MOSTRAMI UNA MOSTRA/16. Mo.Ca: tante foto da farti girare la testa

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Immagini d'autore in mostra al Mo.Ca. di Brescia, foto di Enrica Recalcati - www.bsnews.it
Immagini d'autore in mostra al Mo.Ca. di Brescia, foto di Enrica Recalcati - www.bsnews.it

di Enrica Recalcati – «…la città come capitale italiana della fotografia.  È una vera e propria ambizione che va positivamente segnalata per lo sforzo che ha prodotto, l’immagine che ne è seguita, le prospettive in cui si pone. Dopo aver perso tanti treni nella storia del collezionismo e dell’arte del Novecento, Brescia intende essere apripista nei caratteri segnaletici delle nuove frontiere artistiche, dentro le quali si pone, obbligatoriamente la disciplina della fotografia…», cito testuale una frase dall’editoriale scritto da Tino Bino, pubblicato sul dorso Brescia del Corriere della Sera di giovedì 16 marzo 2017.

E ancora: «Questa proposta fa bene alla cultura, crea e rinnova relazioni e punta a diventare riferimento di carattere internazionale» incalza Laura Castelletti, vicesindaco e assessore alla Cultura, che insieme a Luigi Di Corato direttore della Fondazione Brescia Musei, Renato Corsini ideatore di Ma.Cof (Centro della fotografia italiano), Mo.Ca, Accademia Laba e Fondazione Asm, sono promotori del Festival.

La fotografia sta vivendo un meritato grande momento, lo testimoniano le cinque mostre che ho potuto vedere al Mo.Ca, di autori italiani, che dalle piccole alla grandi, dai nomi grandi agli sconosciuti, si dipanano in un labirinto di sguardi e testimonianze davvero unici.

Caio Mario Carruba: I cinesi nel 1959, in anteprima assoluta, uno straordinario primo sguardo sulla Cina di Mao, di cui esistono solo foto di propaganda del regime.

Di Caio Mario Garrubba, Goffredo Parise scrisse che era “il fotografo del comunismo”, e la definizione un po’ lo perseguitò.  “Era il comunismo della speranza”, quello ritratto nelle immagini di Garruba, non quella del comunismo capitalista, ma quello che racconta aspetti e realtà della Cina maoista a dieci anni dalla rivoluzione.

Unico europeo, dopo Henri Cartier Bresson, che ha il visto per fare il reportage; meta ambita per un fotografo occidentale, ma difficile da ottenere.  Non fotografia di regime nelle 90 foto in bianco e nero visibili in mostra, ma “foto sulla Cina che sono la Cina”, una immersione davvero emozionante fra storia e fotogiornalismo d’autore, senza perdere neppure un briciolo di senso estetico, di cura compositiva d’inquadratura. Un autore meno noto al grande pubblico, sia per ritrosia, sia perché politicizzato. Lavorò poco coi rotocalchi, ad eccezione del Mondo di Pannunzio che per primo ne acquistò un portfolio.

Uno che girava il mondo per testimoniare con la Rolleiflex e la Leica.  Fame e fatica nei volti fotografati, ma anche ottimismo e consenso, nella speranza di una vita migliore.  Così vediamo Mao e Krusciov insieme, una donna che balla serena, un bambino che dorme per terra su di una stuoia, un giardino pubblico dove si pratica il tai chi, lunghe code di persone in attesa di imbarcarsi, scene di massa, sfilate di regime.

Lo stile come qualità, cosa che non esiste più in occidente, viene valorizzato come armonia quasi perfetta fra vita sociale e naturale. Testimone di valori Garruba, amico di Renato Corsini, al quale consegnò spontaneamente i negativi e che Mario Dondero volle conoscere a Spoleto, in occasione di un Festival. Al Mo.Ca fino al 4 giugno 2017.

Uliano Lucas: Retrospettiva, 150 immagini in una retrospettiva che narra da più di cinquant’anni la società e le sue contraddizioni. Nasce a Milano nel 1942, realizza per decenni reportage per importanti giornali e riviste italiane, dopo il Sessantotto documenta, con ampi servizi, temi sociali “sulle realtà e le contraddizioni del proprio tempo”, come le proteste di piazza, l’immigrazione, l’industrializzazione e la conseguente devastazione del territorio, alcuni luoghi di detenzione e ospedali psichiatrici.  Reportage su scenari di guerra e sulle lotte per la democrazia e la libertà, dal Portogallo del dittatore António de Oliveira Salazar alle guerre di liberazione in Africa come quella d’Eritrea, della Guinea-Bissau, dell’Angola, alla Giordania ai tempi di Settembre Nero, alle cruente e spietate guerre jugoslave, con reportage sulle martoriate Mostar nel 1992 e Sarajevo nel 1993.

«C’è tutta la mia vita di fotografo: ho tentato di raccontare ciò che accadeva in Italia e nel mondo dagli anni Sessanta ad oggi».  Ha fatto centro, riuscendo a realizzare immagini di forte forza evocativa.  Mi ritrovo nella Milano della mia adolescenza, quella delle barricate, delle occupazioni e del terrorismo.  Mi fa riflettere, anche per motivi personali e ripenso a mio nonno, il tema dell’immigrazione di chi in quegli anni andava al Nord o addirittura in Svizzera per lavoro. Lucas, nelle sue foto ha cercato di restituire la complessità del problema, fuori da ogni retorica. Mi immergo nelle immagini dei manicomi, proprio nel 1978, quando la legge Basaglia li cancellava, onorevolmente senz’altro, ma senza dettare alternative valide per chi, ormai non più autosufficiente, aveva bisogno di cura.

Raccontare una società in profonda trasformazione e il passaggio epocale di cambiamento che l’Italia continuamente vive, non è cosa facile. La mostra è visitabile fino al 7 maggio 2017.

Facile invece, per chi volesse esporre le proprie foto, con Give photografy a chance, la mostra fatta apposta per questo.  Ce ne sono di curiose, davvero, con temi importanti e proposte meritevoli. Come Bacia la differenza di Lorenzo Passini, dove si racconta il tema della differenza e la paura di ciò che appare diverso, annullando ogni possibilità di dialogo: «Quale forma di comunicazione migliore per rappresentare questo dialogo se non il bacio?» ci dice l’autore, invitandoci a una riflessione importante.

Wunderkammer, letterariamente la stanza delle meraviglie, dove la creatività non ha luogo, e giovani artisti si misurano utilizzando tecniche antiche e alternative: collotipia, oleotipia, resinotipia, gomma bicromatata, albumina, sali d’argento, cianotipia, carta salata…

L’invenzione del femminile di Marcella Campagnano che fotografa le donne nel suo salotto, con un pezzo di moquette grigia alla parete, femminista, figlia del suo tempo, che fotografa le donne, in piena libertà interpretativa anche se vestite con costumi d’epoca o completini stile Chanel.  Da vecchia “volpina” solo perché navigavo la mia adolescenza in quel periodo e osservavo, ho notato un particolare che allora era un simbolo, quasi una bandiera dei collettivi femministi: le modelle non portano reggiseno! Ditemi se sbaglio.

Psychedelic Breakst di Camilla Filippi, curiose immagini dove l’attrice si è fotografata davanti ad una tazza di caffè ogni mattina per due anni pubblicando le foto su Instagram: «…La penso come una valvola di sfogo emotiva…Non mi sento di essere un veicolo di messaggi».  A me pare una carrellata di vero egocentrismo!

Ultima, sarebbe la sesta, perché è stata aggiunta in questi giorni, Mudra She Wrote” di Oriella Minutola, scatti che colgono i “mudra”, posture dello yoga.  Un mini viaggio antropologico fra sacro e profano, tradizione e provocazione, spiritualità e vita di strada. Gesti che parlano, che trasmettono messaggi nel bene e nel male. La mostra da vedere fino all’1 aprile.

L’edizione zero del Photo Festival non è ancora terminata, ma Brescia Musei pensa alle successive. «Ci sono già idee» dice Renato Corsini, direttore del Macof, Centro italiano della fotografia.  A lui piacerebbe Charlie Chaplin con il titolo: Collections.  Come dargli torto, davanti ad una sfida così ambita, Brescia sta diventando un punto di riferimento del settore, proprio come la famosa Arles con Rencontres (evento mondiale dal 1969).

Infine non dimenticate il concorso dedicato a Mario Dondero, un premio internazionale riservato ai giovani reporter.  “Dalla Parte dell’uomo”, il titolo, per reportage inediti a tema sociale.  Il regolamento sul sito www.macof.it

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