Film e eventi sportivi, tutti pazzi per lo streaming (se è gratis)

L'utente medio del web ritiene sostanzialmente sia un suo diritto accedere gratuitamente ai contenuti immateriali di maggiore successo

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La rete poggia su alcune colonne portanti. Una di queste è la possibilità di produrre contenuti, diffonderli e fruirne in maniera condivisa, “democratica” e orizzontale, possibilimente gratis. Nonostante alcune grandi aziende stiano da tempo conducendo – in alcuni casi anche con grande profitto – una battaglia per far pagare i contenuti culturali (musica, video, immagini etc), infatti, l’utente medio del web ritiene sostanzialmente sia un suo diritto accedere gratuitamente ai contenuti immateriali di maggiore successo. Una tendenza confermata dai numeri del fenomeno, ma anche da un recente sondaggio.

Secondo i dati diffusi nel 2015 da Lorien Consulting nell’ambito dell’Osservatorio Politico Nazionale sull’atteggiamento degli italiani in materia di rispetto della proprietà intellettuale, infatti, soltanto il 14 per cento degli italiani considera la pirateria informatica un reato da perseguire e per il 60 per cento scaricare illegalmente video e musica dal web è assultamente normale. Per non parlare dei millenials che, secondo altri studi, non hanno la minima consapevolezza del fatto che scaricare gratuitamente una canzone possa essere un reato.

Risposte che non stupiscono, visto che – da tempo –  in rete si è affermato il principio per cui i contenuti devono essere liberi e gratuiti. Basti pensare alle notizie: i quotidiani on line con news gratuite (come BsNews.it) sono sempre più numerosi, mentre quelli a pagamento sono in crisi e i tentativi di abbinare web e pagamento – almeno in Italia – si stanno rivelando poco redditizi (basti pensare al paywall del Corsera).

DALLO SHARING ALLO STREAMING

In principio a dominare era la filosofia del file sharing. A rompere gli schemi fu Napster, programma creato da Shawn Fanning e Sean Parker nel giugno 1999: in pochi mesi milioni di utenti in tutto il mondo lo scaricarono e iniziarono a utilizzarlo, mettendo in condivisione miliardi di file mp3 e avi. In un’epoca in cui le connessioni casalinghe viaggiavano ancora a 28 e 56k e pochi disponevano di una tariffa flat (fra i primi provider a offrirla in Italia fu Libero/Infostrada).

Ma l’avventura non durò molto: nel luglio 2001, infatti, un giudice ordinò la chiusura dei server per violazione del copyright con 36 milioni di dollari da versare nelle casse delle major discografiche. Napster divenne quindi a pagamento e fu poi acquistato dalla Roxio, ma gli utenti continuarono a cercare i file gratuitamente attraverso programmi come Morpheus, Gnutella, Winmix, Kazaa e via dicendo. Oppure attraverso BitTorrent (e derivati), che – pur basandosi sullo stesso principio – utilizzavano metodi di scambio diversi.

IL CLOUD E LO STREAMING

La diffusione delle connessioni e delle tariffe flat (anche sui cellulari), unite al’inversione di rotta di alcuni gestori di importanti servizi internet, ha però provocato un cambiamento significativo del comportamento degli utenti. In contemporanea con la diffusione di smartphone e tablet, infatti, lo spazio di archiviazione si è spostato sempre di più dalle memorie fisiche dei device a quelle virtuali.

Concretamente molti hanno iniziato a archiviare i propri file in cloud invece che sul computer, anche per potervi accedere in remoto. Non solo. Forti del fatto che su YouTube sono stati caricati milioni di video musicali e di film completi, la maggioranza degli utenti della rete ha preso l’abitudine di fruire di questi contenuti senza scaricare i file. Una scelta dettata sia da motivi pratici (la ricerca è molto più veloce e non si occupa spazio di archiviazione sul proprio computer) sia da motivi legali, perché la responsabilità di chi scarica una pellicola (e magari la condivide più o meno consapevolmente a sua volta, come avviene nei circuiti peer to peer) è ben diversa da quella di chi cerca le piattaforme migliori per vedere i film in streaming on line, che oramai si sta abituando a formule in noleggio o in abbonamento (basti pensare al successo di Netflix). Ma lo stesso discorso vale anche con la musica con YouTube e Spotify: servizi che fanno numeri (e fatturati) impressionanti, a cui il vecchio Napster nemmeno si avvicinava.

Insomma: secondo i cittadini del web, oggi, i contenuti (anche quelli coperti da diritto d’autore) devono essere gratuiti, di alta qualità e disponibili immediatamente. E lo streaming è un altro passo in questa direzione.

 

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