Per fare Smart Working, anche a Brescia Darwin ci direbbe di fare Stone Kicking | BRESCIA VISTA DALLA PSICOLOGA

Come stanno reagendo infatti i bresciani alla nuova situazione? A sei mesi dallo “smart working” forzato, si può fare un bilancio? Mi sono confrontata con diverse persone per capire come vengono vissute le situazioni, raccogliendo riflessioni molto interessanti e stimolanti provenienti da diversi contesti professionali e aziendali

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Doriana Galderisi, opinionista BsNews

di Doriana Galdrisi* – “Se lavori ti tirano le pietre… non fai niente ti tirano le pietre… qualunque cosa fai capire tu non puoi se bene o male quello che tu fai”… Ci si ricorderà di questa canzone di Sanremo cantata da Antoine, proprio negli anni in cui alcuni precursori immaginavano un futuro di telelavoro, molto diverso da quello che si siamo trovati a vivere, forzatamente e improvvisamente, con la pandemia da covid-19. Nella canzone qualsiasi cosa viene fatta è sbagliata e veniamo messi in croce, e forse questo è il rischio anche in quello che oggi viene chiamato “smart working”: l’aggettivo tradotto dall’inglese implicherebbe essere una modalità di lavoro più “intelligente”, non perché ci protegge dai contagi ma perché ci dovrebbe permettere di organizzare meglio i tempi di vita e ridurre affollamenti, inquinamento, gestione degli spazi delle metropoli. Purtroppo non sta andando esattamente così!

Come stanno reagendo infatti i bresciani alla nuova situazione? A sei mesi dallo “smart working” forzato, si può fare un bilancio? Mi sono confrontata con diverse persone per capire come vengono vissute le situazioni, raccogliendo riflessioni molto interessanti e stimolanti provenienti da diversi contesti professionali e aziendali.

Come premessa è doveroso ricordare che il lavoro per i bresciani rappresenta un segmento portante della propria identità, e Brescia si continua a contraddistinguere per la grande energia lavorativa messa in campo anche nei momenti più traumatici del primo lock down, quando erano la nostra città e la nostra provincia ad essere tra le zone più colpite dall’emergenza sanitaria.

Da notare che prima della pandemia lo smartworking nelle aziende veniva usato quasi come se fosse un benefit, una gratificazione. Non c’era una organizzazione aziendale che lo permettesse e molti esperimenti che si erano sviluppati negli anni ‘70 e ‘80 subirono un arresto negli anni ‘90, proprio quando la tecnologia lo avrebbe potuto sempre di più facilitare.

Quali sono le cose di cui si sente di più la mancanza con il lavoro da remoto?

“Ho sentito la mancanza della relazione fisica con clienti e colleghi, tanto impegnativa quanto stimolante dal punto di vista sociale” E.D. lavora presso un Istituto Bancario“

Il mestiere dell’avvocato non è solo atti giudiziari e memorie, ma anche contatto sociale, relazioni, mediazione che se fatti vis a vis hanno un senso e una rilevanza sovente fondamentale e risolutiva. I contatti sociali, mediati da uno schermo asettico, verosimilmente non avranno la medesima efficacia” Alessandro Macca, Avvocato del Foro di Brescia

L’assenza di relazione vis a vis, faccia a faccia, è una delle mancanze più sentite quando si lavora da casa. Il tono di voce, l’interazione, i movimenti di contesto permettono di proseguire nel lavoro di gruppo, mentre si sente la mancanza di quei piccoli gesti di apprezzamento quotidiano che si legano al funzionamento profondo sia emotivo che cognitivo nelle persone.

“Dopo qualche giorno si avverte una vera necessità di tornare alle relazioni abituali, manca l’umanità che un telefono non riesce a sostituire” P.B. back office bancario

“Trattando aspetti molto delicati spesso è necessario vedere proprio la reazione umana del cliente e essere anche vicino fisicamente…”; “Nel processo penale a differenza di quello civile è necessaria la presenza fisica” Enrico Cortesi, Avvocato penalista del Foro di Bergamo

Quali aspetti possiamo evidenziare come positivi?

Non tutto è negativo però. Anzi, sono molti gli aspetti di innovazione tecnologica e svecchiamento che riguardano alcune professioni. Pensiamo ad esempio all’ambito giuridico forense:

“Il processo telematico ha reso senz’altro più efficiente il sistema della giustizia civile coinvolgendo tutti gli operatori del processo, giudici, avvocati e cancellieri” V.G. Magistrato

“E’ in corso una sorta di rivoluzione per il processo italiano che si sta adattando così alle esigenze di sicurezza imposte dalla diffusione del Covid cercando di favorire la continuità dei processi senza prescindere dalle garanzie istituzionali…l’innovazione ci sta chiamando a fare un passo avanti, un salto nel buio, uno svecchiamento della professione…” Lucrezia Marsiletti praticante avvocato

Uno degli aspetti positivi che possiamo quindi trovare in tutto questo è il superamento dell’inerzia. L’inerzia è un forte freno al cambiamento, ci sono cambiamenti organizzativi che potevano essere pronti da tempo e che sono stati bloccati dall’inerzia. L’evoluzione viene spesso bloccata da una visione non corretta del futuro, magari troppo pessimista o fatalista; ora invece lo stallo è passato (a causa dell’emergenza sanitaria non possiamo più stare fermi) ma è diventato scacco: dall’inazione all’obbligo a muoversi in una certa direzione.

Ci sono degli aspetti in cui non siamo ancora pronti per un completo smart working?

Non tutto può essere risolto semplicemente dall’evoluzione tecnologica, che anzi lascia molti aspetti di difficile soluzione come i problemi legati alla privacy. Senza regole, anche autoimposte, si corre il rischio di passare dall’utopia alla dis-topia, ovvero un sogno al negativo, rovesciato, non più desiderabile. Non a caso le persone hanno testimoniato un sovraccarico di mansioni, un lavoro molto più incerto, a cui si aggiunge la mancanza di giusti spazi per la gestione del lavoro in molte abitazioni. Problemi di iperconnessione e sovraccarico tecnologico. In molte professioni la gestione di dati sensibili avrebbe richiesto l’organizzazione di processi di dematerializzazione sicuri, ovvero la messa in sicurezza della documentazione che si deve utilizzare durante l’attività lavorativa: pensiamo ad avvocati, o commercialisti. Settori in cui la carta è ancora indispensabile, tanto da non permettere di completare il lavoro senza i faldoni.

“Nell’ambito penale ci sono stati molti limiti nell’uso dello smart working perché per questioni di privacy i cancellieri da casa non potevano accedere ai sistemi del ministero della giustizia, non potevano accedere ai dati sensibili. L’attività del tribunale non è compatibile con lo smart working” Enrico Cortesi, Avvocato penalista del Foro di Bergamo

“…ci sono processi particolarmente delicati come quelli minorili in cui anche attualmente si predilige lo svolgimento dell’udienza in presenza, che assicura una maggiore e più efficace interazione dei soggetti del processo in cui spesso sono anche presenti e vengono sentite le parti”. V.G. Magistrato

“Questione diversa invece è quella relativa al settore penale, dove ancora non si è in grado di pensare ad una informatizzazione o ad una completa digitalizzazione” Lucrezia Marsiletti, praticante avvocato

La gestione del tempo è uno dei fattori di stress più complicati, quando non ci sono delle regole precise, tanto che da diversi anni si parla di “diritto alla disconnessione” per evitare che le attrezzature tecnologiche che permettono di lavorare ovunque e in qualsiasi momento invadano completamente il tempo e lo spazio. Il rischio è di trovarsi a lavorare in treno, in automobile, mentre ci facciamo le unghie o siamo dalla parrucchiera, magari mentre si bacia il proprio partner.

“La maggior parte di noi ha saputo gestirsi con responsabilità tempo e lavoro…la fortuna è che l’azienda già da qualche anno ha implementato programma di welfare verso tutti i dipendenti per cui c’è molta attenzione verso le risorse umane e quindi i dipendenti durante il lockdown hanno potuto organizzare al meglio la giornata tra casa e lavoro…” Roberto Petruzzi, direttore commerciale presso un’azienda informatica

“Operatori dai 55 ai 60 anni preferisce rientrare a lavorare in presenza, in ufficio, mentre operatori fino ai 35 anni prediligono lo smart working”  Gianluigi Doninelli, responsabile commerciale nel settore arredo ufficio

I processi di decision making al tempo del telelavoro

“L’attività decisionale collegiale da remoto risulta più impegnativa rispetto a quella in presenza” V.G. Magistrato

Come mai la gestione dei processi decisionali in alcuni settori rallenta o diventa più difficile con il telelavoro?

I processi di decision making sono composti da più passaggi condizionati da eventi esterni e fattori interni che poi portano a una decisione. Tutte le teorie che hanno studiato questi processi hanno dimostrato la presenza di fattori razionali e di fattori emozionali. Le decisioni vengono condizionate non solo dal risultato atteso (una valutazione sull’utilità e sulla probabilità che una situazione si verifichi) ma anche dal contesto in cui vengono prese. Le emozioni giocano un ruolo fondamentale.

Il contesto dello smart working è atipico perché ci sono delle variazioni importanti: ambienti diversi, modalità di discussione differenti, accesso alle informazioni potenzialmente parziale (ad esempio gli archivi non digitali potrebbero essere in ufficio e non a casa). A questo si aggiungono limiti di tempo e incertezza su molti fattori esterni, oltre alla mancanza di confronto diretto con gli altri attori partecipanti al processo di decisione. Tutto ciò crea un forte stress a cui si aggiunge spesso la sensazione di sbagliare o di non avere tutti gli elementi necessari per prendere una decisione. Nel periodo di pandemia molto spesso le sensazioni e le emozioni che investono le persone sono di incertezza, di frustrazione, di insicurezza, e quindi rallentano i processi decisionali. Le emozioni che si provano sono quindi diverse da quelle che si proverebbero in situazioni di lavoro in presenza, in ufficio, e possono alterare le decisioni.

Quali rischi psicologici nel telelavoro?

L’entusiasmo di chi può lavorare da casa, magari nella fase iniziale, dopo un po’ va cercato con il lanternino… perché a fronte di un minor dispendio di soldi e tempo dovuto allo star fuori casa molte ore e muoversi, viene meno la linea di confine tra vita pubblica e vita privata. Si può arrivare a veri e propri casi di tecnostress e dipendenza digitale. Un problema gestionale che in realtà è psicologico, perché la persona ha l’impressione di non smettere mai di lavorare. Un lavoro che magari viene interrotto, o frazionato, dalle attività di casa come la presenza di figli o commissioni “interne” alla gestione famigliare.

“Spesso i tempi lavorativi si dilatano a scapito di quelli familiari …io tendo a non rendermi conto che il tempo passa e la giornata lavorativa è finita e abitua il datore di lavoro a una costante maggior produzione. Non ci sono più pause o distrazioni date dal lavoro in ufficio e questo impegno costante affatica notevolmente la mente”. E.D. lavora presso un Istituto Bancario

“E’ necessario darsi una disciplina perché il fatto di avere sempre il pc a portata di mano rischia di togliere tempo ad altre attività” Gabriella Bersotti, Assistente di direzione presso azienda di commercio

Mancando un filtro tra le questioni del lavoro e le questioni della casa, l’organizzazione lavorativa e familiare, le routines a cui si era abituati, c’è il rischio che l’intreccio delle due aree della nostra vita impedisca la concentrazione necessaria in entrambi i casi. In alcuni momenti si vive in casa ma con la concentrazione sul lavoro, oppure si sta lavorando ma con le preoccupazioni dei problemi di casa.

“La capacità di organizzarsi è stato lo scoglio più grande, se non sei abituato a lavorare alla tua postazione, con i tuoi oggetti, nel tuo spazio, tutto diventa più complicato, se poi deve pensare cosa portarti a casa, che fascicoli ti servono, è ancora peggio”. Elena Ferrari, commercialista

“Lo smart working è fantastico dà la possibilità di stare con la propria famiglia pur lavorando…” Susanna Buffoli, imprenditrice in ambito assicurativo e Gianluigi Doninelli, responsabile commerciale nel settore arredo ufficio

“Con il telelavoro è migliorata per me sicuramente l’organizzazione della vita familiare. I figli trovano sempre qualcuno a casa, si assapora il piacere di stare in famiglia per tutta la giornata, in caso di imprevisti è più semplice prendersi una decina di minuti, si evita di perdere troppo tempo in auto, si evita lo stress dell’ufficio…” P.B. back office bancario

Un problema antico, già conosciuto da scienziati e studiosi: ad esempio Charles Darwin lavorava spesso da casa e prima di cominciare a lavorare passeggiava nel suo terreno, costruendo un rituale che lo portava a scacciare i pensieri un modo particolare. Accatastava un cumulo di pietre, una per ogni preoccupazione, e ogni volta che tornava sui suoi passi ne prendeva a calci una spedendola in mezzo al bosco come ad aver scacciato una delle preoccupazioni, prima di iniziare il lavoro.

“Chiusi in casa non ci rende conto del tempo che passa, non avendo il viaggio si tende a lavorare di più con la sensazione che sia una cosa dovuta” P.B. back office bancario

Nello smart working è importante fare un po’ come Darwin, e costruirsi un rituale di inizio e fine del lavoro giornaliero. Quei meccanismi che spesso erano stati sottovalutati e che avvicinavano a piccoli passi verso la giornata, come la brioche o il caffè al bar.

“Si rischia di iniziare a lavorare la mattina presto e di finire la sera molto tardi senza rendersi conto che si sta dedicando troppo tempo al lavoro…questo è uno dei rischi che si corre perché non ci sono più i tempi intermedi di trasferta, le famose fermate alla macchinetta del caffè…” R. P. direttore commerciale presso un’azienda informatica

Si rischia di isolarsi dalle altre persone e quindi dal contesto socio culturale che ci circonda quando stiamo nel nostro ufficio…facendo smart working io mi vedrei come un automa di fronte al computer e al telefono” Susanna Buffoli, imprenditrice in ambito assicurativo e Gianluigi Doninelli, responsabile commerciale nel settore arredo ufficio

Ci sono poi degli aspetti più lavorativi da tenere in considerazione, come una maggiore difficoltà nel controllo della qualità del lavoro. Molto di questo aspetto viene delegato ai software, che misurano magari il tempo passato al computer o il tracciamento dell’attenzione. In realtà quello che più potrebbe mancare ai dipendenti è il feedback, quei piccoli segnali che permettono di capire se siamo sulla strada giusta, se abbiamo capito la scaletta delle priorità, o se invece siamo travolti da una valanga di email tutte senza un ordine di importanza e allora si fa fatica a capire la sequenza con cui svolgere i compiti.

Se non è ben organizzata l’azienda, anche il datore di lavoro fa fatica ad avere il polso della situazione, non perché vuole diventare un inquisitore ma perché necessità di misurare la qualità della performance e capire il rapporto costi benefici.

Due cose sono quindi importanti. Un buon uso dei software che organizzano le riunioni, in modo da evitare di interferire con l’agenda e la timeline dei colleghi. Inoltre non è sempre consigliabile il lavoro per obbiettivi, perché chi organizza il lavoro non dovrà pensare solo a ciò che fa ma anche a come lo fa: la modalità ad obbiettivi non può essere adottata di default, in alcune occasioni sarà più utile ragionare con un’organizzazione a blocchi temporali (time blocking).

La pandemia impone dei continui start and stop, più che un blocco prolungato e totale. Sarà sempre più frequente trovarsi in situazioni ibride, con alcuni da remoto e altri che lavoreranno in presenza. Le situazioni saranno quindi psicologicamente complesse, perché si mischieranno isolamenti e affollamenti anche all’interno della stessa famiglia.

Cosa fare per migliorare lo smart working?

“Siamo passati da un entusiasmo iniziale per il nuovo, per il filo-americano che tanti pensano essere un modello perfetto, ad una noia sopravvenuta, perché al di là di tutto, l’italiano non è costante nelle proprie scelte: il nuovo piace, ma i vecchi metodi sono insostituibili. Quindi le virtù dello Smart working si sono tramutate presto nei suoi vizi. Come l’opera del marchese de Sade.”, dott.ssa Lucrezia Marsiletti, AZ Studio Legale Tributario

In questo momento lo smart working non è più un esperimento di ricerca, ma un esperimento nell’ambito del lavoro. È importante distinguere tra chi è in azienda e chi è solo.

Chi è in azienda non sempre ha accesso a tutte le informazioni disponibili, perché il processo di dematerializzazione è ben lungi dall’essere compiuto e molti uffici sono ancora carichi di carta e faldoni. È importante che per mantenere la modalità di smart working in maniera efficiente ci sia un lavoro di progettazione sulla base delle esigenze della comunità lavorativa aziendale, con delle finestre di accesso ad aiuti e sostegni come figure di tutoraggio o sorte di mutuo aiuto.

Chi è solo dovrebbe poter avere accesso, in progetti in collaborazione con il ministero del lavoro o della salute, delle finestre di accompagnamento per la gestione pratica e dinamica del lavoro da casa. Questo faciliterebbe la transizione da un passato di “smart working come benefit” alla situazione presente di “smart working come opportunità” di produttività, di acquisizione di nuove competenze e di smaltimento dei carichi.

In conclusione…

Se Antoine ci metteva in guardia sul rischio di prendere pietre nel 1967, qualunque cosa facessimo, pochi anni dopo sempre a Sanremo Adriano Celentano e Claudia Mori ci ricordavano che “chi non lavora non fa l’amore”… un rischio, quello di non lavorare, che quando sono in smartworking i bresciani non sembrano correre. Quindi tirerà su il morale di tutti!

CHI E’ DORIANA GALDERISI?

Doriana Galderisi è padovana d’origine e bresciana d’adozione: lavora nel campo della psicologia da più di 27 anni con uno studio in via Foscolo, a Brescia. Esperta in: Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale Tipico e Atipico, Psicologia Criminale Investigativa Forense, Psicologia Giuridica, Psicologia Scolastica, Psicologia dell’Età Evolutiva, Neuropsicologia. E’ inoltre autorizzata dall’ASL di Brescia per certificazioni DSA (Disturbi specifici di Apprendimento). E’ iscritta all’Albo dei CTU, all’Albo dei Periti presso il Tribunale Ordinario di Brescia e all’Albo Esperti in Sessuologia Tipica e Atipica Centro “il Ponte” Giunti-Firenze.

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