📕 Occhio al bersagliere! | 📮 IL RACCONTO DELLA SETTIMANA/18

Antonio si laureò il 30 giugno e fece il suo primo colloquio di lavoro poco dopo: lo assunsero, vedendo in lui un ragazzo di buona prospettiva...

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Umberto Tanghetti, scrittore

OCCHIO AL BERSAGLIERE! – racconto di Umberto Tanghetti

Antonio si laureò il 30 giugno e fece il suo primo colloquio di lavoro poco dopo: lo assunsero, vedendo in lui un ragazzo di buona prospettiva.

Adesso, però, gli toccava lavorare..

Lui che aveva fatto l’università a Bologna e che se fosse stato interrogato sui migliori locali in cui andare a farsi una bevuta, avrebbe preso 30 e lode.

Roba da studenti squattrinati, però, mica raffinati locali da banconote fruscianti..

La faccenda si era dunque fatta seria, la fine di un’epoca paragonabile al tramonto di una fase evolutiva, tipo l’estinzione dei dinosauri: si trattava di portare a casa la pagnotta, non vestiti sporchi da lavare al venerdì.

Da Cremona andò a far la formazione a Milano, dalla città di provincia alla metropoli, nella sede dell’azienda chimica per cui aveva trovato impiego e venne assegnato come tecnico commerciale per la zona di Mantova e Brescia. Fece una settimana di affiancamento con il capo area e poi, l’ultimo giorno, il suo responsabile gli disse: ” Da domani vai da solo, non avere paura di sbagliare, ma non fare cavolate!

E mi raccomando, occhio al Bersagliere! “.

Antonio non capì quel saluto, gli era sembrato un modo di dire: non lo aveva mai sentito e pensò che fosse una cosa milanese o al più, mantovana per via delle guerre d’indipendenza, ma non volle fare la figura dell’allocco e ribatté: “Sempre occhio al Bersagliere!”, strizzando l’occhiolino (facendo proprio la figura dell’allocco..)

All’inizio, in quel tipo di lavoro, la preoccupazione principale è arrivare dal cliente e così, da sbarbatello, consumava cartine geografiche che in pochi giorni perdevano brandelli: perlustrava, domandava, cercava di capire quali fossero gli orari migliori in cui prendere gli appuntamenti per la presentazione dei prodotti.

Dopo un paio di settimane nel bresciano, si buttò nel mantovano: prima si inizia dove il mare è più profondo e poi dove è più asfittico il mercato.

Quella mattinata fu davvero pessima: aveva bucato il primo appuntamento e questo contrattempo gli aveva fatto perdere tutto il giro ed instillato in lui le connesse ansie di chi non ha esperienza, con la preoccupazione dell’ “andare” più che del “come fare le cose”; era tardi, oramai l’una passata e a quel punto si fermò, per caso, a Goito per mangiare un boccone.

Entrò distratto in un locale che da fuori pareva anonimo ad uno poco avvezzo come lui (avrebbe capito poi, con l’esperienza che, in generale, gli anonimi ti fregano), ma già nel varcare la soglia, lo captò troppo altisonante per un pranzo di lavoro.

Fu il maitre ad accoglierlo, in perfetta efficienza stellata, senza dargli il tempo di tornare indietro, come già aveva pensato di fare: “Buongiorno!” e fece un cenno di cordialità con la testa.

Antonio non era mai entrato in un ambiente come quello  e si sentì estremamente imbarazzato, quasi come se non fosse in grado di reggere la scena: fronte sudaticcia, mani ghiacciate, bocca impastata per via della sua acerba esperienza del mondo, con l’ ansia di avere fatto chissà cosa.

“Buongiorno – rispose – sono solo.”

Fu accompagnato nella sala ancora vuota  e fatto accomodare in un tavolo da sei: quanto si sentiva fuori posto! Avrebbe preferito essere al tavolaccio dell’oratorio ad ungersi la faccia con pane e salamina, ma era decisamente troppo tardi..

Arrivò il primo cameriere che aveva i guanti bianchi e un elegante abito nero e che, affiancandolo sulla destra, gli porse il menù chinandosi in avanti come a fare una riverenza d’altri tempi.

Roba da generale Johann Josef Wenzel Anton Franz Karl Graf Radetzky von Radetz, insomma: troppo per un pranzo di lavoro.

Gli sarebbe bastato chiamarlo generale Radetzky o signor Johann, tralasciando tutta quella prosopopea.

Fu in quel preciso istante che morì trafitto da una pallottola di artiglieria pesante, perché sulla copertina del menù in pelle, nera come l’abito del cameriere, era stampigliata in oro la scritta:

” Ristorante Il Bersagliere”

Gli tornarono in mente, assordanti, le parole del suo capo, quelle che lui aveva scambiato per “modo di dire” e guardando i prezzi delle portate, capì cosa volesse significare quell’ avvertimento: “L’azienda ti rimborsa i pasti, ma non ti manda in giro per provare ristoranti! Tieniti lontano dal Bersagliere o simili!”

E lui, invece, era proprio nella tana del soldato!

Il cecchino lo puntava da lontano ed era pronto a tirare il colpo, che disfatta!

In un ristorante stellato il primo mese di lavoro..

Si sentiva a Caporetto più che a Goito!

Che gran dimostrazione del suo attaccamento alla causa aziendale..

Barcollando mentalmente, impacciato tra l’essere inesperto ed il sentirsi fuori posto, fece quello che non andava fatto in questi casi, ma era un giovane virgulto e l’esperienza si fa solo provando e riprovando!

Ordinó guardando il prezzo.

Una seconda pallottola lo trafisse sbirciando nella lista e quando il cameriere tornò per la comanda, gli indicò col dito una pietanza che non sapeva nemmeno pronunciare, quasi guardando, per pudore, dalla parte opposta:

“Sorbir d’agnoli!” lesse il cameriere sopra l’indice sudato di Antonio e continuò:

“Sono in brodo..”  come a manifestare, sottolineandolo, la percezione evidente che il cliente non avesse capito di cosa si trattasse…

“Certamente! Un brodo caldo è proprio quello che mi ci vuole!” (era luglio..) rispose Antonio, ostentando una sicurezza che non gli apparteneva.

Intanto un secondo cameriere, posizionato sulla parete a lui di fronte, lo osservava pronto a versargli l’acqua all’occorrenza e questo aumentava il suo imbarazzo. Cercava di tenere il bicchiere mezzo pieno per impedirne l’intervento: “Me la verso io l’acqua!” – pensava con piglio post adolescenziale.

Fu in quel momento che,  in modo molto rumoroso, plateale, ostentato entrò il secondo cliente di quel pranzo: asciutto, ipercinetico, con la camicia bianca aperta sul davanti ed il colletto a punta, un braccialetto di perle (!) e una catenina in oro giallo..Il capello era fluente con il ciuffo che, ribelle, si buttava di lato e veniva prontamente richiamato all’ordine con una passata di mano e un leggero colpo di frusta del collo. A completare quella figura, mocassini dandy coi pon-pon.

Tolse gli occhiali da sole quel commensale e li appese, ripiegati, alla camicia: “Uellà Giovanni!”

“Carissimo, accomodati al tuo tavolo!” (aveva il proprio tavolo!) rispose l’oste stellato.

“Giovanni sei la mia parentesi piacevole tra un prima odioso e un poi che si preannuncia di merda. Stupiscimi, lasciami senza parole!

Io ti dò solo il la: champagnino e tu mi fai decollare nella stratosfera! Taaac!”

Era di Milano.

Che disdetta, i due antipodi come unici clienti: un impacciato venticinquenne di provincia acerbo e timoroso ed un navigato cinquantenne milanese su di giri. Cocaina?

Intanto il Sorbir d’agnoli arrivò al tavolo, glielo presentarono con tutti i crismi, sembrava quasi irriverente mangiarsela quella pasta ripiena, vista la dovizia di particolari; eran forse cinque cartoccetti al dente.

Più il brodo.

A quel punto il cameriere chiese ad Antonio se gradiva del formaggio e in quella situazione, il povero ragazzo si sentì chiuso in un tranello!

“Sta a vedere che mi chiede del formaggio per mettermi alla prova! E io che gli rispondo adesso? Preso da quella titubanza, sbagliò in pieno e disse: ” Se c’è..”

Che risposta da incosciente, che affronto!

Che peracottaro!

Il cameriere sparì immantinente e tornò con una scatola di legno chiusa da un coperchio: l’appoggiò sul tavolo, l’aprì e al suo interno trovava alloggiamento in una sorta di bambagia, una pinza d’argento con la sua grattugia; arrivò il secondo cameriere che declamando:

“Un Parmigiano Reggiano vacche rosse 36 mesi stagionato in montagna!”, lo brandì con la pinza d’argento e iniziando a sfregare sulla grattugia, sviolinò con eleganza quel formaggio, facendo nevicar sugli agnolotti un’imbiancata deliziosa.

Ogni scaglia che cadeva nell’aria volteggiando era un pizzicotto alla sua autostima e

Antonio incassò la propria inesperienza.

Al contrario il milanese ormai arzillotto col suo Cristal tutto bollicine, continuava la prosopopea tutta un “taaac” e un “figa” nel parlare.

Arrivò a quel punto anche la sua portata su di un piatto d’argento col coperchio:

“Vai Giovanni, sono pronto, apri il paradiso!”

“Ecco per te Gamberi rossi di Marsala su salsa al gorgonzola alla propria riduzione!”

Via il coperchio!

Fumetto di vapore.

Silenzio.

Applausi.

Il milanese era impazzito:

“Mmmmmm, figa, ero in sbatta e adesso taaac gamberi di Marsala! Una bella boccia, mmmh, Giovanni tu sei un mago!”

Antonio si sentiva umiliato. Cinque agnolotti galleggianti, buoni per carità, il brodo sarà stato pure di una gallina spennata con i guanti.. Però…Doveva pur reagire!

Chiamò il cameriere e gli disse:

“Devo porgerle i miei più sentiti complimenti per questo sorbir d’agnoli! Sublime, per quanto un pizzico di sale deve essere scappato allo chef, ma rimaniamo nell’ambito del gusto personale.”

Il cameriere, impeccabile, abbozzò una reazione:

“I complimenti sono sempre graditi, così come le critiche che, spesso sono il miglior complimento, anche quando fatti per un piatto così semplice”.

Gli stava dando del pezzente, ma forse non aveva capito con chi aveva a che fare.

“Sono solito prender le misure a un ristorante, ordinando la prima volta il piatto più semplice.

Con poche frecce al proprio arco, lo chef non può sbagliare e se sbaglia è grave e non mi rivedrà.

Le dico, invece, che tornerò con gran piacere!”

“Grazie, apprezzo molto il suo complimento, me lo porto volentieri a casa!”

“Ma le pare, non era certo dovuto” rispose Antonio.

Il pranzo continuò in discesa, addirittura era entrato in confidenza col bauscia milanese al quale, ogni tanto, buttava là un “figa” come si butta un osso al cane e quell’altro:

“E figa, taaac, champagnino!”

Bevve il caffè e chiese il conto, si alzò e disse ridendo al cameriere: ” Grazie di tutto e mi raccomando, occhio al Bersagliere! “

Il milanese, intercettando quella frase, rispose d’istinto: ” Certo, sempre occhio al Bersagliere!”.

Ad Antonio venne da ridere: allontanandosi vide con la coda dell’occhio il milanese che chiedeva ad ampi gesti a Giovanni:

” Cazzo vuol dire occhio al Bersagliere!?? Figa! “

” Sarà un modo di dire cremonese..” rispose il maitre.

Corsi e ricorsi delle vicende umane..

Tramonto, foto generica da Pixabay UMBERTO TANGHETTI, CHI E’?

UMBERTO TANGHETTI, CHI E’?

Umberto Tanghetti, nato il primo ottobre 1977 ad Alcamo (Tp) da padre bovegnese e madre alcamese, cresce e vive a Concesio. Dopo la maturità classica al liceo Arnaldo di Brescia, prosegue gli studi a Padova, dove si laurea in chimica e tecnologia farmaceutiche.
Oggi lavora in farmacia a Brescia ed è tornato a vivere a Concesio.
“Non ho mai pubblicato per nessuno – scrive presentandosi – non ho miti letterari, ma grande stima per molti intellettuali: amo Calvino,i paesaggi di Čechov, la profondità di Dostoevskij… Ma se dovessi citarne solo uno citerei Primo Levi tirato dalla vita sui libri per testimoniare l’impossibile”.

LEGGI I RACCONTI DI UMBERTO TANGHETTI PUBBLICATI SU BSNEWS.IT A QUESTO LINK

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