Scandali, truffe, arresti e rancori: il triste declino di Brescia dallo sport agli affari (di Ugo Calzoni)

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di Ugo Calzoni – Sul tavolo di Angelo Sticchi Damiani, Presidente dell’Automobile Club d’Italia, è arrivato l’ennesimo dossier relativo al Club bresciano invischiato in storie poco edificanti, continue beghe tra presidenti e soci, cause infinite, bilanci respinti e commissariamenti conseguenti. Al fondo si staglia ancora una volta il business della Mille Miglia, il ruolo rivestito nel mercato antiquario delle auto d’epoca, il segreto mantenuto anche a fronte di sentenze assai chiare sul contratto tra Mille Miglia e la fabbrica di orologi Chopard: contratto che si presume milionario e tutto a favore della casa di Ginevra. I bilanci dell’Automobil Club di Brescia, bocciati nella assemblea di poche settimane fa, preludono al terzo commissariamento, dimostratisi fino ad oggi impotenti a redimere una conflittualità senza precedenti tra illustri industriali, noti avvocati e rentieres di antica data. Così capita che il successo economico del vice presidente di Confindustria Aldo Bonomi venga annacquato dalle violente accuse di un altro grande capitano d’industria, quell’Attilio Camozzi che vuole a tutti i costi “cacciare” dal Club bresciano tutti coloro che dalla metà degli anni ’80 hanno fatto il brutto e il bello sotto l’ombrello dello sport e dei motori.

Nel calcio non è certamente esemplare la fine del Brescia Calcio, così lontana dalla tradizione di efficienza e di sobrietà della più manifatturiera delle province italiane. Il Brescia Calcio, esaurito lo spirito e vuotate le tasche di Gino Corioni, è scivolato nella vecchia serie C, salvato dal disonore del fallimento per l’intervento di Marco Bonometti, Presidente degli industriali bresciani, proprietario della OMR e aspirante alla successione di Giorgio Squinzi. Altri bresciani, rampolli cresciuti nei fatturati familiari, hanno condannato il blasone del Parma ad un destino così basso a cui nemmeno Tanzi e Parmalat erano giunti a tanto. Tommaso Ghirardi ha spremuto come un limone quel “ fiore all’occhiello” con debiti vicini ai trecento milioni di euro, sfilandosi dagli impegni con una “cessione” improvvisa che ha visto alla ribalta un noto personaggio che attraversa da anni,senza una lira, i nostri campionati. Anche ai suoi soci Medeghini (fino al 40 % del capitale) non è andata meglio. In queste ore le manette sono scattate per gli eredi di quello che è stato uno dei grandi imperi caseari della pianura padana, soffocato da quasi 500 milioni di debiti. Nel Darfo Calcio, l’albanese Ghezu Sallaku, salutato nuovo presidente come esempio di uno straniero che si è fatto da sè, poche ore fa è stato arrestato per truffe e false scritture contabili facendo emergere un patrimonio immobiliare tra Milano, Brescia e il lago d’Iseo del tutto invidiabile.

Si direbbe, quasi, che lo sport porti sfortuna.

La Camera di Commercio di Brescia, un tempo potentissima, ricchissima e generosissima, è sotto le cure ed il bisturi di Giuseppe Ambrosi, il re del burro, impegnato a far quadrare i conti dopo la massa debitoria accumulata negli anni di presidenza di Franco Bettoni, con il peso di impegni onerosi e di immobili difficili da collocare o da riconvertire dopo la fine di ogni velleità fieristica della città. Anche l’amata creatura della Brebemi, l’autostrada privata voluta da Bettoni, non riesce a decollare e i mutui difficilmente saranno onorati senza un intervento massiccio di denaro pubblico. L’aeroporto di Montichiari è volato via e i bresciani sono rimasti con tanto di naso di fronte alla concretezza dei veneti da un lato e dei bergamaschi di Orio dall’altro. Ma nessuno è colpevole e nessuno recita il “mea culpa”, nemmeno quel Presidente della Provincia che, mentre Giorgio Fossa (Sea,Sacbo e Montichiari) gli prospettava il piano strategico aeroportuale del Nord, con il 70% dei passeggeri e il 90% delle merci trasportate, rimase zitto ed impassibile, preferendo al progetto il potere di nominare per alcuni anni un paio di amici nel cda dell’asfittico aeroporto della Bassa.

Altre cose segnano i tempi: dal sogno di un Museo del lavoro che da oltre trent’anni tormenta gli eredi morali di Gino Micheletti fino alla Pinacoteca Tosio, chiusa per mancanza di fondi.

La Leonessa è in gabbia! Certamente lo è dal punto di vista degli interessi collettivi. Non bastano i successi di molte aziende e di molti imprenditori: un successo circoscritto all’azienda e alla cronaca dei bilanci annuali. E’ lo spirito di una città vincente che è venuto a mancare; una città cresciuta nella dinamica imprenditoriale di una società aperta come quella del dopoguerra, dove i “bravi col mestiere” hanno potuto emergere dallo storico destino dei ceti popolari, passando dalla fucina fino al grande complesso industriale, dalla provincia ai mercati internazionali. Questo è lo spirito che si è disperso, non certo perché posato sulle ginocchia di Giove, ma perché governato da mani troppo deboli nella sfida competitiva globale. Invidie provinciali, astii a lungo covati,conflittualità e non emulazione hanno contraddistinto gran parte della generazione erede di quella dei padri costruttori.

Un esempio di questi giorni, una storica azienda da vent’anni è governata e guidata con successo da un gruppo familiare, compatto e coeso, che detiene il 75% delle azioni. All’opposizione è rimasto un cugino che da sempre impugna i bilanci e intasa i tribunali, sia che essi chiudano in utile sia che i profitti vengano indirizzati a nuovi investimenti. Senza demordere dalla carta da bollo cosa si è inventato il cugino minoritario? Ha regalato una azione ciascuno a 200 bresciani, vip per eredità, professionisti, amici del golf, parlamentari di destra e di sinistra, gente dai nobili lombi e nuovi imprenditori: una legione senza potere alcuno ma in grado di rendere complicata la gestione burocratica delle Assemblee. Un economista bresciano che a Milano ha seguito tante vicende delle famiglie industriali lombarde, quando gli ho raccontato della storia, mi ha risposto: “Faranno come l’esercito di Franceschiello che davanti al nemico si sentiva ordinare facite ammuina ”.

INTERVENTO TRATTO IN FORMA INTEGRALE DA FIRSTONLINE 

 

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