📕 La bolla | 📮 IL RACCONTO DELLA SETTIMANA/22

Di sordomuti ne avevo conosciuti quattro. Il primo era novantenne, in carrozzina per gli acciacchi dell'età e quando mi vedeva, si fermava, bloccava le sue ruote e si metteva in piedi per stringermi la mano...

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Umberto Tanghetti, scrittore

LA BOLLA – racconto di Umberto Tanghetti

Parlano tutti della “bolla”, perché pare cosa bella e nuova.” Così esordì incontrando il figlio e continuò:

” Tutti dicono: “Organizziamo il campionato in una bolla, come hanno fatto in Usa con il basket!

Così salviamo capre e cavoli!”

Tutte le squadre chiuse in un albergo, a dribblare il contagio prima di insaccare in rovesciata!

Wow! Balla, caro, che è bella questa bolla!!

A noi che siamo barricati nelle case ad isolare il virus, basterà comprarci sacchettoni di popcorn e goderci lo spettacolo!

Eppure, caro mio, la bolla non sempre è positiva, non sempre è sacrosanta.

Ci sono bolle che son delle prigioni..

Ci sono bolle che paiono necessarie perché l’abitudine le ha rese parte del paesaggio, imprescindibili agli occhi di quelli che son seduti comodi.

Il fatto è che, con l’abitudine, tutti si diventa pigri e allora va rotto l’ingranaggio per tornare ad essere veri.

Onesti d’intelletto.

Queste bolle più sono prigioni e meno si notano, penetrando ogni condotta umana.

Come la nebbia, caro Totò del tuo papà: se c’è non si vede!” disse di slancio.

E Antonio gli rispose subito, con lo scatto alla risposta figlio dell’età sua: “Non chiamarmi “Totò del tuo papà”! Please!”

“Insomma, piccolo virgulto innamorato – riprese il padre, suscitando il fastidio del figliolo, chè l’amore esplicitato genera imbarazzo, ma è, comunque, gran buon segno – ci sono bolle dure a morire: una, in particolare, in cui viene relegata la maggioranza della popolazione, da secoli di “devi” e pregiudizi.

Da secoli di maschilismo, è inutile girarci intorno.

È la bolla a forma uterina in cui sono infilate tutte le donne, quelle che sanno di essere lì dentro e quelle che non ne sono consapevoli;

quelle che ci stanno bene, per scelta e quelle che, al contrario, uscirebbero a prendersi una boccata d’aria; quelle che romperebbero con la testa il pregiudizio, pur di sentirsi libere davvero”.

 

Parlavano di queste cose passeggiando come fossero due pensionati, uno tenendo in mano l’immondizia e l’altro, portando a spasso il cane del vicino che, con atto di grande generosità, glielo aveva dato in prestito, mica affittato!

Le tariffe per procurasi un  cane in tempi di coronavirus come chiave di sblocco del blocco erano diventate, infatti, roba da mercato nero: uscire con l’alano del vicino costava un occhio, molto meglio un carlino sul quale avevi più margine di trattativa, anche se era meno produttivo e poco durava il rinfrancante girettino.

Comunque, bisognava pur attrezzarsi per far passare il tempo e così camminavano e parlavano del più e del meno.

Arrivarono ben presto in un “non luogo” fuori dal tempo, come fosse una piazza lastricata con il porfido a cubetti, piante di ficus secolari ben squadrate e regolari a scandire i vuoti e i pieni e si sedettero su una panchina che non aveva lo schienale o almeno così pareva.

Il padre che lì era già stato molte altre volte, aveva visto quello che solo all’apparenza era mancante:

“Antonio, appòggiati, è qui che inizia la bolla, ti sosterrà! È molto comoda per noi che siam seduti a chiacchierare sull’esterno, a  prenderci il bel sole sulla faccia.”

Sembrava di essere adagiati su uno di quei materassi ad acqua che si adattano anche alle schiene più bitorzolute o alle ernie più fatiscenti e alle pieghe che la vita fa prendere a membra sempre più affaticate.

Anzi, più si è vecchi, emaciati, in collera col mondo e più pare ristoratrice quella bolla budinosa.

Sembrava quasi di galleggiare in aria e da lì fuori era un vero e proprio godimento.

La bolla era un gran comoda, non c’era che dire ed anche il figlio se ne accorse:

“Hey, pa’, ma questo appoggio è una figata! C’è, ma non si vede ed è di un rilassante che non potevo immaginare!”

“È comoda per noi che siam qui fuori, come già ti ho detto, figlio mio, ma per chi sta dentro è tutta un’altra cosa!

Da quell’ altra parte non ci si può appoggiare e se si decide di uscire, per un po’ si passa inosservati, ma ben presto qualcuno tenta di ributtarti dentro e quasi sempre ci riesce..”

Parlavano del più e del meno, dunque ed iniziarono a favellar  pure di utero: tra maschi capita di parlare di cose vuote e più vuoto dell’utero, salvo procreatrici interruzioni, non c’è nulla..

“Pa’, ma ‘sto utero cos’è di preciso?” chiese Antonio.

“A capircene qualcosa figlio mio – e intanto si grattava la testa un po’ confuso – L’utero è l’organo femminile in cui il feto si sviluppa per poi diventare quello che sei tu, il virgulto innamorato di cui sopra!” gli disse ridacchiando.

“Vuoi farla finita con i tuoi vezzeggiativi?!?” rispose stizzito il ragazzo.

” Si, si va bene! ” riprese il padre.

” Il mistero è capire come sia possibile che quest’organo stazioni anche fuori dalla donna, non solo all’interno; il mistero è capire come è possibile che sia il metro che regola tutto il resto,  come lo è il carbonio nella tavola periodica, mio caro.. Basta guardarsi attorno per comprendere..”

Mentre parlavano a quel modo, godendosi il sole sulla faccia, videro, di fronte a loro, una signora vestita in modo molto dignitoso e casto che, brandendo uno stendardo con una mariana effige stampigliata, gridava, con piglio accalorato, ad una farmacista dentro al dispensario di medicinali: “Basta pillola abortiva! Lei vende la morte! Lei che  è donna e madre! Ma non si vergogna?

Donna, non venda la pillola abortiva!!”

Ora il padre, rilassato sull’ uterina bolla, disse ad Antonio: ” Lo vedi come va? Lo vedi la leva del pregiudizio? Le ha detto “lei che è donna”, come fosse un’ aggravante.. E le ha detto “pillola abortiva” che, notoriamente, non è venduta in farmacia.

È un falso.

La pillola a cui fa riferimento quella donna con la gonna di flanella appena sotto al ginocchio ed il foulard legato in testa, si chiama, invece, contraccezione di emergenza: come quando Franco Baresi, anzicchè impostare il gioco, si vedeva costretto a spazzar la palla oltre la tribuna per evitare che andasse a segno il marcator avversario.

Quando l’ovulo non ha ancora preso il largo e quindi non può fare salire a bordo nessuno spermatozoo, lo si àncora nel mar tranquillo, grazie ad una pillola, per qualche giorno in più, in modo tale che la vitalità degli spermatozoi che girovagano per l’endometrio venga meno (si dice la pillola dei 5 giorni, anche se, prima la pigli, meglio è; anche se deve proprio essere eccezione il fatto di ricorrervi, qualcosa deve essere andato storto! E poi mica ti protegge dalle malattie sessualmente trasmissibili, la pillola. Peraltro è comunque una botta ormonale, quindi non considerarla la via maestra, fai conto non esista nemmeno, ma se serve..

Lo so, sono pedante, ma su queste cose è meglio non scherzare figlio mio, bisogna avere le idee chiare.).

Dicevo..Quando l’ovulo salperà dal porto sicuro, non potrà fondersi con la parte maschile perché, semplicemente, non ne incontrerà di vitale..

Gli spermatozoi saranno tutti schiattati, come i mariti fuori da un negozio di profumi..

Più si aspetta a prendere la pillola, più è possibile che l’ovulazione sia già capitata e quindi, avvenuto  anche il concepimento.

Come Baresi che, raccolta la palla in fondo al proprio sacco, la scagliasse stizzito verso la tribuna: troppo tardi vecchio mio, uno a zero per loro..( non capitava quasi mai, tranquillo. E poi Massaro ci metteva il gollettino vittorioso..)

In quel caso la pillola non serve a nulla, non provoca l’aborto: il suo scopo, diciamo , è fare arrivare tardi l’ovulo all’appuntamento.

Come la tua mamma quando dobbiamo uscire!”  disse ridendo. ( Se la mamma lo avesse sentito, avrebbe riso meno! Amore! )

Quindi parlare di aborto in questo caso è davvero strumentale, oltre che sbagliato.

Come dire che un preservativo è un’ interruzione di gravidanza in potenza.

Quanto poi ad alimentare il senso di colpa della donna..Lasciamo stare..”

“Ok, pa’, ferma il treno. Per prima cosa voglio sapere perché parli a me di tutte queste cose e non a mia sorella” disse Antonio un po’ contrariato.

“Caro mio, la risposta è molto semplice.

Parlo a te di bolla uterina e non a tua sorella perché lei è già ora, da sempre, lì dentro  e tu sei fuori, in posizione di vantaggio, in entrambi i casi non per scelta né per merito.

A lei grideranno “troia” per una precedenza mancata, a te figlio di puttana.

Cioè la sua colpa sarà sua e la tua, di tua madre, ma sempre colpa uterina.

Ecco la differenza, ecco la potenza del pregiudizio che non muore mai.

Ecco perché te ne parlo, perché è molto urgente arginare questo atavico andamento, scendere dal treno del già classificato.

E allora siamo noi che dobbiamo cambiare le cose, siamo io e te, nel nostro piccolo, che dobbiamo emanciparci dalla bolla dalla quale siamo tenuti fuori e loro dentro.

Dobbiamo mescolarci, figlio mio.

Tua sorella dovrà imparare cosa sia la giustificazione, dovrà sempre difendere le sue scelte. Sarà pagata meno rispetto ad un uomo; le diranno ad un colloquio di lavoro: “Peccato che lei sia donna, altrimenti l’avremmo assunta!”

Avrà i capelli troppo corti o troppo lunghi.

Vorrà sicuramente fare il lavoro che “non compete” ad una donna o forse vorrà fare “proprio quello”, dovendo giustificare comunque la sua posizione.

Sarà “mamma a tempo pieno” arrossendo per la sua impossibilità di lavorare e sarà “mamma che lavora” per giustificare la sua assenza casalinga.

Sarà sempre nella terra di mezzo di chi sbaglia il posto e il tempo che gli altri vorrebbero farle vivere.

Dovrebbe vivere sottomessa, imparare a farsi i fatti suoi e stare al proprio posto, perché una donna non può avere “grilli per la testa”.

Ecco perché è a te che parlo, figlio mio.

Parlo a te perché tua sorella possa essere libera.

Penso che ti possa bastare.

Per tutti questi motivi sarebbe a mio avviso bello se tu ti armassi di punteruoli metaforici da tenere in tasca e se tu imparassi ad usarli nel momento più opportuno, per squarciare la bolla uterina: zac!

Un colpo secco a fare scoppiare  la micella costrittiva.

Un punteruolo formidabile è quello di scegliersi il posto più scomodo in cui sedersi, non la panchina in cui ci si possa appoggiare alla bolla: il gradino della piazza, per esempio o un palo come poggiaschiena o lo spartitraffico. 

La scomodità non è ruffiana, non ti ammalia con lusinghe, ma ti tiene sveglio, figlio mio.

Ti fa mettere nei panni di quell’altro e allora capisci molte cose.

Poi c’è un pungolo formidabile, una sorta di super potere che avvicina oltre il pregiudizio, che libera lo spirito e lo fa entrare in comunione con quello di chi ti sta di fronte: si chiama musica, Antoniuccio caro del tuo paparino (qui la faccia del figlio era disgustata, quasi da conato vomitoso. Si amavano!) Se vorrai, potrai  imparare ad ascoltare e a farti trasportare.

Potrai imparare a scegliere la canzone giusta, l’opera appropriata, quella che ti rilassa o che ti avvicina agli altri. O che ti isola. O, ancora, che ti fa tirare fuori tutta la rabbia: una meravigliosa valvola di sfogo.

Ora te lo dimostro.” disse il padre.

Antonio non era tanto convinto, ma gli concesse il beneficio d’inventario e guardò il padre tra il curioso e il preoccupato.

“C’è una canzone cantata da una certa J.J. che buca la bolla come fosse  un soufflé riuscito male: parla di un Tale, un certo Bobby McGee che non sappiamo neanche se sia mai esistito, se fosse un brav’ uomo o il peggior filibustiere degli Stati Uniti.. Non importa, figlio mio.

Forse è stata per J.J. l’ occasione persa di una vita, il suo più grande rimpianto o il suo più grande successo, ma la cosa più importante è che Bobby era la possibilità di fare del proprio meglio e j.j. l’ha colta.

Ci ha provato o forse sì è immaginata di farlo.

Più di tutte, mio caro è stata la possibilità di sfondare la bolla, è stato il tentativo di essere libera.

O forse Bobby è stato solo un mito a posteriori, una “Silvia che rimembra”, una costruzione della mente per chi non trova pace o un incontro vero con una persona bella. Magari Bobby è stato l’incapacità di mettersi allo specchio e di guardarsi dentro..

Ma, infondo che ci importa chi fosse per davvero?

La vita è dura, figlio mio, ma bisogna rompere le costrizioni: non puoi contribuire a crearne per gli altri, non puoi accontentarti di quello che ti passano.

Rivendica come prezioso un libero sbaglio, perché le certezze degli altri sono la nostra bolla, quella dalla quale io rifuggo.”

 

Mentre parlava così accalorato, fece partire la canzone dal telefono e la canticchiava storpiando le parole che non si ricordava.

“Aggana uei! Ammmericano!”

Fu in quel preciso istante che una signora un po’ anzianotta, diciamo sui settanta, carica di spesa come un mulo, trafelata a rincorrere il tempo dettato da altri, si fermò con gli occhi illuminati di vigore:” Bobby McGee!” disse sorridendo..” Vi dispiace se mi fermo ad ascoltare?”

“Certo che no, signora, si segga qui” disse il padre.

“E stia attenta che manca lo schienale!” continuò strizzando l’occhio ad Antonio che per l’improvvisa scomparsa dell’appoggio bolloso alle sue spalle, stava quasi per volare all’indietro..

Canticchiavan la canzone e si formò un capannello di altre persone danzanti in quella pausa d’aria di tre minuti.

Felici, senza bolla sulla testa, liberi, fratelli.

Antonio era senza parole, non poteva credere ai sui occhi e alle sue orecchie: rideva e faceva l’occhiolino al padre che ballava come un pirla con degli sconosciuti.

Potenza della musica in un non luogo fuori dal tempo.

Laralailaralailaila, laralailaralailaila, Bobby McGee….lararalaiairala…..Rimembri ancora quel tempo?…laralaralaralarala… Libertà è solo un’altro modo per dire niente da perdere…laralaralarallla…Gli occhi tuoi ridenti e fuggitivi..

Tramonto, foto generica da Pixabay UMBERTO TANGHETTI, CHI E’?

UMBERTO TANGHETTI, CHI E’?

Umberto Tanghetti, nato il primo ottobre 1977 ad Alcamo (Tp) da padre bovegnese e madre alcamese, cresce e vive a Concesio. Dopo la maturità classica al liceo Arnaldo di Brescia, prosegue gli studi a Padova, dove si laurea in chimica e tecnologia farmaceutiche.
Oggi lavora in farmacia a Brescia ed è tornato a vivere a Concesio.
“Non ho mai pubblicato per nessuno – scrive presentandosi – non ho miti letterari, ma grande stima per molti intellettuali: amo Calvino,i paesaggi di Čechov, la profondità di Dostoevskij… Ma se dovessi citarne solo uno citerei Primo Levi tirato dalla vita sui libri per testimoniare l’impossibile”.

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