🔻 Lo sterminio di Brescia🔺DAL GRUPPO G9

 Viaggio virtuale nelle sacre rappresentazioni della Natività nelle Chiese bresciane

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Foto di Nicolò Tartaglia Francesco Hayez, L'arresto di Ventura Fenaroli, dinanzi alla chiesa di S. Maria del Carmine, 1834, proprietà privata (foto da Gruppo G9)

di Mario Baldoli – Scendevano dal Castello a piedi nudi nella neve per non scivolare. Erano soldati francesi, guasconi, svizzeri, lanzichenecchi, zingari. Era mezzogiorno del 19 febbraio del 1512. La notte prima aveva nevicato, ma ora pioveva. Si mosse un’avanguardia di piccoli gruppi che fece tacere i pochi cannoni a difesa della città, immediatamente seguiva l’esercito guidato da Gaston de Foix, il più abile e spietato comandante di Francia.

In quel momento Brescia era sotto il dominio francese, ma l’Italia intera era il luogo in cui si combattevano Francia, Spagna, Sacro Romano Impero, più da lontano Inghilterra e Ottomani. L’Italia ebbe pochi anni di tregua dal 1494 quando Carlo VIII l’attraversò per conquistare il regno di Napoli, che poi perse sulla via del ritorno nella battaglia di Fornovo portando però con sé “il mal francese” o “napoletano”. Il suo successore Luigi XII riprese la guerra, conquistò Milano, una parte della Campania che poi perse sconfitto dagli spagnoli. Erano gli anni in cui Cesare Borgia, uno dei figli del papa Alessandro VI (altra figlia era Lucrezia Borgia) si era fatto un ducato in Romagna.

Quando divenne papa Giulio II nel 1503 le guerre ripresero. Il papa guerriero voleva imporre lo Stato della Chiesa come egemone in Italia. Eliminato il Borgia, prese Bologna e Perugia, ma Venezia, impegnata a conquistare la terraferma si prese Rimini, Faenza e Cervia venendo a contatto coi domini del papa che nel 1508 formò una Lega che univa tutti gli Stati contro Venezia che fu travolta e riuscì a stento a tenere il Veneto. I suoi territori occidentali, Bergamo e Brescia passarono alla Francia. Subito dopo il papa costruì un’alleanza generale contro i francesi. Quella volta furono veneziani e spagnoli a bombardare Brescia.

Machiavelli capiva quell’orrore e definì l’Italia “sanza capo, sanza ordine; battuta, spogliata, lacera, corsa”. Per tutto il secolo corse anche la peste, ha scritto Braudel che “la peste fu la struttura del Cinquecento”, aleggiava sul mondo che le guerre impoverivano, il mondo in cui uomini e animali, fra cui i topi, vivevano insieme. Quella peste non raggiunse solo I promessi sposi, ma circola ancora in alcuni luoghi del “terzo” mondo.

La pace aarivò col trattato di Cateau-Cambrésis nel 1559 che confermava la supremazia della Spagna sull’Italia, mentre Brescia tornava sotto il dominio di Venezia che la circondò di quelle grandi mura, su cui ora corre il ring.

Torniamo al 1512. I francesi governavano Brescia, ma un gruppo di nobili, d’accordo con Venezia, diede vita a una congiura. Scoperti furono mandati a morte Tommaso Ducco, Gerolamo Riva, Ventura Fenaroli, mentre Gian Giacomo Martinengo e Gian Francesco Rozzone si salvarono fuggendo. Il 2 febbraio Venezia mandò a Brescia un esercito di 400 soldati e un pessimo comandante che diventò poi doge, il provveditore Andrea Gritti che prese in mano la situazione. I nobili bresciani intanto facevano venire i valligiani dalle loro proprietà. I francesi se ne andarono, ma un piccolo gruppo si ritirò dentro le mura del Castello, allora facilmente conquistabile. Gritti colpevolmente lasciò che vi rimanessero. Capì tardi quanto succedeva. L’8 febbraio il comandante francese Gaston de Foix lasciò l’assedio di Bologna e a marce forzate puntò su Brescia. Attraversato l’Adige distrusse a Isola della Scala un esercito veneziano e piombò sulla città ponendo il campo a Porta Torrelunga. Era il 16 febbraio. Accerchiò la città e chiese ai bresciani di arrendersi. Alla risposta negativa, il giorno 18 i francesi occuparono il Castello salendo per la strada del Soccorso, quella che dà sulla Pusterla, aperta dai francesi che erano nel Castello. Il 19 scesero sulla città che fu conquistata con aspri combattimenti tanto che vi fu ferito Baiardo “il cavaliere senza macchia e senza paura”, curato in palazzo Cigola, quello fra piazza Tebaldo Brusato e via Cattaneo. I fratelli Porcellaga, Tommaso Maggi, Confalonieri, Lodi, Pulusella furono uccisi nella battaglia, Gritti si salvò corrompendo chi l’aveva catturato.

Gaston de Foix aveva promesso ai soldati il saccheggio della città, e così fu. C’era un bresciano che aveva capito tutto, il pittore Floriano Ferramola che proprio quel giorno continuò un affresco a palazzo Calini in vicolo Borgondio e fu salvato dalla sua arte. L’episodio è illustrato da un quadro ottocentesco di Modesto Faustini.

Il saccheggio fu il più terribile del suo tempo tanto che altre città ribelli, ad esempio Bergamo, si arresero subito.

Le cronache dell’epoca sono piene di quell’orrore: tra i contemporanei ne scrissero Machiavelli, Pietro Bembo, Matteo Bandello, Teofilo Folengo, Galeazzo degli Orzi, Gian Giacomo Martinengo, ne accennò l’Ariosto. Fra i molti ne diede ampia descrizione Francesco Guicciardini nella Storia d’Italia: Cadde in tanto sterminio quella città, non inferiore di nobiltà e di degnità ad alcuna altra di Lombardia, ma di ricchezze, eccettuato Milano, superiore a tutte l’altre, la quale, essendo in preda le cose sacre e le profane, né meno la vita e l’onore delle persone che la roba, stette sette dì continui esposta alla avarizia, alla libidine e alla licenza militare.

Ne scrisse il tedesco Meister H.S. (si legga, nei volumi citati in calce, la minuziosa ricerca del suo nome da parte di Irene Perini): tutta la città fu messa a sacco, i cittadini trovati con le armi in mano vennero uccisi; gli altri insieme alle loro donne, i bambini e i servi furono fatti prigionieri e derubati dei loro averi. Vedove, donne e fanciulle furono ovunque oltraggiate e disonorate. Ciascuno poteva fare quello che voleva nella casa in cui aveva posto piede. Le fonti francesi parlano orgogliosamente del successo ignorando il saccheggio.

Il bottino portato via da Brescia fu calcolato in 3 milioni e mezzo di monete d’oro.

ll conte Luigi Avogadro fu decapitato davanti ai figli, il suo corpo smembrato e appeso alle porte delle città, i figli uccisi due giorni dopo a Milano. Né fu risparmiato un bambino di 12 anni che si trovava in duomo con la madre che sperava ivi d’esser sicura: ma tal pensier ne andò falito perché alla presentia di mia madre mi fur date cinque ferite mortale, cioè tre sulla testa (che in cadauna la panna del cervello si vedeva) et due su la fazza, che se la barba non me le occultasse, io pareria un mostro fra le quali una ne aveva a traverso la bocca e il denti, la qual de la massela et palato superiore me fece due parti , et el medesimo della inferiore. Sua madre, poverissima, lo curò semplicemente tenendo pulite le ferite, imitando i cani (lui ha scritto) mentre quel figlio che non poteva parlare e mangiare. Cresciuto, fu uno dei più grandi matematici e fisici del tempo, si chiamava Nicolò Tartaglia, appunto come conseguenza di quelle ferite e portò sempre con orgoglio il suo soprannome. Collaborò con Galilei e testimoniò in suo favore davanti al Sant’Uffizio, fu maestro di Torricelli, l’inventore del barometro.

I francesi premiarono i nobili che li avevano sostenuti, i Gambara, i Martinengo Cesaresco, i Brunelli. Una figlia di quei Gambara diverrà famosa per le sue poesie, Veronica. Famosa poetessa fu anche Laura Cereto, ambedue petrarchiste, secondo la moda dell’epoca, ma con toni originali.

A Brescia si affermava una splendida scuola di pittura con Paolo da Caylina, Ferramola, Savoldo, Romanino, Moretto. La città manteneva le sue risorse intellettuali.

Gaston de Foix morì pochi mesi dopo il sacco, a 23 anni, all’assedio di Ravenna, di lui resta al Louvre un ritratto di attribuzione incerta, si dice di Savoldo.

Il testo attinge soprattutto all’opera (a cura di Vasco Frati, Ida Gianfranceschi, Francoise Bonali Fiquet, Irene Perini Bianchi, Franco Robecchi, Rosa Zilioli Faden), Il sacco di Brescia, ed. Comune di Brescia e Fondazione Banca Credito agrario bresciano, Brescia 1989

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ARTICOLO A CURA DEL GRUPPO G9

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