specialità della casa”. Se andiamo all’estero cerchiamo di assaggiare il maggior numero possibile di specialità locali, niente ristoranti italiani, veri o presunti tali. A costo di dover poi ingurgitare un’intera confezione di digestivo, non avanziamo nulla, si mangia tutto, si finisce tutto.

Esiste però un gruppo capace di mettere in serio imbarazzo i buongustai appassionati. Sono gli inappetenti. Quelli che al massimo ordinano un antipasto, e magari neppure lo finiscono. Una mia compagna di corso dell’università apparteneva a questa categoria: una volta il nostro gruppo ha deciso di andare a provare il sushi. Siamo andate in un ristorante e, non riuscendo esattamente a capire il menu, abbiamo ordinato una sorta di menu degustazione, per assaggiare un po’ di tutto. Arriva lei, l’inappetente, che ha attentamente studiato le immagini riportate sul menu, e ordina 6 maki (sono i rotolini di riso avvolto dalle alghe) ai cetrioli. E basta. «Mi tengo per il dolce» spiega vedendo i nostri sguardi increduli. A conti fatti, il coperto le è costato di più di quello che ha mangiato. Quasi le conveniva stare a casa.

Andare a pranzo con un inappetente per un buongustaio è un dramma. Perché l’inappetente, dopo aver ordinato un’oliva, ha il coraggio di dirti «Ma tu prendi pure tutto quello che vuoi». Ma cosa prendo? Antipasto, primo, secondo, contorno e dolce con di fronte uno che rosicchia una carruba? E nel frattempo cosa fai? Organizzi un torneo di briscola? Leggi la Divina Commedia? Ma dai!

L’ultima categoria è la peggiore. È quella dello “stomachino”. Quello a cui non piace nulla, a cui digerire qualunque cosa costa un’immane fatica. Mangia solo cose cucinate dalla mamma e pretende che in ogni angolo del pianeta si cucini nello stesso modo. Al ristorante scruta il menu con aria schifata, qualsiasi cosa tu proponga risponde «Non mi piace» o «Non lo digerisco». Se va all’estero vuole per forza andare al ristorante italiano, la sola idea del cibo locale gli provoca bruciore di stomaco. Se per pietà verso i suoi accompagnatori accetta di entrare in un pericolosissimo ristorante indigeno, prende al massimo un’insalata mista. Ovviamente, anche quella non è preparata a dovere: la mamma taglia i pomodori più piccoli, le foglie non sono del verde giusto, il pane non è commestibile.

Ma dopo aver tediato i commensali con l’infinita lista di difetti della sua pietanza, cosa fa lo stomachino? Sposta la sua attenzione sui piatti degli altri. E viene assalito da una morbosa curiosità. «Quello cos’è?» chiede. «È buono? Me ne fai assaggiare un pezzettino?»

Superato il rischio di essere preso a martellate dai commensali, lo stomachino può reagire alla degustazione in due modi diversi. Esclamando entusiasta «Ma è buono, la prossima volta lo prendo anch’io», oppure facendo una smorfia «Ma come fai a mangiare questa roba??».

In entrambi i casi, passerà al piatto successivo. Assaggerà tutto. Mangerà più di tutti gli altri. E, incredibile ma vero, digerirà tutto quanto senza problemi.

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