L’ORTO FASCISTA | romanzo di Ernesto Masina | AUTORE

Avremmo voluto scrivere una breve biografia di Ernesto Masina, l'autore di questo libro, per presentarlo ai nostri lettori. Per questo abbiamo chiesto a lui di fornirci qualche cenno per trarne spunto...

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Ernesto Masina

Avremmo voluto scrivere una breve biografia di Ernesto Masina, l’autore di questo libro, per presentarlo ai nostri lettori. Per questo abbiamo chiesto a lui di fornirci qualche cenno per trarne spunto. La risposta di Masina è il testo che segue: abbiamo deciso che non servono aggiunte…

QUI TROVATE L’INDICE DEL LIBRO CON TUTTI I CAPITOLI

L’AUTOBIOGRAFIA

di Ernesto Masina – Forse invece di inventare trame per romanzi avrei dovuto scrivere della mia infanzia e giovinezza. Quando ne ho parlato ai miei nipoti mi guardavano perplessi, come quando si scrutano i narratori per cercare di capire quanto c’è di vero e quanto di inventato.

Bene continuerò a raccontare la verità anche se a volte, soprattutto vedendo come i genitori allevano attualmente  i loro figli (“poverino, dagli la merenda, mi raccomando, quella che piace a lui se no rimane male.” , “Chi va a prenderlo all’uscita da scuola in macchina. Vorrai mica farlo venire a casa a piedi sotto la pioggia.” “La maestra l’ha sgridato perché a picchiato un suo compagno più piccolo? Ma come si permette quella zoticona? X è un bambino saggio, se ha picchiato il suo piccolo compagno vuol dire che quello se lo meritava. Ti puoi immaginare, è il figlio di quei due…..che sono uno più strz dell’altro. Di sicuro X ha fatto bene!  Ecc.ecc.), temo sempre più di non essere creduto.

Dunque, sono nato in Africa, a Bengasi, nel 1935. Pensate, il 2 di Agosto. 44° all’ombra ed il ghibli (per chi non lo sapesse il vento del deserto che si diceva provenisse dalle fucine degli dei).

Povera mamma mia. Ma povero anch’io perché per il travaglio (che si considera solo venga sofferto dalle mamme ma che, a mio parere, colpisce anche i piccoli), per il caldo, perché mia mamma era avanti negli anni (una volta a 36 le donne erano considerate vecchie per diventare madri), per chissà che altro motivo, mia madre perse il latte. Nessuna balia possibile in giro, una sola scatola di “Latte Biraghi” dal farmacista di Bengasi ed io….affamato. Il latte venne ordinato prontamente in Italia ma il primo bastimento per la Libia vi sarebbe giunto solo dopo 6 giorni. Finita la scatola del latte in polvere si provò a somministrarmi il latte di cammella. Una schifezza, ma soprattutto difficile da digerire. Attesi l’arrivo del latte in polvere con la somministrazione di acqua zuccherata. Una goduria! Già ero nato lungo, lungo e magro, magro. Senza nutrimento rischiavo di non farcela. Ed invece eccomi qui.

Gli anni seguenti? Velocemente: 1937 partenza dalla Libia ed arrivo a Varese dove mio padre, ufficiale dei Carabinieri costituì e comandò il primo Gruppo CC. 1938, di nuovo in Libia e nell’anno successivo precipitosa fuga per lo scoppio della guerra. Ritorno a Varese andando ad abitare in una villetta sita in una strada della periferia, strada a fondo ceco. I miei fratelli, più vecchi di me di 7 e 8 anni non avevano tempo e voglia di tenermi compagnia. Mia madre passava giornate intere o a recitare in ginocchio Rosari su Rosari perché mio padre, partito per la guerra, facesse ritorno sano e salvo, oppure accudendo tre vecchi nonni che vivevano con noi.

Altri bambini in quella strada non ce ne erano. Io passavo la giornata sulla mia biciclettina annoiandomi. L’unica cosa bella, che ogni tanto si verificava, era l’incontro con lo scrittore Guido Morselli che, per alleviare la mia tristezza, mi raccontava favole bellissime che io, purtroppo non ricordo più Mi sono rimasti però nella mente quei momenti magici.

Si quei due anni passati a Varese voglio solo ricordare che un giorno spinto, appunto dalla noia, e con la voglia di avventura che penso sia insito in ogni bambino di sesso maschile, pensai di andare per il mondo, Uscii con la mia biciclettina fuori dal recinto che si era creato intorno a me e ….andai a vedere cosa ci fosse quando finiva la città.

Mi ritrovarono alla sera ad una ventina di chilometri da Varese, stanco ed affamato. Ma soprattutto deluso: n on avevo visto nulla di interessante.

Alla fine del 1940 mio padre tornò dalla guerra salvo ma non sano. Aveva contratto l’ameba e stava malissimo. Dopo qualche mese gli fu assegnato il Comando della Legione Carabinieri di Brescia e quindi tutti ci trasferimmo in Piazza Tebaldo Brusato presso quella Caserma. In quel periodo i bombardamenti erano pressoché giornalieri e quindi noi sfollammo prima a Gussago (In un mitico albergo detto “Dalla sciura Pina”) quindi a Salò, in una sperduta villa in località Campo Verde, ed infine, quando arrivò Mussolini a creare la sua “Repubblica”, a Breno a casa dei nonni materni.

Una piccola digressione: Un giorno Mussolini chiamò mio padre a Salò per comunicazioni urgenti. Mio padre aveva avuto nel 1926 un importante incarico (che non riguardava il fascismo) da parte del Duce e di Vittorio Emanuele terzo (quando scrivo il nome del re mi viene sempre voglia di scriverlo con le iniziali minuscole tanto è il mio disprezzo per quella persona), che poi incontrava una volta al mese per relazionarli. Quindi, anche se poco edificante, Mussolini conosceva bene mio padre (ma questa è un’altra storia che se vorrà le racconterò). Recatosi da lui il Duce gli comunicò che aveva deciso che i CC entrassero a far parte della Milizia Fascista e che quindi lui avrebbe dovuto cambiare grado e modo di vestire. Mio padre rispose che lui era entrato nei Carabinieri con quella divisa e che non accettava di cambiarla. Sarebbe uscito dando le dimissioni.
Mussolini si infuriò e dopo la partenza di mio padre da Salò chiamò il Federale di Brescia incaricandolo di organizzare un attentato e di liquidare mio padre. Solo per caso mio padre si salvò.

A Breno io, finalmente, avevo cominciato a socializzare anche se mi era di grande ostacolo quel dialetto che per me era incomprensibile. Ma in paese rimasi due anni e mi creai quelle amicizie carissime che ancora rimangono anche se il numero degli amici si assottiglia sempre di più. L’età vuole la sua parte.

Nel 1944 tornammo a Varese, che è rimasta la mia città di adozione e nella quale tutt’ora vivo.

Non voglio raccontare la mia vita lavorativa che come la mia infanzia è stata altrettanto movimentata. Se raggiungevo un certo successo subito mi stufavo e cercavo nuovi interessi. E’ così che ho girato l’Italia in lungo ed in largo, l’Europa e qualche altro paese in giro per il mondo.

Sino a quella mattina, la prima da disoccupato/pensionato quando mi sono trovato davanti al pc con nulla da fare.

….ed ho cominciato a scrivere.

Un’ultima cosa, ritengo simpatica. Alcune volte negli incontri di presentazione dei miei romanzi mi si chiede se non ho avuto esperienze precedenti, nel senso se prima di darmi ai romanzi non avessi scritto nient’altro.

Racconto che quando avevo 15 anni avevo perso un carissimo amico caduto durante la scalata del Badile. Era stato così grande il dolore di scrivere (e di pagarlo con i pochi soldi della “paghetta”) un necrologio che fu giudicato bellissimo.

Qualche giorno dopo il direttore del giornale locale, amico di mio padre, mi chiese se fossi disposto a scrivere necrologi per persone che non avevano capacità di comporli. Ricordo che nel ’50 in una città come Varese la scolarità era molto bassa. Tantissimi avevano fatto solo la terza elementare, molti la quinta.

Fu così che mi misi a scrivere di morti che non conoscevo ma che i parenti mi descrivevano. La ricompensa? Un vssoio di paste, mi ricordo una palla, una maglietta gialla con due righe azzurre, cinque lire…….

Un giorno mi chiamò un signore, gli avevo scritto il necrologio per la morte di uno zio. Mi trovai con lui in un bar della città dove  mi aspettava con degli amici. Mi disse che era morto un loro caro amico, che volevano che scrivessi un necrologio dove si ricordassero le grandi doti del defunto. Gli atti di carità verso i bisognosi soprattutto verso i bambini. La sua presenza costante alle messe giornaliere, la disponibilità ad aiutare tutti. Mi asciarono anche i soldi per pagare la pubblicazione. Il rimanente per me. E così feci.

La mattina dopo tornando da scuola mia mamma mi disse che aveva telefonato il direttore  del giornale per pregarmi di andare da lui immediatamente dopo pranzo. Così feci. Il Direttore era persona di grande cultura, un uomo intelligente, allegro. Veramente una persona amabile. Venne a prendermi in portineria con un fare strano. Si vedeva che voleva fare il serio ma che gli scappava  da ridere. Nel suo ufficio ci aspettava un redattore, che conoscevo, ed il….morto. Uno incavolatissimo che, se non fosse stato trattenuto, sicuramente mi avrebbe aggredito.

Era stato uno scherzo, quasi una punizione perché tutti sapevano che era un mangia.preti, prestava soldi ad usura e aveva un paio di denunce per molestie a minori.

La mia carriera giornalistica finì lì. Devo però dire che mantenni la testa alta. A quello che voleva sapere chi fossero stati quelli che mi avevano incaricato non risposi. Mi trincerai dietro il.,.,.segreto professionale.

L’Orto Fascista, di Eernesto Masina – copertina (foto da Masina)
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