Festa della donna, l’appello di Maria Cipriano (Psi): non chiamatela festa

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Con una lettera aperta la segretaria provinciale del Psi di Brescia, Maria Cipriano, fa una riflessione sulla “festa della donna” e sul significato che questa ha perso negli anni a favore di nuova visione giudicata “vuota e commerciale”. Di seguito il testo integrale della lettera:

Da troppo anni ormai l’8 marzo è stato abbinato a una .”.festa..” Probabili due motivazioni : posizionare in un dimenticatoio la storia ( ultimamente esercizio in voga in Italia ) e trasformare una celebrazione , un ricordo, in una giornata vuota e commerciale .

La giornata internazionale delle donne ha origini lontane e per motivazioni legate a importanti conquiste sociali per le donne , a partire dal suffragio universale e, quindi, per il diritto di voto .

Le radici affondano nella II Internazionale Socialista tenutasi a Stoccarda dal 18 al 24 agosto del 1907 quando donne come Rosa Luxemburg intervennero affinchè tutti i partiti socialisti lottassero appunto sulla “questione femminile” e sulla rivendicazione del voto alle donne.

A New York nel 2010 si tenne il Woman’s Day per manifestare come le rivendicazioni sindacali dovessero essere unite a quelle politiche . In questo contesto le delegate socialiste americane proposero , in occasione dell’VIII Congresso dell’Internazionale donne socialiste svoltosi a Copenaghen nel 2010 di istituire una comune giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne . Le manifestazioni subirono interruzioni in occasione della prima e seconda guerra mondiale ma le donne impegnate nella lotta contro le discriminazioni proseguì in Europa come negli Stati Uniti.

In Italia nel 1944 nacque l’UDI , Unione Donne Italiane per iniziativa di donne appartenenti perlopiù al PCI e al PSI e l’8 marzo del 1945 si celebrò la giornata nelle zone dell’Italia liberata. Nel contempo a Londra si approvava e si inviava all’ONU la “ Carta della donna” con cui si chiedeva la parità di diritti e di lavoro .

Nei primi anni 50 , ministero Scelba ,le donne dell’UDI, in piazza con banchetti , per diffondere il mensile “Noi donne” , furono accusate di “ turbamento dell’ordine pubblico “ e di “occupazione abusiva di suolo pubblico “.

Nel 1959 le senatrici Luisa Balboni , comunista, Giuseppina Palumbo e Giuliana Nenni, socialiste, presentarono una proposta di legge che rendesse la giornata internazionale delle donne una festa nazionale. Ovviamente tale iniziativa non ebbe seguito .

Il clima politico nei confronti delle donne che continuavano a testimoniare la loro volontà di battaglia civile per i loro diritti , migliorò anche in seguito alla nascita del movimento “femminista” degli anni 70.

Mi fermo qui . Sull’argomento moltissimo è stato scritto e non ho la pretesa di descrivere qui in modo esaustivo la storia del movimento delle donne ; si tratta solo di accenni tratti da una scatola di ricordi di appartenenza all’ UDI e al gruppo donne socialiste di Brescia nella speranza di suscitare nelle giovani donne la voglia di scoprire, di conoscere gli avvenimenti che hanno dato inizio e seguito alle rivendicazioni in tema di diritti civili, di parità di trattamento sul lavoro , di pari opportunità . Perché ? Semplicemente perché questa storia non deve interrompersi , perché le conquiste ottenute non vadano perse, perché quelle non ottenute si acquisiscano. Un esempio:

quanto è avvenuto in Parlamento in questi giorni con gli emendamenti sull’alternanza di genere nelle liste è francamente inaccettabile.

In occasione del Congresso del PSE di recente svoltosi a Roma , le “Donne Socialiste Europee “(PES WOMEN) hanno svolto iniziative e workshop dedicati al tema dei diritti delle donne e soprattutto ai problemi che ancora ci sono da affrontare e risolvere in materia di lavoro, parità retributiva, violenza e partecipazione nei processi decisionali a tutti i livelli politici , istituzionali e imprenditoriali. Un manifesto di obiettivi per dare all’Europa un ruolo politico in grado di affrontare le nuove sfide con equità e giustizia, un’Europa del progresso e della responsabilità.

La crisi ha certamente acuito il tema occupazionale e più in generale quello dei rapporti sociali trai generi per questo occorre intervenire dal punto di vista educativo per promuovere il cambiamento di modelli culturali e stereotipi che gli stessi media propongono costantemente. L’Italia ha sempre investito poco sul talento e le competenze delle donne, ad esempio il numero dei Comuni da loro amministrati è circa il 10%, ma si tratta di Comuni medio-piccoli. Con l’aumento della popolazione cala vistosamente anche il numero di donne alla loro guida.

Nonostante siamo nell’epoca della globalizzazione , di diritti e parità tra gli individui, le donne guadagnano in media, a parità di lavoro, il 15% in meno degli uomini, la rappresentanza ai vertici delle imprese, la cosiddetta leadership femminile vale un 4% e ci pone in coda alla classifica europea, anche se le donne ai vertici di circa 2700 imprese generano maggiori ricavi degli uomini.

Nel nostro Paese circa il 13,5% delle donne esce dal mercato del lavoro a causa di discriminazioni subite, sovente al rientro dalla maternità o per impossibilità di conciliare i tempi di vita e lavoro per mancanza di servizi adeguati. Conseguentemente sono costrette a contratti di breve durata e per le più adulte una grande difficoltà al reinserimento occupazionale o l’impossibilità di trasformare il contratto atipico in un impiego stabile.

Nel corso degli anni la scarsa rappresentanza femminile nei Governi, non ha posto solo una questione di democrazia compiuta, ma ha comportato più in generale una sottovalutazione dei bisogni con politiche scarsamente incisive in materia di riforme, welfare , servizi e diritti civili. Basti pensare al dramma crescente del femminicidio che ha visto il nostro Parlamento ratificare solo di recente la Convenzione di Istanbul e l’approvazione di una legge in materia.

La strada è lunga e gli ostacoli sono tanti ma la storia insegna che progetti e obbiettivi comuni possono vedere la luce.

Mi auguro dunque che l’8 marzo recuperi i veri motivi per cui la celebrazione ( e non la “festa”) è nata .

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