📕 Narcos! 23 maggio, io ricordo | 📮 IL RACCONTO DELLA SETTIMANA/26

Il telefono squillò all'improvviso, molto prima di quanto si aspettasse: "Naranaranà, uauaua…. naranaranà, uauauaaaaa." Era la suoneria de "Il buono, il brutto e il cattivo" e di solito, la faceva squillare più a lungo...

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Umberto Tanghetti, scrittore

NARCOS! 23 MAGGIO, IO RICORDO – racconto di Umberto Tanghetti

Il telefono squillò all’improvviso, molto prima di quanto si aspettasse:

“Naranaranà, uauaua…. naranaranà, uauauaaaaa.”

Era la suoneria de “Il buono, il brutto e il cattivo” e di solito, la faceva squillare più a lungo.

Questione di rispetto..

Stavolta la faccenda era urgente e tirò su la cornetta di scatto.

Tentò, a dire il vero, di fare scorrere verso l’alto il simbolo verde del telefono.. Solo che  aveva sempre le mani secche e lo schermo non gli vedeva mai il dito..Era lì a strisciare tremolante e non riusciva a prendere la comunicazione:

“Brët diaol porco! ‘Sto telefono!!”

Si leccò il dito ed il telefono lo riconobbe!

“Arrivo prima, fai presto, il pacco pesa troppo!”

Riagganciò.

Salì in macchina e partì con accenno di sgommata, come fosse una piccola iniezione di fiducia.

Arrivato all’altezza di via Veneto, alla caserma della polizia, una volante un po’ di fretta fece intendere che si sarebbe immessa veloce sulla strada e lui lasciò l’acceleratore, guardando d’intesa il poliziotto che ingranò la prima e lo anticipò lungo la via.

Percorsero appaiati gran parte di via fratelli Ugoni, fino ad arrivare in piazza della Repubblica, dove la volante prese l’altro giro attorno al fontanone e la perse di vista.

Arrivato davanti alla stazione una marea di umanità aspettava: qualcuno si spostava, bighellonava fumando sigarette, altri si davano pacche sulle spalle e si salutavano con quei nuovi rituali da gang newyorkese “de noálter”..

Ché per salutarti ti serve un quarto d’ora: presa plateale della mano, schiocco delle dita, colpo di petto, inchino: ” Hey Bro’! ”

Non c’era posto per fermarsi e prese tempo circumnavigando il palazzone davanti alla stazione e una volta dietro a quel palazzo, gli suonò il telefono e lui accostò per rispondere veloce con leccata di dito preventiva:

“Ho un minuto di ritardo sull’anticipo(!), tra un attimo sono lì!”

“Perfetto, finisco il giro e ti carico!”

Nel metter giù (il dito era ancora umido e funzionava che era una fucilata!), si accorse che la volante di prima era sbucata nuovamente a pestargli i passi, l’aveva superato mentre era ancora fermo e di taglio aveva inchiodato con i lampeggianti accesi ad intercettare un africano barcollante che venne steso sul cofano, manco fossero in Scarface.

Pensò: “Qui è meglio che me ne vada, non mi piace questo clima, non vorrei essere coinvolto.” Ingranò la prima, si mosse per superare la colluttazione ed un poliziotto gli corse incontro picchiando sul suo cofano con la sinistra e con la destra sulla pistola:

“Accosta! Dove crede di andare?!?”

“Sto andando in stazione a prendere una persona..” rispose.

“E le pare una scusa originale?

Per chi mi ha preso?!

Cosa le stava portando l’africano?

Di che droga abusa?

Si vede dalla faccia!

Crack, mariuana, coca?”

Era annichilito..”Sta a vedere che questo pensa che io sia qua col motore acceso per chiamare l’attenzione dello spacciatore..”

Il poliziotto sudaticcio dopo avergli chiesto patente e libretto gli intimò:

“Non ci faccia perdere tempo, ci dica i suoi precedenti!”

Ripensò a quella volta che a casa della zia si era infilato una merendina in tasca andando a magiarsela arrampicato sul muro di cinta da dove vedeva le mucche pascolare, ma non ne fece menzione, osservando il poliziotto.

Alle volte capita che il luogo comune descriva a pennello una persona: gli ricordava, quel tale, non certo Falcone o Borsellino, piuttosto una pendola rotta, alla quale comunque capita, per ben due volte al giorno, di segnare l’ora giusta.

Era quello che: ” Datemi un distintivo ché ho molte chiacchiere da fare!”

Era grossetto l’appuntato, con le briciole di pagnocchina sulla camicia (che parola meravigliosa pagnocchina! È la merendina, ma si porta dietro tutto un corollario di sentimenti autoctoni: l’essere bambino, con quell’entusiasmo da allegrone e quella sana dabbenaggine, il mettere il dito nella marmellata sporcandosi il pigiama, il dire con la bocca piena: “Non l’ho mangiata io!”)

Ecco quel poliziotto mangiava pagnocchine a profusione, non avrebbe raggiunto di corsa neanche il signor Carlo, mente illuminata senza dubbio, ma ormai novantenne..

L’avrebbe lasciato andare, sperando di incontrarlo al bar.

Il poliziotto si era già fatto un film tutto suo e quando vide che il “sembrante malvivente” era nato ad Alcamo gli chiese:

“Lei è nato ad Alcamo, cosa ci fa qui a Brescia?”

L’indiziato tirò allora un grosso respiro, quasi a prender la rincorsa e cominciò a ribattere sarcastico:

“Mi scusi, le sue indagini mi paiono incomplete” – rispose concentrato ed anche infastidito.

“Non tengon conto di altri fatti assai delucidanti. Si, è vero, sono nato al sud, ad Alcamo, dove nel decennio degli 80, la centrale della coca del mercato facea man bassa.

La producevano lì tutta la coca dell’Europa, vedesse quanta gente ipercinetica!

In coda in ferramenta, al bar o anche in chiesa, era tutto un minuetto: la danza della coca!

La esportavano nel mondo..

Però il dettaglio che le manca è un altro ed è la nonna! Come le è sfuggito cotal indizio ?

È come tirar fuori il carico da undici da dare al tuo compagno primo di mano.

Era di Corleone la nonna, nata nel quindici del Novecento e (qui si appoggi mi raccomando che la notizia è forte!) conosceva Lucianeddu!

Lo confesso!

Mia nonna conosceva quel mafioso!

Ne avrebbe fatta di carriera quel tale, una svolta avrebbe dato ad una certa attività che di Corleone ha colorato i connotati e la nonna proprio Lucianeddu lo chiamava!

Quello avea quattr’anni e faceva il pecoraro già a quell’epoca!

Guardava capre e pecore e intanto, ragionava su come arrotondare.

Poi, sarà stato il latte buono, quell’aria di montagna dell’entroterra..(a proposito, glielo consiglio, lo sa che Corleone e il suo territorio son proprio belli: dovrebbe assaggiare il caciocavallo, quello stagionato! Una meraviglia!

E certi cannoli con la ricotta vera, quella che non esiste al mondo!

E l’ospitalità dei corleonesi!

Però qui sfocerei nella corruzione, dovrei, poi, autodenunciarmi, lasci perdere! Stia qua, non ci vada a Corleone, se no mi arresta per la seconda volta!)

Dicevamo..Lucianeddu aveva tanto tempo libero: insomma il bambino studiò da criminale e fece molta strada! Ora siamo qua, a Brescia, fuori dalla stazione ed io sono nipote di una che ha conosciuto Lucianeddu.

Faccia lei! La pistola fuma ancora!”

“Ribadisco non ci faccia perder tempo, ci dica quali precedenti ha!

Non tiri fuori storie!!

Tanto la staniamo, ma la sua posizione si alleggerisce se collabora!” disse l’appuntato.

 

In quel mentre cominciò a suonare il cellulare.. “Naranaranà uauaua!” e il suo dito che nel frattempo si era asciugato, non riusciva a sbloccar la suoneria..

Cominciarono a guardarsi lui e l’appuntato e poi il collega che scartabellava un po’ più avanti all’altezza del baule.

Morricone suonava e loro si scambiavano sguardi con un crescendo di tensione: Pagnocchina era il brutto e là in fondo il cattivo con la mano sul fondello che lo intralciava nella ricerca documentale.

Il triangolo dall’alto appariva chiaro chiaro: il buono con le mani sul volante che guardava Pagnocchina e le sue briciole e poi rapidamente sbirciava anche il cattivo con la mano sul fondello.

Il Brutto controllava il cattivo e con lo sguardo gli chiedeva a che punto fosse ed il cattivo, di rimando, rispondeva con le sopracciglia di non trovare niente!

Fu a quel punto che, seduto sul sedile, il sospettato sparò la sua cartuccia:

“Lo sa appuntato io rispetto ciò che lei rappresenta, ma non posso qui tacere.

Mi permette una considerazione?”

“Sì accomodi, ma non la faccia tanto lunga, che quelli come lei noi li conosciamo!”

 

“In questi giorni dopo decenni che non succedeva, grazie al blocco delle attività e dei trasporti per via del virus corona, da Kathmandu si vede una montagna che, persino molti Nepalesi conoscono solo di fama, senza averla mai vista prima per colpa dell’inquinamento..

Lo sa come si chiama quella montagna?”

 

“Everest, si chiama, l’ho letto sul giornale e ho visto anche la foto e allora?” disse il poliziotto.

 

“E no! Quella montagna di nome fa Giovanni e di cognome fa Falcone ed in particolare oggi che è il 23 maggio. Anche noi spesso non vediamo la montagna perché la nebbia, il PM 10, gli ossidi d’azoto ce lo impediscono, ma lui è la che ci osserva.

Era là anche quando il suo cuore ancor batteva, a ricostruire intrecci, a dimostrarli, a capire se fossero illazioni oppure concretezza, a sgominare il crimine, quello innominato, quello che, addirittura, non aveva un nome, ma che ora grazie a lui ce l’ha.

Si chiama Mafia caro appuntato, Mafia con la “m” di Merda e la Mafia, la merda appunto, è proprio quella nebbia, quel particolato che non ci fa vedere le montagne;

quella nebbia siamo noi quando ci chiamiamo fuori, quando ci giriamo dall’altra parte, quando ci mettiamo comodi  perdendo di vista le montagne: Giovanni, Paolo, le loro scorte, i suoi colleghi appuntato, lei stesso, siete l’Himalaya di questa società.

Non se lo dimentichi, come han fatto i suoi colleghi di Piacenza!

Non tutti, peraltro, devono essere montagne, si può esser anche cittadini a Katmandu e fare la propria parte nelle cose piccole per dissolvere la nebbia ed il particolato, perché risplendano le montagne oltre la piana.

Così, senza illazioni sul mio conto, faccia le sue indagini, io aspetto.

Son paziente e rispetto il suo lavoro, ma lei lo faccia bene, non faccia congetture che non poggiano sui fatti. Faccia come Falcone, come Borsellino, come tutti quelli che svolgono bene il proprio ruolo.

Aiutiamoci gli uni gli altri a dissolvere la nebbia!!

Se lo vuol segnare, scriva sul rapporto che son qui davanti alla stazione per prender mia sorella che arriva da lontano. Non cerco droga, io non so chi sia l’uomo da voi arrestato or ora..”

Il poliziotto si zittì, fini le sue ricerche e un po’ dimesso gli rispose:

“Vada, per stavolta non risulta niente.

Una cosa è vera, mi piace quest’ idea della montagna: Falcone è una montagna come lo sono altri, una montagna meravigliosa che si staglia verso il cielo ed anche la Mafia è una montagna però di merda e non gli arriva al campo base!”

 

Tramonto, foto generica da Pixabay UMBERTO TANGHETTI, CHI E’?

UMBERTO TANGHETTI, CHI E’?

Umberto Tanghetti, nato il primo ottobre 1977 ad Alcamo (Tp) da padre bovegnese e madre alcamese, cresce e vive a Concesio. Dopo la maturità classica al liceo Arnaldo di Brescia, prosegue gli studi a Padova, dove si laurea in chimica e tecnologia farmaceutiche.
Oggi lavora in farmacia a Brescia ed è tornato a vivere a Concesio.
“Non ho mai pubblicato per nessuno – scrive presentandosi – non ho miti letterari, ma grande stima per molti intellettuali: amo Calvino,i paesaggi di Čechov, la profondità di Dostoevskij… Ma se dovessi citarne solo uno citerei Primo Levi tirato dalla vita sui libri per testimoniare l’impossibile”.

LEGGI I RACCONTI DI UMBERTO TANGHETTI PUBBLICATI SU BSNEWS.IT A QUESTO LINK

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