La sanità lombarda ai tempi del Coronavirus | di Paolo Pagani

"Non si tratta di tornare ad una totale ricentralizzazione, ma di ricondurre in capo allo stato, non solo i livelli essenziali di assistenza, ma la programmazione e la gestione totale delle emergenze"

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Paolo Pagani, opinionista Bsnews.it
di Paolo Pagani – Sine ira ac studio. Intanto, va apprezzato grandemente che nella legge di stabilità 2020 sia stato incrementato di 2 miliardi il fondo sanitario, siano previsti 2 miliardi di investimenti in edilizia sanitaria e si siano sbloccate le assunzioni. 
Anni e anni di tagli e depauperamento stanno lasciando il segno. Il sistema mostra come la sua universalità sia una garanzia per tutti (fa veramente rabbrividire leggere che negli Usa bisogna pagarsi le cure per il coronavirus), ma anche le tracce di una sofferenza. 
Inoltre, la riforma del titolo V (fatta troppo in fretta dal centrosinistra nel 2001) dimostra tutti i suoi anni. Con il rischio di avere 20 sistemi sanitari, quante sono le regioni. Quando l’ossatura di una nazione unita sono l’istruzione e la sanità. 
Non si tratta di tornare ad una totale ricentralizzazione, ma di ricondurre in capo allo stato, non solo i livelli essenziali di assistenza, ma la programmazione e la gestione totale delle emergenze. 
Ancora. Senza disconoscere i pregi e le eccellenze della sanità lombarda, frutto di una storia di lunga durata, il sistema formigoniano denota tutti i suoi limiti strutturali. 
È chiaro che se il privato è coinvolto marginalmente nell’emergenza non è per responsabilità sue (sono certo che nessun privato si sottrarebbe se avesse strutture, per capirci), ma è la parità di remunerazione da rimettere in discussione, se da essa discende giocoforza che il pubblico deve svolgere tutte le attività e il privato quelle che ritiene di scegliere. 
Il fatto è che se si affida al mercato la programmazione può succedere che in nessuna struttura privata (forse il San Raffaele) risultino reparti di malattie infettive, che le cardiochirurgie siano in un numero spropositato e le rianimazioni siano in numero insufficiente. 
Ex malo bonum, dicevano i latini.
L’auspicio è che a Roma e Milano si faccia largo la saggezza di imparare da questa prova.
A Roma per proseguire con ancora maggior determinazione nel rifinanziamento del fondo sanitario, in un piano straordinario di assunzioni e di valorizzazione del personale sanitario (che non si può che ringraziare di cuore) e in una revisione del rapporto centro-periferia. 
A Milano che, senza farsi fuorviare dall’ideologia della parificazione pubblico-privato, il sistema forgiato da Formigoni venga passato sotto la lente di ingrandimento per coglierne almeno le più marcate insufficienze e contraddizioni. 
* Segretario provinciale di Articolo UNO di Brescia

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