Foto “scandalose”, la polemica assurda su Gian Butturini | di Claudio Bragaglio

Sta scemando la polemica assurda che ha investito Gian Butturini per via del presunto "razzismo" delle sue “scandalose” foto. Per chi ha conosciuto Gian sa perfettamente quale fosse il suo pensiero. Non a caso sono state scritte anche a Brescia parole chiare ed esplicite in sua difesa

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Claudio Bragaglio, opinionista BsNews

di Claudio Bragaglio – Sta scemando la polemica assurda che ha investito Gian Butturini per via del presunto “razzismo” delle sue “scandalose” foto. Per chi ha conosciuto Gian sa perfettamente quale fosse il suo pensiero. Non a caso sono state scritte anche a Brescia parole chiare ed esplicite in sua difesa. E da parte di molti (Corsini Paolo, Corsini Renato, Roberto Bianchi, Massimo Minini, Ken Damy…). Per non dire poi anche di Michele Smargiassi e di Michele Serra su Repubblica.

L’equivoco s’è retto inizialmente sulla confusione di chi non ha saputo distinguere ciò che era invece del tutto evidente ed ovvio, non vedendo nella fotografia “incriminata” l’atto volutamente violento e provocatorio di Gian per una denuncia del razzismo…proprio quello che invece ci lascia indifferenti mentre camminiamo per le strade o ci ritroviamo su un tram incrociando determinate persone. Senza neppure voler vedere la gente che è imprigionata dalla sua miseria, dalle gabbie della discriminazione o dal nostro pregiudizio.

Ci ricordiamo tutti come e da chi è stata definita in modo offensivo l’ex ministra Cécile Kyenge. Ebbene Gian, con molti anni in anticipo, ha messo in fotografia la cattiva coscienza di una parte nella nostra società. Di un razzismo, anche più o meno sotterraneo, rendendo visibile a tutti quanti quello che allora già si vedeva, magari a Londra e non ancora così evidente in Italia.

Gian è stato un uomo, oltre che un artista, un fotoreporter di grande sensibilità ed umanità. Un uomo di sinistra che si è impegnato a Brescia ed in giro per il mondo per il riscatto degli ultimi. E la sua memoria non può certo essere colpita od offuscata da un simile capovolgimento della verità. Ripeto: sia dell’uomo che dell’artista.

Un paio d’anni fa (tra gennaio e febbraio del 2018) si è tenuta una bella mostra presso il Museo della Fotografia in via del Carmine, a Brescia, promossa da Marta e Tiziano, i figli di Gian. Un bell’incontro di memoria, di stima e di affetto proprio per la ristampa del libro “incriminato”, quello appunto di London by G.B.. Un libro che merita solo di poter girare e non di essere tolto dal mercato e dalla libera distribuzione, per finire al macero come assurdamente si minaccia.

Sapendo ben distinguere le “statue” che in omaggio al Black Lives Matter meritano l’oblio, e financo l’abbattimento, da quelle che viceversa meritano – come i libri di Gian – di ritrovarsi in prima fila per il riscatto degli ultimi e la difesa dei diritti dei “dannati della terra”. Che siano dall’altra parte dell’emisfero o qui, su un autobus od all’angolo della strada, in mezzo a noi.

Malinconica ed imbarazzante, poi, la posizione di Martin Parr che non è stato all’altezza della sua fama e neppure della bella introduzione che ha scritto. Finendo di far pasticci persino sul suo compenso e sulla malintesa venalità delle sue parole scritte. Parr resta cmq il grande fotoreporter che è. Ma va pur detto che vi sono artisti che vivono – come è stato per Gian – la propria arte accompagnandola anche con il coraggio delle proprie battaglie fatte e rischiando in prima persona ed altri, invece, che hanno sì la virtù dell’arte e pure della visione critica della società, ma – come mi pare Parr – scarseggiano purtroppo in coraggio e coerenza. Anche perché non può certo dire che l’accostamento di quelle due scandalose foto – come è ormai vezzo in Italia – sia avvenuto… a sua insaputa. Peccato per Parr, ma non mi sentirei neppure di sperare che cambi e che poi magari ricambi nuovamente idea.

Ho conosciuto Gian nei primi anni ’70 ai tempi della Commissione Culturale del PCI, nella sede di viale Stazione e come molti di noi nelle mille occasioni del suo impegno culturale, professionale e civile. Era Gian…con quella sua indomabile ed incontenibile estrosità. Proprio per questo ci teniamo e difendiamo Gian, anche per quel “cazzotto” che ci ha voluto rifilare. Certamente – ed ancora oggi ancora ben assestato – quel cazzotto allo stomaco d’un razzismo sempre più ostentato.

Ma una foto così, messa in un bel libro patinato forse, ed ancor più, è un cazzotto anche allo “stomaco delicato” del nostro perbenismo ipocrita. Di chi ostenta verbose ed insincere solidarietà a 360°. Di chi si commuove solo per i campi di concentramento del passato, ma è del tutto indifferente sui campi di concentramento del presente. Di chi sostiene – in omaggio al politically correct – di non essere razzista, ma…ma…ma…non sempre rendendosi conto che è proprio in quel “ma” la congiunzione coordinativa che nella vita reale, e personale, tiene incollate insieme quelle due “scandalose” pagine di Gian. Che rappresentano – guardiamole pure con lo sguardo freddo e disincantato dell’Italia di oggi – lo specchio fedele di tanti nostri pessimi umori sociali, di tante nostre cattive e false coscienze, di troppe nostre impotenze.

Ultimo aggiornamento il 21 Aprile 2024 20:27

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